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San Giovanni Battista [1595/1598]

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Di questo quadro si conservano due versioni, una alla Galleria Capitolina e l'altra (che probabilmente è solo una copia) alla Galleria Doria-Pamphili, entrambe a Roma.

Il santo (per il quale posò Cecco di Caravaggio), impubere, completamente nudo, sta semisdraiato e abbraccia un montone, girando il capo per guardare lo spettatore con spudorata seduzione. 

L'erotismo del ragazzo non è negato dai critici (non italiani), tanto è sconcertante, così com'è sconcertante la sostituzione dell'agnello, simbolo del sacrificio di Cristo, con un montone, che se nei primissimi secoli del cristianesimo fu sì simbolo del Cristo, in epoca più recente è stato visto semmai come simbolo della lussuria e addirittura del demonio.

La Walters osserva: san Giovannino 
 

 
Un _Ignudo_ di Michelangelo a cui questo quadro fa il verso
Uno degli Ignudi di Michelangelo a cui Caravaggio fa il verso, trasformando in aperta allusione erotica ciò che in Michelangelo è celato da compostezza artificiosa velata da alibi culturali.
posa come uno degli ignudi di Michelangelo, ma solo per esibire il corpo e i genitali; egli scocca un sorriso insolente e invitante al di sopra della spalla nuda mentre si gira per abbracciare il suo montone (l'agnello che tradizionalmente accompagna il santo è cresciuto fino a diventare un grosso e cornuto montone).

Caravaggio sta certamente facendo un commento sardonico su tante altre versioni del santo nelle quali una sensualità repressa passa per spiritualità. 

(Dopo aver visto questo nudo beffardo, non possiamo più guardare a un san Giovanni di, diciamo, Guido Reni, un contemporaneo del Caravaggio, con lo stesso occhio innocente[1].

Analisi come questa non piacciono a un critico d'arte cattolico nostrano, Calvesi (per il quale Caravaggio era eterosessualissimo e cattolicissimo):
 

"il dipinto allude in effetti al Divino Amore, in virtù del quale l'umanità fu salvata dall'olocausto di Cristo. (...)
L'ariete (...) sta come immagine di Cristo, e le sue corna venivano viste come "geroglifico" della croce. (...) 
La luce, che investe il sacro animale e il corpo del fanciullo rendendolo fulgido e levigato, come in una abbagliante rivelazione (...) è la luce di grazia e salvazione, che vince sulle tenebre del peccato. (...)
L'espressione sorridente del Santo, in verità, non è per nulla "canzonatoria", ma comunica un sentimento di "cristiana letizia" (...) di letizia ed esultanza[2].

Si dice che un libertino francese, vedendo l'espressione orgasmica della dell'Estasi di Santa Teresa del Bernini, abbia esclamato: "Ma se è quello l'amore divino, allora lo conosco bene!". 
Lo stesso vale qui: se è davvero questo il Divino Amore, come pretende Calvesi, allora i gay che frequentano gli angiporti della lussuria lo conoscono benissimo...

In effetti, più realisticamente, Adriana Marucchi osserva sul dipinto:
 

"Dal punto di vista iconografico l'opera è una rappresentazione del Battista niente affatto ortodossa, mancando degli usuali attributi...[3].

Si osservi per un confronto la seguente foto di Wilhelm von Plüschow che combina  la posa di Michelangelo con la tipologia fisica del Caravaggio (caricando ulteriormente l'intento erotico). A dimostrazione del fatto che l'esistenza del famigerato "filo rosso" fra artisti omosessuali di secoli diversi può essere negata finché si vuole, ma esiste. [4].

Wilhelm von Plüschow - Ragazzo romano (prima del 1907).

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.

Note

[1]-Margaret Walters, The male nude, Penguin, Harmondsworth 1978, p. 188.

[2] Maurizio Calvesi, Caravaggio, Art & dossier, aprile 1986, p. 18.

[3] Adriana Marucchi, in: Giulio Mancini, Considerazioni sulla pittura, Accademia nazionale dei Lincei, Roma 1957, vol. 2., p. 115.

[4]-Su questo quadro vedi anche: Caravaggio e il suo tempo, Electa, Milano 1985, pp. 120-123 (nega il carattere omoerotico); Caravaggio e la collezione Mattei, Electa, Milano 1995, pp. 120-123; Raffaele Bruno, Roma. Pinacoteca capitolina, Calderini, Bologna 1978.


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