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"Nel dibattito sulla Prep, gli interessi economici non hanno alcun peso".

Certo, come no...

[Da: In cerca di guai, 19 settembre 2017]

di: Giovanni Dall'Orto.
 

Simbolo di Act Up: "Silenzio = morte".
Simbolo del gruppo "Act Up!": "Il silenzio equvale alla morte".
 

Quando ho scritto per “Pride” il mio articolo contro la Prep davo per scontato che avrei avuto molte controrisposte (solo su “Pride” e “Prideonline” siamo ormai a quattro), dato che gli interessi economici in ballo sono enormi.
Per questo motivo, da regina favolosa quale sono, mi sono astenuto dal rispondere ai commenti spesso faziosi che il mio pezzo ha suscitato: non me l’ha ordinato il medico di scriverlo, e se non avessi voluto essere attaccato mi sarebbe bastato stare zitto e subire, come tutti gli altri.
Fin qui, tutto bene, se si eccettua il livello nullo delle controrisposte, che non affrontavano nessuna delle mie obiezioni, preferendo imperniarsi su due argomenti di profonda qualità: “ma come si permette quella là?!” e “Scienza mitt uns“.

Ora, si dà il caso che fra tutte le persone che sono intervenute nel dibattito, la sola ad avere scritto un libro sull’Aids fossi io. Un milliardennio fa, per carità, ed averlo fatto non fa di me un esperto, tuttavia mi ha almeno insegnato in quale modo si leggono le notizie sull’Hiv che vengono dall'”Industria della salute” (un aiutino per chi si fosse collegato solo ora: con infinita diffidenza). E pur non pretendendo, a differenza dei miei contraddittori, d’essere una “autorità” in materia, mi ha lo stesso dato fastidio vedere come in Italia sia diventato impossibile dibattere senza ricorrere alla più sciocca delle fallacie logiche, quella “ab auctoritatem“. Che afferma che solo chi sia una “autorità” ha il diritto di esprimere un parere su una scelta politica. Quindi, se vi dico che la moda di prendere apposta la scossa elettrica è pericolosa, io ho per forza torto, dato che io non so distinguere un Ohm da un Ampere. Logicamente dobbiamo invece ascoltare il dottor Franz Anton Mesmer, nota autorità in materia, riconosciuto internazionalmente come esperto, che guarisce i paralitici con le scosse elettriche…
Il ricorso a questa fallacia è assurdo per una seconda ragione: i miei contraddittori non hanno a loro volta nessuna autorità medico-epidemiologica. Infatti, se chi mi legge non l’avesse notato, l’industria della salute sta furbamente evitando di esporsi in prima persona tramite epidemiologi o ricercatori, preferendo “mandare avanti” (finanziandole) le associazioni di sieropositivi (ed essere un sieropositivo non fa di te un epidemiologo né un virologo, baby!).

Se le associazioni ce la fanno a imporci la Prep, le aziende hanno trovato una miniera d’oro, se non ce la fanno, ci hanno perso solo l’equivalente di pochi anni di cura di un solo paziente… E stando così le cose, diciamocelo francamente: sarebbero stati idioti a non provarci. Nice try.


