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Le radici tutte americane della "French theory" e della "Teoria queer".

[Da Facebook, 17/12/2016]

di: Giovanni Dall'Orto.
 

Copertina di Queer theory
La copertina del libro qui discusso.
 


Un amico ha segnalato alla mia attenzione questo libro, che spiega il fenomeno della guerra contro la "teoria gender" come reazione, nata in Francia, contro la "teoria queer". La presentazione del libro afferma che ciò è estremamente ironico, in quanto la teoria queer è nata da pensatori francesi.

Mi spiace, ma non è così. A parte il dettaglio non trascurabile che la “teoria anti-gender” è nata negli Usa da una giornalista cattolica dell’Opus Dei, anche la teoria queer è un prodotto americano al 101%, che presuppone un contesto culturale e una situazione pienamente anglosassone.

La teoria queer nasce semmai dal seme costituito dal saggio The homosexual role, della sociologa britannica Mary McIntosh un testo teorico del 1968 per nulla astruso (anzi, condivisibilissimo). Esso fa semplicemente notare come la concezione dell'omosessualità promossa dalla psicoanalisi di tradizione americana (eccoci), che era la narrazione dominante nel 1968, teorizzi una "natura omosessuale" fissa, transistorica, uguale a se stessa in ogni epoca ed in ogni cultura (come non pensare al Leonardo di Freud?), che occulta in realtà una costruzione sociale, una stigmatizzazione sociale, a partire da una teorizzazione di tipo pseudo-scientifico e pseudo-medico che non ha nulla di “naturale” e “biologco”. Ricordiamo che siamo nel 1968, e la descrizione della McIntosh è semplicemente una presa d'atto (e una denuncia) d’una realtà politica e sociale, radicata in un establishmente culturale che sarebbe stato contestato massicciamente solo a partire dall’anno successivo (i “moti di Stonewall “sono del 1969).

A partire da questo stimolo, pensatori tutti di lingua inglese hanno costruito un castello di carte che ha preso in prestito il linguaggio, anzi il gergo accademico, d’un gruppo di scrittori francesi, il cui unico merito è aver sdoganato a sinistra i due pensatori più amati dal nazismo, Nietzsche e Heidegger, che infatti oggi sono i due pensatori più amati dal pensiero postmoderno e quindi queer: tanti complimenti.

Come però notato nell'interessantissimo French theory di François Cusset (significativo qui il mantenimento del titolo in inglese nella traduzione italiana!)  i pensatori presi a fondamento della teoria queer e della teoria postmoderna in genere sono, in Francia, ampiamente dimenticati nel dibattito accademico, al punto che le tesi della "French theory" americana vengono discusse in Francia come apporti del pensiero contemporaneo statunitense, e non francese (e su questo punto mi segnalano questo studio  [che non ho letto]: Why there is no poststructuralism in France ).
La "French theory", la queer theory, sono americane come la torta di mele, perché nella loro teorizzazione di un "potere" che impone lo stigma di “omosessuale” ad una popolazione che rifiuta una identità come gruppo ma si vede costretto ad assumerlo dalle leggi e dalla psicoanalisi, noi abbiamo la descrizione della situazione statunitense degli anni Sessanta, e del razzismo che serpeggia nel modo di pensare statunitense, che tende a trasformare ogni conflitto sociale in un conflitto razziale.


Come ho scritto nel mio Tutta un'altra storia, gli Usa sono stati il vivaio dell'identità gay, ossia una identità quasi-etnica, proprio perché in precedenza avevano fatto, socialmente, degli omosessuali un gruppo etnico, o per meglio dire, una razza dannata. Che si è ribellata dicendo: saremo una razza, ma dannata non siamo. In Italia, in Francia, invece, il Potere ha sempre seguito la strategia inversa, ossia affermare che “L’omosessualità non esiste”, se non come disturbo transitorio che, volendo, può essere fatto sparire. Vedi caso, ciò che pure le sentinelle in piedi sostengono con le loro fottute “teorie riparative”.

