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Lgbtqiaef: i perché di una sigla patetica

[Da Facebook, 11 settembre 2015]

di: Giovanni Dall'Orto.
 
 

La Comitata LGBTQIAEF "Giordana Bruna" di Verona.
 


Osservate il logo di questa associazione queer, ed osservate la sigla che riporta: si tratta di un'associazione lgbtqiaef.

A quanto si vede, non esiste limite alla continua aggiunta da parte dei queer di nuove lettere per creare sigle sempre più demenziali, perché l'idea alla base dello spacchettamento delle sigle è la impossibilità (che i queer teorizzano apertamente) di ri-conoscerci come esseri umani gli uni negli altri, di riconoscere le nostre esperienze in quelle altrui, e viceversa. Per questo è necessario volta per volta separare in modo sempre più analitico e minuzioso le identità le une dalle altre, ed occore specificarle una per una, in elenchi sempre più mostruosi e sempre più demenziali, che sono arrivati a comprendere (cosa particolarmente cretina per un movimento di liberazione omo-sessuale) i questioning (cioè coloro che non hanno capito se sono gay o se non lo sono) o gli asessuali (coloro che sono totalmente privi di qualsiasi interesse verso la sessualità, ergo non si capisce cosa ci azzecchino con noi), gli intersessuali (ossia gli ermafroditi, che come orientamento possono essere - e spesso sono - totalmente eterosessuali) o gli autosessuali (vi prego, risparmiatemi di spiegare questa...) eccetera eccetera eccetera eccetera, all'infinito.

A dar retta ai queer, infatti, noi possiamo riconoscerci solo in atti, pratiche, gesti, ma non in altro. Possiamo cioè osservare che altre persone compiono gli stessi atti che compiamo noi, ma mai che di conseguenza queste persone sono come noi. Ogni essere umano è irriducibile agli altri, è chiuso, sigillato, in-comunicante, e se esiste comunità, se esiste società, essa è sempre e solo motivo di oppressione e castrazione. La società è sempre e solo cattiva, solo l'individuo, nella sua solitudine, può essere libero.
La società ideale dei queer è il moto browniano: un pulviscolo di particelle che si muovono "liberamente" ("liberamente", quanto lo permettono le forze esterne che le agitano, obietto io... ma lasciamo correre) senza tenere mai conto le une delle altre.

Ora, il caso vuole che la capacità di ri-conoscersi negli altri, di empatizzare con le loro sofferenze e i loro bisogni, nel dire "tu sei me, io sono te", sia la base fondante di ogni "sinistra" della storia umana, mentre al contrario il concetto secondo cui "ogni uomo è un'isola", peggio ancora se non comunicante con le altre, stia come giustificazione del pensiero e soprattutto dell'azione di ogni destra della storia ("Che mi frega delle sofferenze altrui? Loro non sono me").
Questa è perciò la morte del movimento di liberazione lgbt: per la visione queer in cui siamo tutti isole non comunicanti, il massimo d'associazionismo a cui possiamo aspirare è la creazione d'un arcipelago. Lgbtqiaefpqrstuvz, ovviamente.


Ebbene: il movimento gay era nato dalla messa in comune di una esperienza, di una identità, di un destino politico. Il queer ne ha preso le distanze basandosi sul rifiuto dell'esistenza di qualsiasi esperienza umana comune, sull'esaltazione della devianza, della trasgressione, dell'unicità, dell'irripetibilità, della bizzarria (il significato inglese di "queer").
In questo senso quanto possono "mettere in comune" i queer sono solo atti, non certo un destino, e tanto meno un progetto politico ed ancor meno una comunità. Anzi, nel gergo queer "community" e "communitarism" indicano l'esatto inverso di quanto indica il linguaggio politico del movimento gay: indica cioè un gruppetto chiuso a riccio su se stesso, rinserrato agli influssi di quello che il movimento gay chiama comunità (sociale).

L'idea che l'educazione sia una forma di socializzazione di un nuovo essere umano, ossia d'introduzione a una comunità preesistente, è per i queer motivo di terribile shock.
La mia generazione, che chiedeva di fornire strumenti di integrazione per chi (zingari, migranti, analfabeti) era stato tradizionalmente escluso dalla società borghese, rischia di apparire, anzi appare, come terrificantemente normativa e castrante.

C'è in questo modo di pensare una deriva "anti-sociale", di cui infine Lorenzo Bernini alla buon'ora prende atto con un non celato tono di preoccupazione nel suo recente Apocalissi queer, dimostrando di rendersi conto del fatto che concepire le persone lgbtqnaskcdjasiofhasfjasfoasijhkasodfia come monadi incomunicanti, porta inevitabilmente alla morte di qualsiasi possibilità di esprimere politicamente e collettivamente i loro bisogni e i loro problemi. Come peraltro già denunciava, parlando delle donne, Martha Nussbaum, criticando le teorie di Judith Butler, fin dal lontano 1999. (Della serie: nulla che noi non avessimo già ampiamente previsto da mo'!).