Purtroppo, anche una regina favolosa ha i suoi limiti di sopportazione. Che nel mio caso sono raggiunti dal post scritto da Giulio Maria Corbelli sul suo profilo Facebook, nel quale Giulio commette l’errore di darci sotto con una seconda fallacia logica, l’attacco ad hominem (o se preferite, ad checcam), tirando in ballo le mie totalmente irrilevanti scelte sessuali personali, raccontategli almeno dieci anni fa, che nella fattispecie consistono, udite udite, nel… praticare sempre e solo sesso sicuro. Assurdo, eh?
Spostare il discorso sul piano personale può però diventare infinitamente pericoloso e sgradevole. Giusto per dare un esempio, a me non costa nulla ribattere che io, con quelle pratiche “assurde”, sono sopravvissuto (a differenza di molti altri) agli anni più neri dell’epidemia di Aids, sono arrivato a quasi sessant’anni sieronegativo (a differenza di molti altri), ed ho avuto una relazione di lunga durata con una persona che senza saperlo aveva l’epatite C, malattia che all’epoca manco aveva un nome, senza esserne infettato.
E tanto basti, dato che nel dire queste cose il mio scopo è solo chiedere che le questioni personali continuino ad essere lasciate fuori dal dibattito. Non fosse per altro che per una banale misura di prudenza. Sarebbe infatti saggio se persone che hanno subito per decenni una campagna di demonizzazione sociale, contro cui abbiamo combattuto insieme, evitassero di demonizzare chi esprime pareri contrari alla Prep (“Non esprimo giudizi su certe persone perché so come sono brave ad usare il fango, magari perché di fango sono fatte“, commenta Palmira Bianchi sotto il post di Giulio).

Che cos'hai contro il preservativo?

Manifesto di prevenzione del 1994: “Che cos’hai contro il preservativo?”.
Fonte: WikiCommons.

Tralascerò le altre argomentazioni di Giulio (se non sono totalmente solo in questa battaglia, lo faranno altri al posto mio, se invece lo sono, fanculo, non sono Gesù Cristo e non sono tenuto a caricare su di me di tutte le colpe della razza umana), salvo una che è particolarmente importante: l’acceso e quasi surreale diniego della rilevanza del fatto che tutte le associazioni di sieropositivi che si battono per la Prep sono finanziate (e non solo in Italia, sia chiaro!) dalle case farmaceutiche. Sono, quindi, in conflitto d’interessi. Cosa che non sarebbero se facessero come altre associazioni, che si fanno finanziare da Soros, ne condividono le idee, se ne fanno cassa di risonanza, e non hanno problemi ad ammetterlo.

Prima di proseguire con questa argomentazione un dato: i finanziamenti di cui stiamo parlando sono nell’ordine dei 200.000 / 250.000 euro. Lo so perché un’offerta simile fu fatta attorno all’inizio del decennio anche ad Arcigay (che la rifiutò proprio per non farsi condizionare politicamente). In altre parole, non stiamo discutendo dei dieci euro di offerta che tutti prima o poi abbiamo dato a queste associazioni.

Ora, Giulio dice che a fronte di questa liberalità le Onlus hanno mantenuto la loro assoluta indipendenza di giudizio, scrivendo al direttore di “Pride”, Stefano Bolognini, che aveva espresso il bisogno di sentire voci più neutrali sulla questione Prep:

(…) Il fatto di ricevere dei finanziamenti non significa essere al soldo di un’azienda: [nome di un’associazione] ha fatto della sua indipendenza una bandiera e un motivo di orgoglio ma anche ha sempre rifiutato il dogma secondo cui le case farmaceutiche sono il male assoluto che va combattuto a qualunque costo.
Senza le case farmaceutiche io non sarei qui oggi e così milioni di persone, nel bene e nel male sono attori indispensabili nell’attuale sistema (le cui storture mi sono purtroppo note, è un sistema marcio ma purtroppo è quello che abbiamo e con cui dobbiamo fare i conti) quindi dobbiamo trovare un modo per interagire con loro.

Ti invito quindi a riflettere meglio in futuro prima di gettare fango su un’associazione gratuitamente e ingiustificatamente e sfruttando la rivista di cui sei direttore.
Sui contenuti poi non ho molto da obiettare, anzi il punto per me – e per [nome dell’associazione] – centrale e irrinunciabile si sintetizza proprio con quello che tu stesso scrivi: “ben venga la PrEP per gli irriducibili del no condom”. Stop: questa è esattamente la posizione di [nome di associazione], vogliamo che chi non usa il preservativo abbia la possibilità di proteggersi.
Continueremo a insistere sull’utilità del preservativo ma in maniera laica, evitando che – come fanno Dall’Orto e altri – chi non lo usa si senta colpevolizzato. Il senso di colpa credo che sia il peggior nemico della prevenzione: per adottare stabilmente comportamenti più sicuri ci vuole consapevolezza, non terrore o colpa.
E poi non c’è colpa nel condurre una vita sessuale soddisfacente se non si fa danno agli altri. E se mi dici che chi non usa il preservativo mette a rischio anche la salute dell’altro occorre notare che sta anche all’altro accettare o rifiutare il rapporto senza condom. La colpa c’è se c’è inganno ma se entrambi sono d’accordo allora non vedo cosa condannare.

