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Lettera per farmi odiare.
Perché sono contro ai "gay nell'esercito"
[da "Babilonia" n. 109, marzo 1993, pp. 12-13]

di: Giovanni Dall'Orto

Una "lettera aperta" dissenziente al movimento gay italiano sulla questione dei "gay nell'esercito".

[Nota del 2003, per mancanza di tempo metto online questo brano senza provvedere ad aggiornarlo, senza correggerelo e senza creare link d'approfondimento].


Quando è troppo è troppo. Il tripudio di celebrazioni con cui il movimento gay italiano ha accolto, alla fine di gennaio [1993], la promessa di Clinton di accogliere i gay nell'Esercito americano, passa la misura di ogni tollerabilità.
È stato decisamente troppo leggere sul "Manifesto" che la promessa di Clinton è una "vittoria dei gay", e che conferma il carattere democratico e progressista dell'esercito statunitense (chiedete ai cittadini di Grenada se son d'accordo!), oppure ricevere telefonate di giornalisti microcefali che volevano da me "alcuni dati storici" per dimostrare che gay ed esercito nella storia sono sempre stati pappa e ciccia ("Ma sì.. grandi generali lo erano...". Se è per quello anche il "mostro di Milwaukee" lo è).

Perché i gay italiani non pensano quattro volte prima di... tacere? Non si accorgono che dalle loro dichiarazioni traspare il Vuoto Cosmico di cultura politica e di strategie per il movimento gay italiano?

Questa avrebbe potuto essere l'occasione per denunciare come l'esercito sia il brodo di coltura di quell'ideologia della violenza a cui viene sacrificata ogni mese la vita di un numero imprecisato di gay. È stata invece un'occasione per celebrare la (inesistente) bontà dell'istituzione-esercito e della sua ideologia. Con buona pace dei morti ammazzati.

Nessuno ha ricordato che il movimento gay italiano è un movimento non-violento (l'Arci Gay lo è anche per statuto!), e che quindi per metodi, obiettivi, cultura eccetera è esattamente agli antipodi di qualsiasi logica di qualsiasi esercito.
E qui non si scappa: lorsignori ci dicano se davvero la non-violenza è il patetico delirio di alcuni "poveri illusi" (come ad esempio me, e me lo si è anche detto in faccia), ma allora voglio sapere il nome di chi imbraccerà per primo le armi per sparare a chi ci fa del male, oppure è l'unico strumento di lotta per combattere per i propri diritti senza trasformarsi in un macellaio o conculcare i diritti altrui (e se qualcuno conosce altri metodi, ce lo dica).

E allora inizio a dire io tutto ciò che sulla questione i giornalisti non hanno detto a voi, e quello che i gay non hanno detto ai giornalisti.

Primo: l'esercito americano ha ragione. Non è consentito ai criminali arruolarsi: questo vale anche in Italia. E in metà degli Stati Usa l'omosessuale è un criminale.
Qualche anno fa la Corte Suprema ha sancito che ciò non va contro la Costituzione. Non so come Clinton intenda risolvere la contraddizione (si è ben guardato dal dirlo [e nel 2003 possiamo aggiungere: "infatti non l'ha per niente risolta", NdA]), perché di un emendamento costituzionale pro-diritti gay non ha mai fatto cenno. È vero insomma che i militari reazionari approfittano di questa contraddizione, ma non l'hanno inventata loro e non tocca a loro risolverla: tocca a Clinton. Che su questo punto, tace.

Secondo: da nessuna parte sta scritto che dell'esercito possano oppure debbano fare parte tutti i cittadini per il solo fatto di essere cittadini. Lo dimostra il caso delle donne, che costituiscono il 51% e oltre della popolazione delle società occidentali (Italia compresa). Se all'esercito si riconosce il diritto di escludere il 51% della popolazione, non capisco perché dia scandalo l'esclusione del 5% costituito dai gay e dalle lesbiche. Vero è che il discorso vale meno per gli Usa, dove le donne possono fare parte di alcuni corpi dell'esercito, ma vale in pieno per l'Italia, come ovviamente nessuno ha fatto notare.

Terzo: i militari non vogliono i gay perché pensano che siano femminucce. E i gay, invece di mettere in dubbio l'equazione "maschio = capace di uccidere" (le donne nell'esercito non ce le si vuole proprio perché butterebbero all'aria questo teorema) sono lì in fila a protestare che no, anche noi siamo capaci di ammazzare centomila iracheni o trentamila bosniaci o sei milioni di ebrei, dunque siamo anche noi maschi come tutti gli altri.
Peccato che non sia dalla nostra capacità o meno di gestire un lager che si valuti la "virilità" di noi gay. Ciò che io, come frocio, posso intendere per "virilità", è la capacità di vivere con coraggio e a viso aperto le proprie scelte (ad esempio la propria omosessualità).
Ebbene, non mi risulta che esista un militare, uno solo, che in Italia abbia "le palle" sufficienti a farlo, ed eventualmente pagare per le proprie scelte, come ho fatto sempre io, che sono "femminuccia" e "vigliacco" perché mi rifiuto di assassinare chicchessia. (Il che dimostra che non c'è bisogno di coraggio per fare gli assassini: c'è più "eroismo" in una lesbica dichiarata che in un generale pluridecorato. Solo un vigliacco accetta di uccidere, perché gli manca il coraggio di dire "no").

