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Sesso e "genere".
In margine alle solite polemiche coi queer.

[Dalla lista di discussione "movimento queer", 20 gennaio 2014]

di: Giovanni Dall'Orto.
 


Ancora una volta vengo accusato di non essere capace di "distinguere fra sesso e genere", una delle distinzioni più care agli intruppati dietro il carrozzone della Teoria queer.
Ora, vedo che è vano ripetere che la mia cosiddetta "confusione" non è altro che il rifiuto, tutt'altro che confuso ma anzi cosciente e determinato, di separare teoricamente sesso e genere come se fossero questioni assolutamente separate e indipendenti.
L'ideologia che afferma che si tratta di due questioni separate, la teoria queer, la conosco bene, grazie, quindi non ho bisogno di essere "illuminato" dalla Santa Inqueerizione circa i miei errori e indottrinato per capire quale sia la "verità", dato che la conosco, però semplicemente dissento da essa, come è mio diritto fare.

L'ipotesi queer secondo cui sesso e genere sono due questioni del tutto distinte è senz'altro una ipotesi interessante, meritevole di dibattito in quanto è un utile contraltare alla tesi biologista opposta secondo cui "il sesso è un destino biologico", il rapporto fra i due elementi è inscindibile fino all'identificazione, per cui se nasci con certi genitali sei "tenuto" a certi comportamenti, desideri, e orientamenti.

Tutto ciò premesso, resta una mera ipotesi e non un "fatto". Accusarmi di "confondere" ciò che non sto affatto confondendo, bensì contestando attivamente, è quindi un controsenso.


L'assoluta arbitrarietà del genere trova infatti un limite nel dato di fatto che la riproduzione sessuale è un fatto biologico, come tale non "costruibile" socialmente. Possiamo attribuire significati e valori (sociali e soggettivi) al sesso biologico, ma non possiamo creare il sesso biologico, a differenza di quanto proclama la teoria queer, secondo cui anche il sesso biologico è una costruzione sociale.

Invece io ritengo che noi esseri umani, con tutta la nostra arroganza che ci fa illudere che la realtà esista solo perché la facciamo esistere noi coi nostri ego gonfiati come dirigibili, possiamo sì dare i nomi alle cose come Adamo alle bestie, possiamo sì dare un senso alle cose, ma le cose preesistono ai nomi e al senso che diamo loro, e indipendentemente da essi. Posizione materialista, la mia, controcorrente rispetto al nominalismo postmoderno che va per la maggiore, e tuttavia legittima in quanto vecchia di tremila anni almeno, e quindi con una sua dignità filosofica che ha il diritto di essere rispettata.

Il caso di David Reimer da me discusso di recente su "Pride" mostra un caso assolutamente paradigmatico di persona educata secondo il ruolo di genere del sesso opposto a quello cromosomico, e che cionostante ha sviluppato fin da bambin*, contro la pressione ambientale, un ruolo di genere, un'identità di genere e un orientamento sessuale congruenti con quelli del suo sesso biologico e non con quelli del sesso assegnato arbitrariamente dall'esterno.

Questo "esperimento involontario" (Reimer era stato castrato da neonato durante un'improvvida operazione di circoncisione) ci porta a ipotizzare (si noti, ipotizzare) che in questioni come orientamento sessuale e identità di genere esistano elementi (che non ho il minimo problema ad ammettere essere del tutto ignoti al nostro sapere attuale, e al mio) che vanno al di là della pura e semplice "costruzione sociale".
Io stesso ho trovato durante le mie ricerche storiche diversi casi di "ermafroditismo" studiati fra Seicento ed Ottocento (dunque, prima della presunta "invenzione medica dell'omosessualità" nel 1869), nei quali l'orientamento sessuale dell'individuo era in accordo con il sesso biologico (appurato per mezzo di mutamenti avvenuti alla pubertà, come per esempio la discesa dei testicoli in una bambina, o le mestruazioni in un bambino) e non con quello attribuito socialmente. Particolare interessante, nonostante in quei secoli non si potesse certo pretendere un'attenzione all'identità di genere, in più di un caso la relazione faceva notare - anche se qui un bias selettivo nell'osservazione è del tutto ipotizzabile - la presenza di comportamenti ed atti concordanti con l'identità e il ruolo di genere biologici anziché con quello di attribuzione. (Tipicamente, la ragazza era un "maschiaccio" e faceva la corte alle ragazze, o viceversa. Purtroppo solo sporadicamente ci viene tramandata quale fosse l'identità di genere di questi intersessuali, anche perché spesso il risultato di questi vai-e-vieni tra ruoli e identità era la confusione mentale e la disperazione, come esemplifica il tragico caso di Hérculine Barbin reso celebre da Michel Foucault).