Non a caso per i queer, come per tutto il pensiero postmoderno da cui derivano, la politica è una performance, un semplice atto teatrale che "mette in scena" una protesta esemplare che ritenuta inutile prima ancora di iniziarla (il Potere ci attraversa tutti, quindi è impossibile sfuggirgli) , non certo una prassi volta a cambiare la realtà concreta delle cose e delle persone, quale è intesa dal movimento glbt "tradizionale".
Del resto, per i queer le leggi sono solo motivo di oppressione, quindi che senso avrebbe battersi per cambiarle? E infatti non è certo per un caso se il movimento queer è contrario alla battaglia per il matrimonio egualitario...


Personalmente sono giunto a concepire questa adesione queer all'ultra-individualismo americano semplicemente come l'ultimo atto d'una guerra civile squisitamente interna al mondo omosessuale, combattuta da secoli fra coloro che dicono "io sono quel che sono", e coloro per i quali "i froci sono sempre gli altri" e dicono "il fatto che mi attirino solo le persone del mio stesso sesso non implica che io sia omosessuale".

I primi puntano a modificare il concetto che la società ha dell'omosessualità, i secondi puntano a dimostrare che loro non sono omosessuali, dato che l'omosessualità non esiste: nessuno "è" omosessuale, o eterosessuale, o bisessuale, dato che la sessualità umana è fluida e chi stamattina è omosessuale, stasera potrebbe addormentarsi bisessuale, e domattina svegliarsi eterosessuale.
I primi sostengono inoltre il carattere innato (qualunque cosa significhi questa parola, tutt'altro che chiara) delle loro pulsioni sessuali, e quindi affermano che il concetto di "orientamento sessuale" descrive una realtà oggettiva, gli altri sostengono il carattere artificiale, socialmente costruito degli orientamenti sessuali, che quindi sono pure parole, prive di qualsiasi corrispondenza nella realtà.

Definisco questa come una guerra civile squisitamente frocia perché le/gli eterosessuali il problema di cosa sono non se lo pongono neppure. Interrogarsi sul proprio orientamento è infatti un tipico atto che compie esclusivamente chi non condivide l'orientamento della maggioranza, e come tale è un atto che svela la non-eterosessualità di chi lo compie. L'eterosessuale infatti "è nata/o così" ed è "la natura" ad averla/o fatto come è. Lei non si è mai posta la domanda di "perché" è così: è nata così, il suo è un desiderio che non è giunto da fuori, ma è sbocciato da dentro.
Non si sente neppure "eterosessuale": si sente normale, "come tutti", si sente se stesso. Sono gli/le omosessuali ad essere "diventati" tali, anche se, bontà loro, molte/i etero riconoscono di non sapere bene la causa di tale "cambiamento"...

Per il pensiero eteronormativo, il grado zero della sessualità è l'eterosessualità. E solo chi non è eterosessuale non riesce a riconoscersi in questa giuliva convinzione, data per scontata da chi eterosessuale lo è.


Ebbene, è interessante osservare come la "e" della sigla lgbtqiaef stia ovviamente per "eterosessuali", il che svela un'inconscia subordinazione del gruppo "Giordana Bruna", e del pensiero queer in generale, a quella "eteronormatività" che pone le persone eterosessuali al centro del mondo e della politica, quale modello e "misura di tutte le sessualità", al punto che i queer che non si occupano di etero si sentono sminuiti, incompleti, insufficienti, non abbastanza importanti.
Occuparsi dei diritti di lesbiche e froci e trans non è infatti di per sé un obiettivo degno di considerazione: noi dobbiamo semmai salvare gli etero: allora sì che diventeremo finalmente importanti, allora sì che avremo dimostrato di non essere una parrocchietta chiusa in se stessa!
Pensiamo solo al Gay Pride di Milano 2015 che ha fatto l'elemosina ai migranti, per dimostrare... cosa?
Be', che noi non ci occupiamo "solo" di omosessualità, ma anche di questioni importanti, e serie, e giuste. Mica di lesbiche, trans e froci, per dire...


Post scriptum. A seguito della scrittura di questo pezzo mi è stata segnalata l'esistenza anche di questo coordinamento fra gruppi, che si denomina "elgbtqi", e che oltre a confermare ulteriormente l'irrefrenabilità della proliferazione cancerosa delle lettere, questa volta mette addirittura in prima posizione gli eterosessuali.

Per carità: niente di più logico che in un coordinamento di gruppi sulle "pari opportunità" possano essercene anche di non-gay (i diritti civili non hanno orientamento sessuale), un po' meno logico però che in posizione d'onore venga messa l'unica sigla che con la tematica lgbt non c'entra (se i diritti civili non hanno orientamento, allora perché deve essere in posizione d'onore quello?).

Non mi sono stupito, ovviamente: non è da oggi che sostengo che sotto la patina della "trazgrezzività" i queer stanno solo cercando di "smetterla di essere chiamati omosessuali" e basta. Però questo è uno di quei casi in cui avrei preferito essere smentito piuttosto che avere una conferma a quel che dico.


Tratto da: Facebook
 
 
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