Per farla breve: da un dibattito come quello sull'esercito, che ci avrebbe permesso di ridiscutere la concezione di "virilità" che prevale nella nostra società, non abbiamo cavato altro che accondiscendenza verso questa stessa concezione.

Il fatto che esistano borgatari o marchette che, per dimostrare di essere "maschi", sentono il bisogno di assassinare i "froci", è cosa che non ci sfiora, non ci riguarda, non ci pone nessun interrogativo. Tanto sono sempre gli altri che muoiono, no?


Fin qui la risposta a coloro che si illudevano (o volevano illudere noi) sul fatto che la questione dei gay nell'esercito fosse una questione di presunti "diritti civili". C'è però ancora un'altra cosa da aggiungere: la richiesta dei gay americani è in primo luogo una lotta contro la discriminazione sul posto di lavoro. Per questo non è lecito fare paragoni fra l'esercito Usa e quello italiano senza specificare le seguenti differenze:

Devo continuare con la lista?

Tutto questo, nei dieci giorni in cui non s'è parlato d'altro, nessuno s'è degnato di spiegarlo. In questo modo la comprensibile voglia dei gay americani di non essere discriminati su quello che loro considerano un normale posto di lavoro (su questo avrei da dissentire, ma non divaghiamo), è stata presentata in Italia come una voglia matta di far parte di una istituzione "democratica" e "prestigiosa" come a dire dei giornalisti sarebbe l'esercito.

Grazie a questo equivoco le autorità militari italiane hanno potuto a buon mercato gabellarsi per campioni della tolleranza e della non discriminazione. Ed effettivamente i gay italiani hanno lo stesso "diritto" che hanno gli eterosessuali di dare un anno di vita allo Stato, gratis e senza alcun diritto civile. Chi ha tripudiato per Clinton dovrebbe almeno spiegarci in che modo la privazione coattiva dei diritti civili per un anno sia diventata, adesso, un diritto civile.


In tutta questa confusione voluta, solo una voce ha osato affermare che è meglio escludere i gay dall'esercito: per "proteggerli" dalle violenze dei loro camerati.

È stata l'unica voce sincera, che ci ha rivelato come l'esercito sia un serbatoio di violenza antiomosessuale (e non). Se la stessa frase fosse stata detta, per esempio, a proposito degli ebrei, tutti avrebbero notato l'implicita ammissione del fatto che l'esercito è una struttura antisemita e  razzista. Invece in questo caso, nisba.

Ma come: una struttura basata interamente sullo "spirito di corpo", sul culto della disciplina e sull'obbedienza, non sa nemmeno ottenere che i soldati non commettano violenze gli uni contro gli altri? Delle due l'una: o sa di non potere, e allora figuriamoci quanto vale, o sa di non volere, e quindi l'approva. Io dico che la seconda ipotesi è quella esatta.


Ma sia pure come sia. Diamo per ammesso e non concesso che fare il soldato sia un "diritto civile". Ragione per cui arriviamo al famigerato "articolo 41" che permette l'esenzione dal servizio militare di chi soffre di "pervertimento sessuale".

Se il movimento gay italiano non vivesse nel Vuoto Cosmico in fatto di cultura e riflessione politica, si sarebbe già accorto che a partire dalla cancellazione dell'omosessualità dalla "Lista delle malattie mentali", operata lo scorso anno dall'OMS, si può ormai far ricorso contro un eventuale uso dell'articolo 41, con novantanove probabilità su cento di spuntarla. L'omosessualità non rientra più, ed ufficialmente, fra le "perversioni sessuali", dunque l'articolo 41 non si applica più agli omosessuali.

E anche se così non fosse, le probabilità di un accoglimento del ricorso sarebbero comunque pari al 101%, perché da qualche anno ormai le autorità di leva fanno i salti mortali per evitare di applicare l'art. 41. Quando ero presidente dell'Arci gay di Milano ho seguito io stesso molte pratiche di ragazzi che lo avevano chiesto. Posso assicurare che ormai erano i medici a fare di tutto per convincere i ragazzi a non farsi "discriminare", affermando che l'omosessuale è idoneo come gli altri a fare il soldato!

