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SODOMA ALL'IMPROVVISO:
TOMMASO SGRICCI (1789-1836)
 
di: Giovanni Dall'Orto

Tommaso Sgricci
Il poeta aretinoTommaso Sgricci,

Tommaso Sgricci (1789-1836) fu senza dubbio alcuno, all'inizio del secolo scorso, il "sodomita" più celebre d'Italia [1]. Nessun altro suo contemporaneo può vantare un elenco di testimonianze sulla sua omosessualità lungo quanto il suo. Ciò si deve anche al fatto che Sgricci fece poco (o comunque non abbastanza) per vivere nel segreto ciò che era.

Dotato da madre Natura della capacità di improvvisare versi, Sgricci dal 1813 in poi visse la sua vita praticamente in tournée per l'Italia (ed anche all'estero!), dando spettacolo nei teatri. Qui si faceva proporre un tema dal pubblico, e su quel tema componeva, sui due piedi, un sonetto, un'ode, addirittura una tragedia completa, aggiungendo in quest'ultimo caso a volte il tocco massimamente teatrale di "svenire" per lo sforzo mentale appena raggiunta la parola "fine".

La capacità sovrumana dello Sgricci e in misura minore di altri improvvisatori italiani (e solo italiani) del suo tempo dipese molto da una circostanza contingente: il fatto che la poesia accademica italiana di quel periodo s'era ridotta, a furia di scegliere vocaboli "poetici" e artificiali, ad avere un linguaggio totalmente stereotipato e massimamente ripetitivo.

Secoli di censura e autocensura avevano ridotto la poesia a un esercizio fatuo di versificazione su vicende sempre uguali, che nulla avevano a che fare con la realtà ma solo con insipidi pastorelli amorosi e dèi pagani da operetta (anzi, da Opera).
Svincolata dai contenuti, la lingua poetica italiana della fine del XVIII secolo era stata dunque razionalizzata per una produzione industriale (specie quella di libretti d'Opera, che fu "industriale" nel senso più letterale del termine): moduli prefabbricati che potevano essere assemblati alla catena di montaggio con rapidità, in mille sequenze diverse, senza preoccuparsi di fastidiosi "contenuti" che, se nuovi, avrebbero solo provocato grane con la censura.

Tommaso Sgricci fu il classico "culmine" che segna la fine di un'epoca. Nessuno come lui seppe rendere esplicito l'aspetto ormai meccanico di questo modo di poetare, però nessuno come lui lo seppe fare spremendo da quel linguaggio, adattato alla scena teatrale dalla convenzione dei libretti d'Opera (si pensi solo al Metastasio), il massimo di spettacolarità, prima che fosse gettato via.
Nelle sue performances, che mandarono in delirio una platea d'Italia dopo l'altra, Sgricci snocciolava versi (non in rima) a velocità mozzafiato, con un virtuosismo che da un lato sbalordiva il pubblico, e dall'altro impediva di soffermarsi a valutare la qualità poetica di quanto si ascoltava, come lamentò nel 1816 Pietro Giordani in un celebre scritto contro la moda degli improvvisatori [2].

Tommaso Sgricci nel 1824 - Ritratto di François Gérard al Museo di arte medievale e moderna - ModenaPoeti ben più dotati come Foscolo o Manzoni, che furono contemporanei dello Sgricci e che scrissero sonetti ammirativi sulla sua "genialità", non ottennero mai un decimo delle ovazioni e degli onori che piovvero su di lui, che giunse perfino a mietere allori in Francia!

Da questo punto di vista Sgricci è il perfetto antenato di quei certi scrittori, gay e non, alla Aldo Busi, che oggi sono celebri, grazie alle loro performances in TV, per la prontezza della loro lingua, per la capacità istrionica, per la mancanza di pudori, più che per l'intrinseca qualità di ciò che scrivono. In entrambi i casi è il palcoscenico più che la biblioteca il luogo in cui personaggi di questo tipo danno il meglio di sé.

E se fu famoso per il suo "talento", Sgricci lo fu altrettanto per la sua passione per gli uomini, che visse con la massima spudoratezza, pagando spesso per gli scandali che essa provocò. Anzi, proprio come avviene oggi con i vari scrittori a cui ho appena alluso, lo "scandalo" servì a creargli attorno un'aura sulfurea e morbosamente affascinante che benissimo si adattava a ciò che il pubblico di allora si aspettava da un Artista... 
Non escludo perciò che egli abbia volutamente coltivato lo scandalo; se poi lo facesse per "orgoglio gay" o per banale calcolo di botteghino non saprei dire.