E soprattutto non vedo quale autorità abbiate voi che condannate chi non usa il preservativo. Tu non lo fai in maniera esplicita ma quando dici che la PrEP può “deresponsabilizzare dall’uso del preservativo” stai dicendo che usare il preservativo è responsabilità di chi fa sesso. Secondo me responsabilità di chi fa sesso è farlo in maniera consensuale, per il resto ognuno fa le sue scelte in base alle proprie preferenze.
Certo, sarebbe meglio poter dire alle persone come far sesso ma decenni di campagne per l’uso del preservativo ci hanno dimostrato che c’è uno zoccolo duro che da quel l’orecchio proprio non ci sente. E colpevolizzare serve solo ad allontanare quelle persone dai messaggi di prevenzione.

Un ultimo appunto: se su di voi sono piovuti molti insulti mi dispiace molto. Ci tengo però a farti sapere che su [Nome associazione] e su Sandro sono piovuti oltre agli insulti anche accuse gravi, di essere untori e di provocare epidemie. Giusto per farti capire che non c’è una parte “vittima” e un’altra “carnefice”.

Allora, una cosa alla volta. Prima, se “alcuni di noi sono ancora qui”, ciò non si deve alle multinazionali farmaceutiche, bensì al tanto vituperato sistema sanitario nazionale, che ha garantito a tutti, e diciamo tutti, la copertura dei costi tutt’altro che indifferenti delle tri-terapie. In altre nazioni invece la gente continua a morire di Aids (un milione solo nel 2016, per oltre la metà nella sola Africa) senza che le multinazionali farmaceutiche si preoccupino di fare restare “ancora qui” quanti non possono permettersi il costo delle cure. Tant’è che viene salutato come un successo il fatto che nel 2016, per la prima volta dall’inizio dell’epidemia (1981), le persone che potevano permettersi le cure costituivano finalmente la metà (53%, per l’esattezza) dei malati!
In compenso, una madre sieropositiva su quattro non aveva accesso alle terapie per impedire la trasmissione dell’infezione al feto. Questa sarebbe, credo, una causa sociale  assai più pressante per le generose multinazionali che bramano fare del bene ai gay italiani coi loro soldi: qui l’infezione è acclarata, e non potenziale, e il rischio di contagio certo, non ipotetico. Eppure, le generose multinazionali ritengono più opportuno beneficiare i gay completamente sani italiani, ossia privi di qualsiasi infezione, che preferiscono rischiare il contagio perché usare il preservativo… li annoia troppo!
Contrariamente a quanto crede Giulio, semmai, uno dei pilastri dell’ideologia del “libero mercato” è la guerra, che prosegue da decenni, affinché siano abrogate le leggi che in certe nazioni, come Sud Africa o India, consentono ancora di scavalcare i brevetti medici per produrre farmaci generici, a basso costo, qualora quelli protetti dal brevetto siano economicamente fuori portata per le esigenze della salute pubblica.


Abbiamo il diritto a vivere. Dateci medicine a prezzi accessibili“

Abbiamo il diritto a vivere. Dateci medicine a prezzi accessibili“. Manifesto alla conferenza sull’Aids a Durban, 2016.
Fonte: Christian Michelides, Wikicommons.