Ripeto, io non saprei descrivere da un punto di vista scientifico quali siano questi elementi (e in tutta la questione delle radici dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere la scienza brancola semplicemente nel buio), ma visto che le spiegazioni attuali presentano un insieme di conseguenze prive di cause, ipotizzare che tali cause esistano è una necessità logica. Del resto, che esistesse un gas necessario alla combustione lo si è capito molti anni prima che lo si identificasse con l'ossigeno, nel frattempo lo si era chiamato "flogisto", e se ne era sbagliato il nome, tuttavia il fatto che esistesse rimaneva vero già prima di battezzarlo con il nome esatto.


Ma c'è di più. La mia posizione critica nasce dal fatto che vedo i queer ed i cattolici integralisti come due facce della medesima medaglia: i primi la testa (priva, sessuofobicamente, d'un corpo) e i secondi, inevitabilmente, la Croce (incapace di concepire una sessualità che vada oltre all'infilare la chiave nella toppa). Infatti laddove per i secondi tutto è sesso e tutto è biologico e tutto è ereditario e istintivo, per i primi tutto è genere, la biologia non esiste, e se non ci venisse insegnato che esiste il sesso, manco ci passerebbe per la testa che esiste:

Per entrambi l'errore è lo stesso: la parola "tutto", derivante da un delirio totalitario tipico di chi crede di possedere la Verità Rivelata, e che non tollera una realtà complessa in cui, chissà, dato biologico e dato sociale interagiscano incessantamente (a me che sono marxista piace la definizione: "dialetticamente") nel configurare ciò che è l'essere umano.
Ricaschiamo per la millesima volta nello stucchevole dibattito natura vs cultura, nel quale i cattolici sposano la presunta natura (ossia, quello che loro affermano essere la natura), e i queer la presunta cultura  (ossia, quello che loro affermano essere la cultura), e nel quale entrambi sono assolutamente concordi sul fatto che solo uno dei due corni del problema può essere quello "vero".

Per "Sentinelle in piedi" e compagnia cantante tutto sta scritto nei geni: esiste a quanto pare un gene, evolutosi nelle caverne con lungimirante anticipo di centinaia di migliaia di anni, che fa preferire i pizzi rosa alle bambine e le macchine rombanti ai bambini. Ma tu guarda il miracolo dell'evoluzione!
Per i queer nostrani (quanto a Judith Butler, ammetto che non è così rozza), invece, tutto è "genere" e niente è "sesso" al punto che ci tocca leggere che un gatto nato con genitali difettosi e ambigui, sottoposto alla chirurgia plastica per correggerne la conformazione, ha "subito un intervento di riassegnazione di genere".
Ma il "genere" non era un dato squisitamente culturale? Quindi gli animali possiedono una cultura (in senso antropologico)? Oppure qualcuno sta solo implicando che il "genere" si identifica con l'aspetto esteriore dei genitali? Quindi qui "genere", gira che ti rigira, è l'esatto sinonimo di "sesso"... e poi quello che "fa confusione" sarei io?
Ebbene, se il genere è un costrutto sociale, un gatto non può avere genere, dato che i gatti non hanno "società". In effetti, a quel gatto è stato semplicemente corretto l'aspetto esteriore dell'apparato urogenitale, colpito da una malformazione genetica. Niente di più di questo. Contrariamente a quanto dice la proprietaria intervistata, quindi, la gatta non è "diventata" un gatto solo perché ora il suo apparato genitale ha una conformazione maschile. O quell'animale è sempre stato un gatto maschio come lo è oggi, però con genitali malformati, oppure adesso è una gatta con genitali non congruenti al sesso biologico a causa di un intervento umano. Punto. Visto che un gatto non può avere genere, la questione si chiude qui: di certo un gatto "transgender" è un'impossibilità logica. (A meno di ammettere, come sostengono le "Sentinelle in piedi", che il genere sia biologicamente determinato dal sesso cromosomico.... Ah!).

