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Giuseppe Previtali, Storia e cultura dell'omosessualità, Kimerik, Patti 2010.
 
Copertina di  ''Storia e cultura dell'omosessualità'', di Giuseppe Previtali

[Saggio con tematiche lgbt]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un immane pasticcio velleitario.

Immane pasticcio velleitario che si configura come il classico "ripostiglio dello scoiattolo", nel quale sono confluite alle rinfusa nozioni copia-incollate da svariati siti internet (incluso il mio e quelli di Massimo Consoli buonanima) oltre ad un sacco di pagine di Wikipedia. Ovviamente senza che le fonti siano accreditate in modo corretto, secondo quanto previsto dal diritto di citazione, nel più classico "stile Internet".


La prima parte, relativa alla storia e alla cultura, affastella a casaccio dati sui roghi medievali, Adriano e Antinoo, cronologie, sodomia fra gli indigeni americani e quant'altro, e si rivela di fatto una specie di lungo prologo alla parte che sta a cuore all'autore, che è quella sulla religione, che da sola mangia tutta la seconda metà del libro.

Dopo esposizioni su buddismo, islam, ebraismo e cattolicesimo (il "progetto omosessualità" di Wikipedia a quanto pare è stato utile) il libro ci concede un tonfo finale: una lunga e per nulla critica disamina delle teorie di Joseph Nicolosi, del Narth da lui fondato e dei gruppi religiosi in genere che vogliono "curare" l'omosessualità.

La cosa bizzarra è che l'autore dà uno spazio spropositato a queste teorie (addirittura inglobando un'intervista tratta dal quotidiano di estrema destra "Libero") salvo poi esprimere in nota a piè di pagina timide "perplessità" ed esitanti dubbi su tali deliri... Ma allora perché dà loro così tanto spazio?

Diciamo insomma che la chiarezza d'idee non è il dono principale di questo pamphlet.


Il libro si direbbe autoprodotto, come fa pensare anche l'utilizzo d'una casa editrice di Patti (paesello di Sicilia) mai sentita nominare prima, ed è lo specchio delle particolari idiosincrasie dell'autore, palesemente in lotta fra valutazione positiva dell'omosessualità e pesanti remore cattolico-omofobiche.

Per quanto mi riguarda, ne sconsiglio la lettura, se non a chi lo volesse usare come documento di sociologia del costume contemporaneo.
In effetti, è interessante notare come la Rete abbia permesso a quest'autore di forgiarsi un suo solipsistico "libro personale", in un modo che solo dieci anni fa sarebbe stato impossibile.

Confesso che è il primo libro di questo tipo in cui m'imbatto, ma considerato il fatto che gli strumenti per sfornarne altri ormai esistono per tutti, non dubito che questo sarà il capofila di una - ahimè - lunga serie.


 
 
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