Un poeta contemporaneo che gli fu amico-nemico, Vincenzo Monti (1754-1828) parla più volte nelle sue lettere di tali scandali. Così il 4 gennaio 1817:
 
"Taccio i villani suoi portamenti verso mia moglie, la quale, nell'unica visita che le fece, avanti il suo partire, non poté contenersi dal dirgli: "Siete un mal educato". Taccio il suo laido vivere nella casa d'Aureggi [Luigi Aureggi, NdR] durante la sua assenza in Brianza, e il ladro consumo che da lui e dal monello suo Antinoo [3] si è fatto di tutto ciò che è bisogno domestico[4].

E il 21 gennaio 1817:
 

"A queste cagioni di pubblica disistima un'altra se n'aggiunge molto ridicola, e fu quel darsi il belletto e la biacca spacciatamente; ma quello che ha uccisa del tutto in Milano la sua riputazione è stato il suo àttico amore [5] con quel monello del suo servitore; sul quale scandaloso commercio corrono voci ed aneddoti, che arrossisco di raccontarli[6].

E ancora il 22 febbraio 1817:
 

Vincenzo Monti nel 1809, ritratto da Andrea Appiani"Amo piuttosto di rallegrarti alquanto con una novelletta del nostro Sgricci, che ti farà molto ridere, e la novella si è questa che il suo catamito [7] Tognino (a quel che mi pare) è stato scavallato da un nuovo Ligurino assai più delicato e gentile.

Odi il fatto. Mi recai, giorni sono, a visitarlo circa le dieci e mezzo della mattina. Trovai tutto chiuso. Tornai dopo le dodici, e trovato il povero Tognino tutto solo nell'anticamera, mi spinsi con confidenza nella camera da letto. Il lume n'era modesto sull'andare di quello che descrive Voltaire nella Pulcella là dov'ei descrive dentro a un'alcova il Carlo in braccio ad Agnese.

Guardo, e che veggo? Il nostro poeta sotto le coltri, e accanto a lui una bellissima testa che a prima vista parvemi di fanciulla, ed era un Eurialo; sì per Dio, un leggiadrissimo Eurialo.Ora puer prima signans intonsa iuventa [8] in braccio al suo Niso.

Qui se fossi un Boccaccio, o un Franco Sacchetti, mi abbonderebbe materia di divertirti; ma piacemi che il lettore supplisca di fantasia. Con questi adunque ei fa la sua vita, e gl'ispira l'amor delle Muse, e da un'Ode recitatami ier l'altro parmi poter argomentarne buon frutto"[9].

Nel 1819, al culmine della fama, Sgricci era a Roma, dove stava per essere "laureato" come poeta in Campidoglio. Poco prima del grande onore fu però precipitosamente espulso su due piedi dallo Stato della Chiesa, il 17 aprile 1819, per avere, almeno così sembra, criticato il governo del papa.
Ebbene, per l'occasione Giovanni Giraud (1776-1834) scrisse alcuni versi sghignazzanti:
 

Batillo, il tragico
dai falsi allori
stuprando Apolline [10]
a posteriori,
le inimitabili
Sacre Eminenze
lo rincularono
sino a Firenze [11].

Anche il Belli, nel sonetto Er cardinale solomito (sic) conserva memoria dello Sgricci come del sodomita per antonomasia:
 

Giuseppe Gioacchino Belli (...)
Com'è ito a ffiniì ppe' sti crapicci [12]
quer tar prelato?... Morse [13] e sse n'aggnéde /
a aspettà ar callo [14] er zor Tomasso Sgricci [15].