Tutto ciò premesso, vorrei anche aggiungere una cosa sull’affermazione di voler evitare che, “come fanno Dall’Orto e altri – chi non lo usa [il preservativo] si senta colpevolizzato. Il senso di colpa credo che sia il peggior nemico della prevenzione”.
Questo modo di porre la questione è una deliberata, maligna distorsione di quanto io ho scritto. Non ho mai cercato di “colpevolizzare” nessuno (al peggio, “responsabilizzare”, e non è affatto la stessa cosa). Ed è ridicolo dire qui che “il senso di colpa è nemico della prevenzione” dato che si sente colpevole chi almeno sa di avere compiuto un reato, laddove qui parliamo di persone che non si pongono proprio il problema di essere potenziali veicoli d’infezione per terze persone.
E scrivere “Secondo me responsabilità di chi fa sesso è farlo in maniera consensuale, per il resto ognuno fa le sue scelte in base alle proprie preferenze” implica dimenticare, a differenza di quanto facevamo in passato, che non tutti i nostri partner possono essere pienamente informati (chi la vede più, la prevenzione?), o in condizioni di potere relativo tali da poter fare “scelte”.

Giulio, come tutti gli altri, continua a fingere che non significhi assolutamente nulla il dato sull’esplosione delle malattie a trasmissione sessuale in concomitanza con l’introduzione della Prep e conseguente calo d’infezioni da Hiv: per lui conta solo il dato (positivo, e io non lo nego) sull’Hiv, e basta. Ma questo equivale a ragionare coi paraocchi: se per la sifilide basta una puntura di penicillina, per varie forme di epatite lo scherzo è molto meno innocuo.

In compenso apprezzo il lapsus con cui Giulio ammette lo scopo vero della Prep: “vogliamo che chi non usa il preservativo abbia la possibilità di proteggersi“. Peccato che la Prep sia propagandata, in primis dal CDC, come aggiunta al preservativo, e non come sostituto del preservativo.
Sia chiaro che il lapsus di Giulio mi va bene: preferisco giocare a carte scoperte, piuttosto che proseguire come ora, sapendo tutti – associazioni di sieropositivi in primis – che la Prep è attesa come alternativa al preservativo, che si rivolge a chi ha già deciso che ne vuole fare a meno.
Ma quando Giulio scrive: “Certo, sarebbe meglio poter dire alle persone come far sesso ma decenni di campagne per l’uso del preservativo ci hanno dimostrato che c’è uno zoccolo duro che da quell’orecchio proprio non ci sente. E colpevolizzare serve solo ad allontanare quelle persone dai messaggi di prevenzione“, mi chiedo che razza di ragionamento sia quello che dice: “visto che queste persone sono sorde ai messaggi di prevenzione, allora abbandoniamo completamente la prevenzione”.
Perché, mi si scusi se mi ripeto, la Prep preverrà anche dal contagio con Hiv, ma non da tutte le altre malattie da cui il preservativo preserva, alcune delle quali gravi o gravissime.
Solo l’esplosione dell’Aids, nel 1981, fece passare in secondo piano la gravità dell’epidemia di epatiti esplosa nella comunità gay americana, assieme a sotto-epidemie bizzarre di malattie come shigellosi, amebiasi, giardia ed altre ancora; solo la diffusione del sesso sicuro per proteggersi dall’epidemia di Aids riuscì infine ad averne ragione.
Le associazioni di sieropositivi non si curano di tutto ciò che non sia l’Hiv? Questo è un loro diritto. Ma ricordare che non esiste solo l’Hiv, non significa essere “oscurantista”, come accusano loro, significa solo avere una prospettiva sulla salute della comunità gay un attimino più ampia e meno monotematica di quella che hanno loro!


Fin qui la mia risposta. Nel frattempo, come si può leggere in appendice all’articolo originario che ho messo online qui, un amico più addentro di me nelle questioni brevettuali mi ha segnalato che il brevetto sulle molecole usate nella Prep è scaduto quest’anno, e che quindi stanno per entrare sul mercato “generici” che ne abbatteranno il costo anche di venti volte. (In margine: il prezzo di 1050 euro per settimana, che mi è stato contestato, è quello che appare su una scatola usata da un mio amico, non me lo sono inventato. Se poi il Servizio sanitario nazionale ottiene sconti, è un’ottima cosa: dopo tutto esiste per questo; tuttavia il prezzo stampato, quello, è).