Non basta ancora: facciamo bene attenzione a cosa implica in realtà l'autore di questo articolo pasticciato e assurdo. Usando il concetto di "genere" invece che di "sesso" (solo perché "genere" è termine alla moda, mentre "sesso" è "vecchio"), ci rivela che il "genere" si identifica con la forma esteriore dell'organo genitale. Implicazione: se questa è la regola, allora la richiesta della "piccola soluzione", ossia la possibilità per le persone transgender di indicare sui documenti il genere con cui si identificano anziché quello a cui appartengono i loro genitali, è assurda. Per cambiare genere, è obbligatorio cambiare la conformazione dei genitali! Demenziale.


Complica la situazione (ed ostacola il dibattito) l'insopportabile facilità con cui viene scagliata l'accusa di "transfobia" contro chiunque non condivida, come non condivido io, i dogmi queer, che sono funzionali alla Grande Crociata contro i mulini a vento, ossia contro il terribile "binarismo sessuale", ossia l'illusione che i sessi siano due e non duecentoventidue. (Perché "due non basta" è "spiegato" - si fa per dire - qui).
Infatti se una persona transgender insiste di essere "nata" del genere di sua scelta non solo psicologicamente, ma anche fisicamente, come è accaduto più di una volta, credo di avere il pieno diritto di distinguere tra i fatti verificabili e le idee, le fantasie, le aspirazioni, le convinzioni, le sensazioni soggettive di questa persona.
Chi per aver ragione deve mentire e distorcere i fatti, ha ragioni troppo deboli per aver ragione da sole.

Nessuna quantità di "politicamente corretto" è sufficiente a giustificare la negazione dei fatti che osserviamo. Nessun movimento che fondi le sue azioni sulla negazione della realtà (come fanno per esempio le "Sentinelle in piedi", che mentono sistematicamente sapendo di mentire) ha un futuro molto lungo. Figuriamoci se si tratta di un movimento che come il nostro già è accusato dalla maggioranza della popolazione di essere "contro" la presunta natura delle cose. In breve:

Ebbene: negare la verità della prima affermazione "in quanto" la terza è vera, costituisce un salto logico del tutto assurdo: non è neppure un "falso" sillogismo, è puro delirio. L'affermazione: "Io sono nata con una vagina che però non si vede perché ci sta attaccato sopra questo pezzo di carne che devo farmi togliere perché le impedisce di farsi vedere", contiene una verità soggettiva che può essere anche molto profonda, ma che oggettivamente non possiede alcun dato di contatto con il reale.
E affermare che questa persona non è nata con una vagina non costituisce "transfobia", e affermare che invece lo è nata non è affatto un modo per aiutarla. Affatto.
Un'affermazione come quella citata costituisce infatti un puro e semplice delirio, e non mi risulta che incoraggiare i deliri sia un modo per aiutare la persona che ne soffra.

