Home page Giovanni Dall'OrtoScritti di attualità > da Pride > Velati e non

Un po' di rispetto per chi è "velato"!

da "Pride", giugno 2001

di: Giovanni Dall'Orto

Prendo spunto dalla lettera di un giovane lettore per una riflessione: questa volta si parla della condizione di chi è gay e non se la sente di “dichiararsi”.



Caro Giovanni,

è ormai da molto tempo che leggo i tuoi articoli, e ho riflettuto molto su Non solo il sesso, comparso su “Pride” di aprile [2001]. L'ho trovato molto stimolante, soprattutto per quelli come me, che non hanno il coraggio (come sostieni tu) di militare in prima fila, ma contestualmente vorrebbero (quasi sempre) essere al fianco di persone come te a sostenere le stesse giuste battaglie.

Vorrei però che questa fosse l'opportunità di una discussione su un tema che molto spesso ti ho sentito trattare con - secondo me - troppo rigore: "…i molti che non hanno il coraggio d'apparire come gay a viso aperto…".

Io sono uno di questi, e come tale sono consapevole di una tua considerazione negativa, ma t’invito a considerare la molteplicità delle situazioni estremamente diverse in cui ognuno di noi si trova. Non è sempre così facile fare il coming out, a voi così gradito. 
I problemi sono quelli di sempre: pregiudizi, genitori non comprensivi, amici che rimangono tali fin tanto che si professa la propria eterosessualità, l'ironia cattiva della gente per strada, e una componente spesso sottovalutata: la mancanza di solidarietà fra noi gay.

Certo è vero che queste sono da considerarsi "attenuazioni" di colpa, data l'importanza di vivere la propria vita in tutti i suoi aspetti, compreso quello sessuale, alla luce del giorno. Prescindere, però, dalla loro considerazione o fare un'analisi troppo rigorosa del comportamento, come spesso ti vedo fare, non mi sembra il modo più corretto per incentivare coloro che vivono questa realtà e che, magari, stanno per "venire fuori". (Che il prossimo sia forse il sottoscritto? Magari!).

La mia situazione personale, a dire il vero, la ritengo anche peggiore: probabilmente ho ancora qualche problema di accettazione. Lo dimostra la stupidità della mia indecisione a intraprendere quella che ormai è sull'orlo di diventare una storia sentimentale con un ragazzo che mi vuol bene, solo per la mia paura di essere giudicato male e riconosciuto gay dalla gente…

Lo so: siamo agli antipodi della "visibilità gay" e magari ti sentirai disgustato da quello che ti sto raccontando. Il tragico di tutto ciò è che, se da una parte mi comporto così, dall'altra mi sento veramente uno "str..." incapace di tirar fuori le palle e fregarsene degli altri.

Magari un giorno ci si confronterà personalmente, perché è proprio il dialogo a far crescere le persone, a far "…maturare i molti che non hanno il coraggio di apparire come gay a viso aperto"…

Alex, 22 anni, Milano
 



Ciao Alex,
io credo che sia importante chiarire una cosa: non esistono al mondo due razze di gay in guerra fra loro, cioè i “dichiarati” e i “velati”. Esiste un solo tipo di persone, nella cui vita esistono due fasi: quella da “velato” e quella da “dichiarato”: cioè un “prima” e un “dopo”.

Ogni gay, anche il più dichiaro, anch’io, è stato “velato” ad un certo punto della sua vita.

L’omosessualità è una specie di ospite non invitato che ci è apparso quando eravamo ancora ragazzini, con le idee confuse e tanta paura su tutto. Tacere, non dire la verità, magari rifiutare la situazione è stato una comprensibile reazione di autodifesa. Dopo tutto, come tu stesso noti, siamo circondati da amici, conoscenti, magari genitori, che non si vergognano di dire che se avessero un figlio “frocio” lo ucciderebbero, o che dimostrano disprezzo verso la nostra minoranza.
Io considero quindi la fase della “velataggine” come il “foglio rosa” che serve per imparare a… guidare come gay, quindi la considero una fase del tutto normale in tutti gli omosessuali (e se qualcuno è stato così fortunato da evitarla, meglio per lui: io per esempio non ci sono riuscito).

Il problema sorge semmai più avanti, quando passata l’età della confusione manca il coraggio per diventare adulti, cioè di pagare il prezzo delle proprie scelte. Eppure il problema non sta nemmeno qui, perché io penso che ognuno abbia il diritto di fare della sua vita quel che vuole, compreso sciuparla e buttarla via.

_Orgoglio gay in gabbia_ - Foto G. Dall'OrtoMa allora da dove viene la mia posizione? Be’, la mia insofferenza nasce nel momento in cui vogliamo coinvolgere gli altri nelle nostre scelte, e fare pagare a loro il prezzo dì ciò che abbiamo deciso noi.
La visibilità non è un fine, e soprattutto non è fine a se stessa. La visibilità è un mezzo, uno strumento per vivere meglio assieme alle persone a cui vogliamo bene e che ci vogliono bene. Tu stesso nella tua lettera mostri ciò a cui occorre rinunciare se non si ha il coraggio di essere se stessi: l’amore, per esempio.
Ma ci sono cose molto più gravi, che mi fanno rivoltare lo stomaco: ad esempio, ho conosciuto gay che avevano assistito all’aggressione contro un altro gay, e rifiutavano di testimoniare per paura che si sapesse che loro erano “lì” e quindi che erano gay. Come le giudichi, tu? Io di sicuro non con indulgenza, e lo ammetto.

