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Quelle maledette tessere Arcigay

[Da Gay.it (rubrica "controVerso") , 18 marzo 2004]

di: Giovanni Dall'Orto.

Tessera Arcigay, 2010.


L'Italia è il Paese con la più grande organizzazione gay del mondo, Arcigay, che vanta oltre centomila tesserati.

Ovviamente tutti sappiamo che queste tessere non vengono fatte per motivi politici (qui sta il trucco!), ma quasi solo per entrare nella conquantina e più [nel 2010 sono diventati ormai un centinaio, NdA] di locali del "Circuito Uno" a cui danno accesso.
Ciononostante il dato numerico resta, e fa sorgere una domanda: come mai questo è avvenuto in Italia e non altrove?

La risposta è banale: perché siamo in Italia. Con una serie di problemi che hanno resa necessaria questa soluzione.
Alcuni di questi problemi sono comuni ai gay di tutto il mondo (e infatti i locali con "tessera" esistono anche altrove), altri invece sono tipicamente italiani.
I problemi principali sono cinque:

Vediamoli uno per uno:


1) L'esagerato terrore del coming out

Per motivi storici che è troppo lungo discutere, dal punto di vista gay l'Italia è, in Occidente, uno dei Paesi in cui l'idea del coming out crea il maggiore terrore. Il commento che, sbalorditi, fanno in coro tutti i gay europei al loro arrivo in Italia è che i gay italiani "vivono nel terrore" e "hanno paura della loro stessa ombra".

Conseguenza di questo fatto: una proposta commerciale di locali aperti a tutti, sulla strada, con insegna visibile, aperti anche di giorno (come quelli, stranieri, che i contestatori delle tessere presentano sempre a modello) non ha trovato fino ad oggi [2004, NdA] spazio.

Un locale veramente pubblico, in cui chiunque (incluso il vicino di casa e il compagno di banco!) può entrare, non è ciò che il gay italiano oggi desidera di più.


2) Il senso di colpa omosessuale

Un'omosessualità vissuta con vergogna, come una lebbra, non può portare a uno stile di vita gay, come quello che tiene aperti i locali gay stranieri sopra nominati. Può portare al massimo a uno sfogo sessuale, una o più volte a settimana, realizzato il quale si torna alla falsa vita "da eterosessuale".

Vivere "da omosessuale" è considerato "ghettizzato"; i locali gay, "ghettizzanti", anzi, "ghetti".
Questa mentalità favorisce la concezione del luogo gay non come luogo di socializzazione di una comunità, bensì solo come luogo di rifornimento, per sfogare le proprie voglie sessuali, e da cui, svuotati, fuggire lontani.

Ebbene: i locali stranieri (quelli senza tessera di cui sopra) non sono scopatoi. La presenza ossessiva e capillare delle dark è semmai una caratteristica tipicamente italiana.

Addirittura, in molti Paesi, come gli Usa, le saune aperte al pubblico in cui si scopava sono state chiuse ere fa con la scusa dell'Aids. Sono rimasti solo i sex-clubs -- che sono circoli privati, appunto, esattamente come da noi!


3) La tarda età d'uscita di casa

L'Italia è, nella UE, il Paese in cui i giovani escono di casa più tardi. Più tardi anche della Grecia o della Spagna. Nei Paesi nordici a 18 anni è normale andare a vivere da soli, mentre in Italia è normale restare coi genitori fino a 35 anni.
Risultato: fino a 35 anni gli italiani non hanno un luogo fisico in cui scopare. Gay o etero che siano.

Così, i gay stranieri s'incontrano in un bar, poi chiedono "a casa mia o a casa tua?" e vanno a "consumare" a casa.
In Italia, per lo più, o si consuma la preda nel luogo di caccia, oppure non si ha, fisicamente, il luogo in cui consumare.
E se si pretende di poter consumare in loco, allora il locale non può che essere un circolo privato con tessera, altrimenti si commetterebbero "atti osceni in luogo pubblico". Banale, ma così è.


4) Il racket delle licenze

Anche questa è una caratteristica italiana. Per aprire un locale occorre una licenza. In teoria, basta chiederla, e se caso superare un esame d'idoneità. In pratica, la lobby dei commercianti ha imposto il "numero chiuso" delle licenze, per evitare la concorrenza, che avrebbe abbassato i prezzi e quindi i guadagni.
Tuttavia, un circolo privato non ha bisogno di una licenza. Quindi...
Traete voi la conclusione.

Insomma: in molte città italiane s'è riusciti ad aggirare il racket delle licenze solo aprendo circoli privati.


5) La questione politica

Gestire un locale richiede una serie d'atti "politici", cioè rapporti con la società e le autorità. Ora, in Italia gli esercenti sono tradizionalmente di destra (spesso estrema) mentre la tematica gay richiede di per sé un'ottica "di sinistra": di lotta, rivendicazione, difesa contro gli abusi polizieschi. Tutte cose estranee alla mentalità della destra.

Si spiega solo così l'alleanza veramente contronatura fra esercenti ed Arcigay. Ci sono stati in passato tentativi di farne a meno, ricorrendo al vecchio sistema delle "mazzette" alla polizia, ma senza risultati: qui le retate non avvenivano per spremere semplici tangenti, bensì per fare scappare i clienti e chiudere i locali giudicati immorali in quanto gay.

Anche chi nel privato votava Msi ha quindi dovuto ricorrere a un approccio "militante". E a dotarsi di quella "maledetta" tessera Arcifrocio che lo rendeva circolo privato, quindi non sottoposto alle "visite" poliziesche senza un mandato.

In questo modo, a poco a poco, il Circuito Uno ha iniziato (e a mio parere non è stato un bene) a fare le veci di quell'associazione degli imprenditori di locali gay, che in trent'anni gli imprenditori italiani, per i limiti della loro formazione politica, sono stati incapaci di creare.


Conclusione
Da quanto detto sopra appare che l'importanza "esagerata" delle tessere in Italia è data (1) dalla situazione politica e commerciale italiana, ma (2) anche dal fatto che la clientela ha fin qui premiato quei locali che rendono indispensabile la tessera.

In altre parole, non è vero che "ci sono troppi locali con tessera": è vero semmai che ci sono troppo pochi locali di altro tipo.
Ma è il mercato - i gay italiani - ad aver voluto così.

Coloro che si lamentano delle tessere nei locali sappiano quindi che la soluzione al problema arriverà solo quando i gay italiani impareranno a frequentarsi in modo da non aver più bisogno di tessere, cioè per qualcosa di più che il sesso.

Quanto tempo ci vorrà perché ciò accada... dipende da tutti.


Tratto da: "ControVerso", Gay.it, 18 marzo 2004.
 
 
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