Una scatola per una settimana potrà venire a costare anche solo una cinquantina di euro: non è regalata, però non è più di quanto certi gay spendano già in cocaina e alcol ad ogni weekend.
Il punto è che la legge consente di ri-brevettare, purché per un uso diverso, una molecola il cui brevetto è scaduto. Ad esempio, un medicinale contro l’angina pectoris, dotato di effetti collaterali sgradevoli (provocava una persistente erezione nei pazienti maschi…) è stato ribrevettato alla scadenza, e lanciato con una martellante campagna pubblicitaria come farmaco per favorire l’erezione, col nome commerciale di “Viagra”.
Se questa premessa è vera, come a me pare, allora qui la strategia delle multinazionali non è tanto convincere la mutua a passare la Prep ai gay, quanto ottenere un’autorizzazione all’uso che in un secondo momento apra la strada a un utilizzo “ricreativo” e privato della Prep, simile a quello che si è visto col Viagra: ottenibile solo sotto stretto controllo medico, ma venduto sottobanco dappertutto, anche in dose singola.
Ci basta aspettare per vedere chi di noi avesse ragione. E insisto, questa volta non voglio che nessuno possa dire, di fronte ai danni, per l’ennesima volta, “Ah, ma io non lo avrei mai creduto possibile”.

Giovanni Dall’Orto, 19/10/2017.




Appendice:
Un po' di senso critico sulla Prep, vivaddio!
[Da "In cerca di guai", 22 settembre 2017]

È notevole che un articolo contro la Prep pubblicato a luglio  continui ad essere citato su Facebook e a suscitare reazioni (specie negative, ma non mi aspettavo certo le ovazioni, chiaro).
La cosa più buffa di tutte, però, è che un mio amico che lavora per una multinazionale farmaceutica continua a sfottermi via Whatsapp come ingenua Biancaneve che non ha nessuna idea di come ragionino davvero i manager delle multinazionali farmaceutiche.
Questo mio amico prende in giro la mia idea che la mezza milionata di euro alle Ong di sieropositivi sia stata data per “ammorbidirle” sulla Prep. Mezzo milione di euro – mi fa notare – sono noccioline, briciole. Mezzo milione di euro sono giusto un atto di Pubbliche Relazioni, come quando l'Ikea sponsorizza la squadra di calcetto dei suoi dipendenti.
Io ragiono troppo in piccolo, da povero: i “veri” soldi che muove “davvero” l’industria del farmaco sono tali che le poche centinaia di milioni di euro che potranno girare attorno alla Prep una volta che
i generici saranno disponibili per tutti, saranno briciole da pidocchi. Mezzo milione di euro è (quasi) la cifra che le aziende potranno chiedere per guarire dal tumore un solo cliente, non appena la nuova generazione di antitumorali attualmente in studio avrà completato i test e sarà disponibile. Uno solo.

Questa critica, che apprezzo in quanto è a un livello superiore a quello dei frociati della Prep, che fin qui come argomento più profondo per ribattermi sono riusciti a escogitare unicamente: “ma come ti permetti?“, mi colpisce, in quanto guardando da quella prospettiva può essere del tutto vero che a quei livelli nessuno abbia mai avuto intenzione di “ammorbidire” nessuno. Giusto una mancetta per migliorare un poco l’immagine dell’industria in un mondo, come quello gay, in cui le multinazionali farmaceutiche nei decenni passati hanno fatto cose tali che devono farsi perdonare molto, moltissimo. Tant’è che l’offerta di finanziamento era stata fatta anche ad Arcigay (che aveva peraltro rifiutato, per non legarsi le mani).

