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TRAVESTITI E TRANSESSUALI

Una parte del mondo omosessuale dichiara di non venire ai "Pride" perché ci sono "troppi travestiti". In realtà, la percentuale di travestiti in tutti e tre i Pride a cui ho partecipato era uno zero virgola zero qualcosa. Nell'ordine delle decine di persone, con una punta massima a Roma e minima a Padova, ma sempre decina più, decina meno.

In compenso, su certi giornali apparivano solo loro, le trans brasiliane con le tette nude e i culi al vento, e ovunque ci fosse un crocchio di fotografi che si davano le gomitate lì c'era una trans brasiliana con le tette siliconate al vento.

Due transessuali al Gay Pride di Milano - Foto G. Dall'OrtoChe fare? Ne ho discusso con alcuni amici, strada facendo: qualcuno infastidito dalle trans ignude (una di loro ha passeggiato con solo un pezzo di scotch sulla passera: bella freeeeeesca!), qualcun altro (me incluso) infastidito dai fotografi interessati unicamente alle trans ignude.

Il problema non è di facile soluzione. Trans e travestiti fanno parte del nostro mondo, sono anzi fra gli iniziatori del movimento di liberazione omosessuale. La festa dell'orgoglio gay è anche la loro festa.

Inoltre, la cultura del Sud (Italia, ma anche Terzo Mondo) è tale che per certi omosessuali del Sud essere gay o essere travestito è la stessa cosa, e quindi per loro manifestarsi come gay implica il vestirsi da donna. Con che diritto possiamo condannare questa cultura, che sarà diversa dalla nostra, ma è meritevole di rispetto (o di rispettosa contestazione) come qualunque altra?

D'altro canto, le trans che a colpi di bisturi costruiscono un corpo da Superfigamaggiore non lo fanno certo per rivolgersi al mondo gay, bensì per rivolgersi al mondo eterosessuale. I fotografi arrapati che sbavano loro addosso, o il fatto di venire in manifestazione con "vestiti" achiappa-etero, ne sono la miglior conferma. In quel momento la dinamica è del tutto esterna al mondo gaylesbico: è un gioco rituale che ha a che fare con i fantasmi sessuali dell'immaginario maschile eterosessuale, non con quello gay o lesbico.

Tutto considerato, però, la soluzione stalinistico-epuratoria caldeggiata da alcuni dei miei interlocutori (l'intolleranza esiste anche all'interno del mondo gay…) non è comunque accettabile. Perché è vero che le trans ignude sono lo specchio esatto dell'immaginario erotico maschile ed eterosessuale, ma a voler ben guardare molti di noi non sono forse lo specchio dell'immaginario erotico maschile ed omosessuale? Spesso in modo ancora più acritico e pedissequo? E allora? Due pesi e due misure?

A mio parere la soluzione è un'altra. Se ciò che ci offende non è (come spero) che travestiti e transessuali passeggino assieme a noi, come è loro diritto, bensì che i giornali insistano a pubblicare solo foto di transessuali brasiliani con la didascalia "Manifestanti gay italiani", allora si tratta semplicemente d'una battaglia per un'informazione corretta. Punto. Si tratta di una battaglia per l'educazione dei giornalisti e dei redattori che scelgono le foto. Si tratta di rivendicare il diritto a un'informazione veritiera, che mostri la manifestazione in tutte le sue sfaccettature, e non sempre e solo in una.
Se ogni volta che si parla di gay venisse pubblicata sempre e solo la mia foto, non ci scocceremmo forse tutti, me compreso, per questo fatto?

Dunque il problema è lì.
Non è colpa di cento travestiti se, su centomila persone, appaiono solo loro.
È colpa dei giornalisti che pubblicano solo le loro foto.

Basta, quindi, prendersela sempre con altri partecipanti al Gay Pride: è ora di prendersela semmai con chi fa certe scelte, e ne porta la responsabilità.
(P.S.: Ovviamente il discorso vale anche per gli organizzatori, o per il sito ufficiale del Pride romano che su 17 foto ne pubblica addirittura 9 di travestiti e transessuali (la maggioranza!) e solo due della folla dei manifestanti).

Una trans brasiliana nella fontana di Piazza Castello dopo il Pride di Milano - Foto G. Dall'Orto

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