Siamo proprio di fronte a due "narrazioni" contrastanti, e la queer theory nasce dalla narrazione anglosassone, non certo da quella francese (o italiana). Viceversa le sentinelle in piedi attecchiscono in paesi, come l'Italia e la Francia, nei quali la popolazione (inclusa quella gay!) pensa all'omosessualità più in termini di atti che di identità personali o sociali (“Il fatto che mi piace scopare coi maschi non implica che io sia un omosessuale”...). Per le Sentinelle in piedi, esattamente come per i queer, non esistono orientamenti sessuali, al plurale. Esiste solo l'istinto riproduttivo, che è biologicamente innato, e tutto il resto è malattia. Curabile.

Come ho avuto modo di notare nelle mie polemiche anti-queer (che potete divertirvi a leggere qui) , perfino il modo in cui Michel Foucault usa il concetto di "omosessualità" presuppone la realtà statunitense, non quella francese. A iniziare dalla tesi bislacca secondo cui l'invenzione nel 1869 da parte del mondo medico della parola "omosessualità" marca l'invenzione dell'omosessuale come tipo sociale. Ebbene, primo, la parola "omosessualità" non fu inventata da un medico bensì da un militante omosessuale, secondo, fu praticamente sconosciuta fino al 1907 (un decennio dopo la nascita del primo movimento omosessuale!), quando fu lanciata come eufemismo durante i grandi scandali tedeschi d’inizio secolo come quello della Tavola Rotonda, terzo, si deve aspettare il 1947 per vedere sconfitta nella patria di Foucault la concorrenza di “péderaste”, “uraniste” o “inverti sexuel”.

Al contrario di quanto accade invece in inglese, dove la scelta per “homosexual” è subito chiara e netta. Dunque, l’importanza esagerata concessa da Foucault e nipotini all’atto d’inventare la parola “omosessuale” rispecchia un’evoluzione storica squisitamente anglosassone, e soprattutto la situazione degli anni in cui Foucault scriveva, nel corso dei quali la parola “omosessualità” era oggettivamente la più usata (come al solito si p preso quel che è successo negli Usa e si è dato per scontato che nel resto del mondo "debba" essere successa la stessa cosa!) . Non è possibile studiare quanto “gay” spiazzi poi “omosessuale” in francese, dato che la parola “gay” in francese esiste come cognome e come arcaismo nel senso di “allegro”, tuttavia se prendiamo l’italiano notiamo che la parola “omosessuale” ha un breve momento di trionfo, che va dal 1950 (quando surclassa finalmente “pederasta”), al 1973 (anno in cui visibilmente decolla il termine “gay”, e non certo per l’aumento degli italiani con quel cognome).


In conclusione Foucault e soci non stanno descrivendo un’evoluzione storica avvenuta in Europa e men che meno in Francia nel XIX secolo, bensì un fenomeno avvenuto negli Usa (presi come paradigma unico di tutta la storia umana, ma senza dichiararlo) fra il 1905 e il 1945, e che ha poi avuto un grosso influsso culturale in Europa fra il 1950 e il 1980/90. Che sono poi, guarda caso, proprio gli anni della produzione “fondamentale” dei teorici francesi che la “French theory” americana cita come base delle proprie riflessioni. Quando si dice la coincidenza...

Analogamente la teoria queer non prende di mira una narrazione tipica dell’Occidente, ma molto più specificamente una narrazione tipica degli Usa o al massimo dei Paesi anglosassoni, tentando imperialisticamente di convincere del fatto che lo specifico sviluppo culturale del mondo socio-culturale statunitense sia uno sviluppo naturale e universale dell’intero “Occidente”, laddove esso è solo un sviluppo locale e temporaneo.

Non stupisce quindi che Bruno Perreau, per rispondere a “Les veilleurs” ed alla “Manif pour tous” francesi, ritenga più utile scrivere un libro in lingua inglese: i suoi interlocutori non sono i suoi concittadini, bensì i teorici delle accademie anglofone. A cadere nel "paradosso" non sono quindi le "Sentinelle in piedi" francesi, ma lui.


Tratto da: Facebook
 
 
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