Dopodiché però mi chiedo se viceversa il mio amico non ragioni troppo da ricco. E non si renda conto che 10.000 “miserabili” euro, per un volontario di una ong, oggi come oggi nell’Italia del “jobs act” di Renzi sono uno stipendio. E che centinaia di persone, oggi, si accoltellerebbero per vedersi garantire diecimila euro di stipendio annuo, e soprattutto avendolo ottenuto maturerebbero un atteggiamento di gratitudine e riconoscenza verso la mano che ha concesso quelle briciole, da cui dipende la propria esistenza.
Vorrei peraltro ricordare che non ho mai accusato nessuno di essersi fatto “corrompere” (anche perché molte di quelle persone le conosco di persona e so chi sono): non ho mai pensato che qualcuno si sia appartato in un angolo per farsi consegnare una mazzetta di banconote da un figuro in gessato che ha uno strano gonfiore sotto l’ascella e fuma un sigaro.

Leggete bene l’articolo di cui sopra: io accuso le associazioni di avere dimostrato scarso senso critico ed eccessiva arrendevolezza verso i dati forniti dalle multinazionali. Che è del resto proprio quanto ci si aspetta dalla sponsorizzazione dell’Ikea della squadra di calcetto: un atteggiamento più disteso e benevolente da parte di chi riceve il dono… tutto qui.
Un dono non è mai privo di conseguenza, fosse anche la banale riconoscenza, altrimenti nessuno farebbe mai doni.
Specie le multinazionali, i cui dirigenti non hanno come scopo primario la beneficenza (ehi, là fuori c’è qualcuno che lo ha presente? Per parafrasare Mao: “Il capitalismo non è un pranzo di gala“…).



Il punto è che io con questi miei interventi sto chiedendo un dibattito, che in Italia fin qui non abbiamo mai avuto.

Lo chiedo su questo, lo chiedo sulla GPA (“Pride” del prossimo mese pubblicherà un mio articolo sul tema), lo chiederò sui “bambini principessa” e sull’utilizzo di farmaci che bloccano la pubertà (ci risiamo, con le pillole magiche!), e su mille altre questioni.
Sono stufo del fatto che le scelte del movimento lgbtaspjlkdngsdfklfgvn ormai vengano “telecomandate” dagli Usa senza che noi possediamo non dico gli strumenti culturali, ma il senso critico necessario per vagliare tali richieste e rispondere, se caso, di no  (infatti sinora non è mai accaduto).
Eppure decenni di rapporti con le case farmaceutiche ci hanno insegnato che esse hanno il vizietto di “dimenticarsi” sempre di rendere noti i dati che vadano contro i loro interessi economici. Non solo sulla Prep, o sull’Aids in genere, ma su qualsiasi malattia.
Decenni che ci hanno insegnato il senso critico e la prudenza, anche se forse le generazioni più giovani, vivendo nel fantastico mondo di Heidi, Renzi e Berlusconi, non riescono neppure a prendere in considerazione tale esperienza, che loro giudicano vecchia e datata. Ehi, oggi le multinazionali sono 2.0, sono gay friendlypagano l’Associazione Rosa Parks per ottenere il bollino di gayfriendliness!
Quel che mi ha colpito e spinto a scrivere il mio primo pezzo contro la Prep è stato, in primis, l’atteggiamento di entusiasmo acritico dei frociati italiani della Prep verso le “pillole di buon sesso“, primo medicinale nella storia umana (a parte l’acqua fresca) ad offrire esclusivamente vantaggi e nessun effetto indesiderato. Questo dato anomalo mi ha fatto suonare il campanellino d’allarme.
Anni d’impegno contro l’Aids mi avevano insegnato, invece, che un atteggiamento acritico è sempre foriero di disastri.
Il fatto che in greco “fàrmakon” significhi non solo “medicinale” ma anche “veleno, dovrebbe metterci tutti in guardia.

Un po’ di senso critico, vivaddio!

Giovanni Dall’Orto, 22/9/2017



Tratto da: "In cerca di guai", 22/0/2017.
 
 
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