Al contrario, le operazioni di riattribuzione di genere non andrebbero effettuate (e così vuole anche la legge) se non su persone che abbiano una chiara e lucida visione della situazione. Negare l'operazione a una persona che fa ragionamenti deliranti non è "transfobia" più di quanto lo sia negare a una persona il diritto di amputarsi una mano o una gamba perché "sento che non mi appartengono". Non nego affatto che quella persona senta per davvero quelle cose, e non nego affatto che il suo disagio e la sua sofferenza psichica siano reali, nego però che sia dimostrazione di grande apertura mentale permettere a chiunque di amputarsi qualsiasi cosa perché in caso contrario saresti "transfobico".
I casi di transessuali che hanno cambiato genere due o tre volte non dimostrano che "i trans sono pazzi", come cercano di darci a bere i fanatici cristiani strumentalizzando questi casi, bensì che i servizi sociali che avrebbero dovuto percepire la presenza di problemi psichici e prevenire il disastro facevano schifo, e cercavano solo di scansare fatica e responsabilità.
La scelta di valutare caso per caso, persona per persona, a mio parere è saggia, e non sarebbe saggia se non prevedesse anche la possibilità - che in determinate circostanze diventa un dovere - di dire di no.
Affermare il contrario significa solo, come in parte è già avvenuto nel movimento lgbt, appaltare la propria capacità di ragionare a personalità deliranti e alla loro visione del mondo. E se credete che basti la minaccia di insultarmi come "transfobico"  per farmi dare ragione a uno psicopatico, vi sbagliate di grosso.


Ora, si noti bene, "personalità deliranti" non è sinonimo di "transessuali". Il movimento dei gay (intesi come maschi omosessuali) ha di suo una lunga tradizione di "ala psichiatrica". I gruppi gay hanno sempre attirato le persone disturbate. Chi ha un problema, è più facile che cerchi aiuto (e 99,999 persone su 100 a un Centro gay vanno a chiedere, non certo a offrire: sapevàtelo).
Ho un ricordo allucinante dell'incontro con Luca ******** quando si presentò ad Arcigay di Milano nel periodo in cui io curavo l'accoglienza: voleva già guarire decenni prima di inciampare nella Madonna, ed era già delirante quando era ancora gay al 100%. Non è diventato delirante dopo aver dichiarato di essere "guarito", al contrario ha dichiarato di essere "guarito" in quanto era già portato al delirio, fin da prima.

Dunque, non mi si faccia dire, al solito, cose che non ho mai detto. Le persone deliranti sono le persone deliranti, quale che sia il loro orientamento o identità sessuale, gay inclusi.
Ed io sostengo che non vanno ascoltate, siano cis, trans, gay, lesbo, bi o eterosessuali, solo perché sono deliranti. Punto.

Diverso è però il caso in cui, in nome del fatto che "poverini, hanno sofferto tanto", mi si chiede di andare dietro a un delirio, del tipo: "Io sono nata biologicamente donna". No, tu sei nata psicologicamente donna, cosa diversa (altrimenti il concetto stesso di "transizione" non avrebbe senso). Ciò non nega il tuo diritto a correggere l'errore biologico (la natura non fa altro che commettere errori biologici, come dimostrano i miei occhiali, che servono a correggerne uno), nega semplicemente il tuo diritto a distorcere i fatti. C'è una bella differenza.

I fatti non ti piacciono? Càpita. Alcuni miliardi di esseri umani non amano il fatto di essere nati poveri, ma negare che lo siano, o che i poveri esistano, non è affatto il metodo giusto per affrontare il problema della loro esistenza.
A meno di fare come i queer che, ogni volta che trovano un conflitto fra un fatto e un dogma, dichiarano che il fatto ha torto, o che i fatti non esistono, e lo distorcono.

In ogni caso tu non chiedere a me il diritto a falsificare i fatti solo perché, poverina, hai sofferto tanto. Questa non è neppure "correttezza politica". Questo è disgustoso pietismo cattolico e non so voi, ma a me ha sempre fatto schifo esserne oggetto.
Non vedo quindi perché dovrei infliggere ad altri quello che non voglio assolutamente che sia fatto a me.
 


Tratto da: Movimento queer
 
 
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