L'unico caso in cui è possibile l'uso coattivo dell'articolo 41 è quindi ormai per chi si è arruolato fra i carabinieri, che fanno parte dell'Esercito. Una lettera apparsa poco tempo fa su "Babilonia" ha rivelato il caso di un giovane "costretto a dare le dimissioni" dai carabinieri perché la sua omosessualità era stata scoperta.
Ma anche qui emerge subito l'ottusità di chi insiste a riproporre in Italia battaglie politiche americane senza chiedersi se da noi abbiano un senso. Perché le autorità militari hanno "costretto alle dimissioni" anziché congedare il ragazzo in questione? Perché è così che funzionano le cose in Italia. Sono i gay ad accettare, senza discutere, discriminazioni che nessuna legge autorizza. Si vergognano troppo di essere gay, per fiatare.


E qui casca qualsiasi discorso sulle leggi pro-gay in Italia. Il problema non sta nelle leggi: il problema sta nei gay e nella loro mentalità. Noi italiani siamo diversi dagli americani: o ne prendiamo atto o non concluderemo mai nulla.
A che servirebbero leggi e proclami sui diritti civili dei gay nell'esercito in un Paese in cui i gay non esistono né nell'esercito né fuori da esso?
Dove sta il gay disposto ad usare questa ipotetica legge facendo ricorso contro l'esercito?

Esemplifico. In quindici anni di militanza ho conosciuto molti casi di gay che si sono licenziati da sé perché il padrone li aveva minacciati di "sputtanarli" se non lo avessero fatto (senza pensare che se il padrone lo aveva saputo, erano già "sputtanati"). Al contrario conosco solo due casi di gay licenziati perché omosessuali, entrambi conclusi con la condanna (da parte del pretore del lavoro) dell'azienda, che ha dovuto riassumere i dipendenti.
Questo dimostra più di qualsiasi altra cosa che è inutile scimmiottare gli americani per ottenere le stesse leggi che chiedono loro: ciò che è adeguato nel loro contesto, non lo è necessariamente nel nostro. Giuridicamente, infatti, la situazione italiana è già (e per merito di nessuno) al punto per arrivare al quale i gay americani si battono invano da trent'anni.

Questo perché in Italia i gay li si opprime attraverso il controllo sociale e la Chiesa cattolica, attraverso lo snobismo di sinistra e la paura della mamma, e non (finora) attraverso le leggi. Ecco perché l'"assessorato per i gay" del Comune di Roma, nel contesto italiano, non ha affatto il senso che ha il liason office a S. Francisco o New York, e fa abbastanza ridere.


Concludendo mi domando se arriverà mai il momento di smetterla di vivere alla giornata, chiedendoci il senso di quello che stiamo facendo. A che serve tenere in piedi un movimento gay solo per organizzare feste, gite e cene, visto che quando arriva il momento di affrontare le domande "scomode" si preferisce vivere delle briciole di quanto elaborato dal movimento gay americano piuttosto che fare la fatica di ragionare con la nostra testa?

E così, a furia di non usare la testa arriva un giorno in cui un movimento che ha la nonviolenza fin negli Statuti, si riduce a tripudiare per i gay nell'Esercito.
Ridotta a semplice parola, la non-violenza aveva smesso di essere un progetto e una strategia, diventando solo zavorra inutile.
Traete voi le conclusioni.


Post scriptum del 2003: Rileggersi dopo tanti anni fa uno strano effetto. Se non altro perché ora si conoscono le risposte che il "Se Stesso" di dieci anni fa non conosceva.

Clinton non ha affatto mantenuto le promesse date già per mantenute dai giornalisti troppo servili verso la "superiorità" degli Usa, patria di ogni libertà, giustizia, democrazia e dove le fate vivono e fanno miracoli. Tutto al contrario: negli Usa, Paese con grandi tensioni sulla questione democratica e vittima di una delle destre più ricche e quindi più aggressive, potenti e fanatiche del mondo, non sono mai state espulse tante persone omosessuali dall'esercito quanto nei dieci anni successivi a questo articolo!
Essere profeti, quando si parla di istituzioni votate alla violenza e alla negazione dei diritti umani, è di una facilitià estrema. A che serve una pistola se non ad ammazzare? Non certo a piantare i chiodi. Quindi predire che lasciar vendere liberamente le pistole porta ad un aumento degli ammazzamenti non è dono profetico: è banale capacità di fare due più due.

In compenso, dopo il World Pride il movimento gay ha ripreso a fare (un poco più) di politica, e la nuova guerra del Golfo ci ha mostrato quanto poco desiderabile sia la pace costruita con la guerra.
C'è sempre un barlume di speranza, ma non si esprime mai da sola: tocca agli esseri umani soltanti scovare quella scintilla e farne un fuoco.
 
 

Altri interventi miei contro la violenza da un’ottica gay su: http://www.giovannidallorto.com/attualita/indexguerra.html



Tratto da "Babilonia" n. 109, marzo 1993, pp. 12-13. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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