Ti lamenti della scarsa solidarietà del mondo gay, ed hai ragione, ma ti sei mai chiesto se il comportamento verso cui mi chiedi di essere un po’ più indulgente non abbia una qualche responsabilità, in questa situazione? Com’è possibile essere solidali fra gay, quando qualunque forma di solidarietà richiede almeno un minimo di visibilità?
Com’è possibile amare un’altra persona vergognandosi del proprio sentimento? E nota che qui la nostra scelta, e la nostra eventuale vergogna, coinvolge un altro essere umano, che soffrirà.

Ma c’è di più. Alcune volte le persone “velate” riconoscono che vivere a viso aperto sia una cosa desiderabile (anche se poi si lasciano prendere la mano dalla paura e concludono che “purtroppo” per loro ciò non è possibile, perché loro e soltanto loro hanno amici, genitori, colleghi, totalmente ottusi… gli altri gay, invece, no...). Con queste persone mi è possibile, almeno a livello astratto, un convergenza d’idee.

I problemi seri nascono con le persone che della “velataggine” hanno fatto una filosofia di vita, e cercano di terrorizzare gli altri omosessuali ripetendo che cose tremende, terribili, terrificanti accadono a coloro che dichiarano di essere gay (quali? Non te lo sanno mai dire, ma “sanno” che comunque è così). E se si fa notare che ormai esistono migliaia di gay dichiarati in tutta Italia, sputano veleno: ah, ma quelli sono pazzi, esibizionisti, incoscienti che scuotono la barca su cui ci troviamo tutti senza fregarsene se così facendo attirano rappresaglie anche sui gay che sono “decenti” e “discreti”!
  

Coppietta eterosessuale che ostenta. (Foto G. Dall'Orto)
Coppia etero che ostenta le tendenze sessuali. Chissà perché non esistono eterosessuali "velati"... (Foto G. Dall'Orto).
È qui che io mi irrigidisco. E lo faccio proprio per solidarietà, Alex. Sento che quelli come te hanno il diritto a una scelta vera. Perché in qualsiasi locale gay tu vada il ritornello è lo stesso: la nostra vita sarebbe più leggera e felice se potessimo essere noi stessi, ma purtroppo non si può, siamo condannati all’infelicitàE chi si ribella è un pazzo, un idiota…
Condannati? E da chi? È così difficile essere se stessi? Non dovrebbe essere la cosa più semplice del mondo? E tu credi che gli amici che ritieni così ottusi riescano a immaginare che tu menta loro ogni istante che passi con loro? E credi che sapendolo non si vergognerebbero di chiedertelo?
Essere se stessi, è vero, ha un prezzo. Qualche amico potresti anche perderlo, e qualche mese a discutere da mattina a sera lo devi mettere in conto. Ma sei adulto: puoi sopravvivere. Forse dovrai litigare coi tuoi, ma se vi volete bene, passerà anche questa come è passata per milioni di altri gay che lo hanno già fatto. E dopo averlo fatto scoprirai con stupore che gli altri ti apprezzano di più perché sei una persona capace di vivere la verità, anche se è scomoda.

Io so che vivere da “dichiarato” è infinitamente più facile e gradevole che vivere da “velato”. Ha un prezzo, è vero, ma chissà perché tutti sono pronti a parlare di questo prezzo, mentre tacciono sul prezzo ben maggiore che costa la “velataggine”.
 

Solo quando fai il coming out e ti guardi indietro ti chiedi come fosse possibile vivere in quel modo spaventoso. Io lo so, ma non te lo posso dimostrare: solo raccontare. Il coming out è una prova che devi superare tu, da solo. Quelli come me possono solo incoraggiarti, spiegarti come abbiano risolto i problemi che anche tu dovrai affrontare, ma nulla di più. Si arriva a un punto in cui tu, e tu solo, devi prendere coraggio, trattenere il respiro e saltare il fosso.
 

Io non ti disprezzo perché stai di là, sappilo, e se a volte ti paio un po’ rude, è solo per scuoterti. Ti vedo seduto e rassegnato al deserto degli affetti che c’è dall’altra parte, solo perché ti hanno detto che questo fosso, che è largo solo cinquanta centimetri, contiene draghi spaventosi che divorano chi lo attraversa… e dovrei restare indifferente?

Io la mia scelta l’ho fatta, e ho la mia vita. Potrei fregarmene di te e della tua solitudine… e invece no, m’impiccio.
Faccio davvero male?

Per concludere, vorrei suggerirti confrontarti con qualche coetaneo che ha fatto la scelta della visibilità, per esempio al “gruppo giovani” dell’Arcigay qui a Milano: giovanigaylesbiche@yahoo.it

E chissà che non ti veda prima o poi a un Gay Pride, magari in compagnia del tuo ragazzo…



Da "Pride", giugno 2001. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

[Torna alla pagina principale] [Torna all'indice degli scritti d'attualità]