La disavventura non servì comunque a fargli cambiare vita. George Byron (1788-1824) scrive infatti da Ravenna il 3 marzo 1820:
 

"Sgricci è qua e sta improvvisando con gran successo; costui è anche un famoso sodomita, un personaggio che è ben lungi dall'essere tanto rispettato in Italia quanto dovrebbe esserlo; ma qui ridono invece di bruciare, e le donne ne parlano dicendo che è un peccato in un uomo di talento[16].
George Byron nel 1814 in costume albanese. Ritratto di Thomas Phillips

Tornato a Firenze, nel 1826 Sgricci era oggetto dell'attenzione della polizia, che pure non osava colpirlo poiché egli godeva della protezione del Granduca, che gli aveva addirittura concesso una pensione vitalizia. Così ce lo descrive malignamente Tommaso Gnoli, dopo aver consultato i rapporti di polizia:
 

Abitava egli, il poeta dagli amori greci, nel 1826, in un pianterreno in via dei Bardi [n. 1342, NdR], ove, per parecchie ore del giorno, si poteva vedere alla finestra, con un libro in mano, oppure, con penna, calamaio e carta in atto di meditare i suoi versi, interrompendo di tratto in tratto il leggere o lo scrivere con occhiate che lanciava sui passanti e che erano sempre accompagnate da un ignobile sorriso o da un non meno nobile strizzare d'occhi, specie quando quelli erano giovani e bellocci.

Quel sudicio civettone più frequentemente degnava di quei suoi sguardi e di quei suoi sorrisi i Granatieri che erano acquartierati nella vicina caserma, e che spesso pedinava raggiungendoli sulla Costa di san Giorgio, ove con esso loro s'intratteneva. (...)

"Verso sera", qui cediamo la parola all'Ispettore di Polizia, "egli sorte di casa coi capelli bene acconciati, liscetto sul viso, petto scoperto, abito quasi succinto ed angusto artificialmente, per mostrare più che sia possibile all'occhio i fianchi, e con portamento ricercato si mette in giro per la città in cerca d'avventure, al pari della femmine di partito".

Ma quei trionfi Sgricci pagava caramente. Verso quel tempo fu divulgata in Firenze una incisione oscena. Questa rappresentava, in atteggiamento non onesto, lo Sgricci e don Camillo Borghese, il marito della bellissima Paolina: e la Polizia, se volle averne una copia, fu costretta a pagarla tredici lire. Almeno, nella nota spese segrete per mese di gennaio 1827, tale si assicura essere stato il prezzo pagato[17].
 



Nemmeno la morte valse a dissipare la fama che aveva accompagnato Sgricci per tutta una vita. 
In occasione della sua scomparsa, nel 1836, circolò per Firenze una variante del sonetto del 1819, adattata all'occasione, che la polizia attribuì a Filippo Pananti (1766-1837):
 
Batillo il tragico
dai finti allori
stuprava Apolline
a posteriori.

Or per giustissimo
decreto eterno
stuprollo Satana
rege [18] d'Averno [19].

Perfino Giuseppe Giusti (1809-1850) non si lasciò sfuggire la ghiotta occasione, scrivendo un Salmo in morte dello Sgricci e altri fedeli, che inizia maliziosamente con le parole del salmo "Lodate Dio fanciulli":
 

Laudate pueri Dominum!
È morto chi profuse
a danno del pretérito [20]
l'entrata [21] delle muse [22].

Non basta. Ancora due generazioni dopo la sua morte, nel 1885, Oscar Giacchi era in grado di testimoniare malignamente lo scandalo immenso che aveva costituito l'esistenza dello Sgricci, nonché dell'angoscia che gli era costata una vita da "maledetto":
 

"Un celebre poeta toscano estemporaneo, che era giunto al prodigio di improvvisare una tragedia, alla fine della quale cadeva privo di sensi per la immensa sovraccitazione cerebrale a cui si abbandonava, se ha lasciato come cittadino un nome contaminato, lo ha lasciato ingiustamente, perché, davvero, in quella mente elevata il genio e la follia si contendevano l'impero.
Mio nonno, che gli era stato amico e condiscepolo, quando narrava entusiasmato a noialtri nipotini i trionfi guadagnati dal suo caro Tommaso, troppo presto rapito alla gloria della musa italiana, mi ricordo che terminava sempre i suoi panegirici con questa frase: "Eppure, se avessi dovuto giudicarlo dal suo contegno privato, sarei stato costretto a dire, che meritava di esser chiuso in Bonifazio [23]". 

E qui spifferava cento mila storielle private, di cui era stato testimone, per confermare quanto era bislacco il cervello di quel grande, e qui quel vecchierello finiva sovente col venire a contesa con mio padre, o coi miei zii per persuaderli, che quel viziaccio maledetto, che lo disonorava in faccia al mondo, era un pervertimento mentale, che costava lacrime di sangue a quel povero diavolo, che gli aveva confessato tante volte di non potervi resistere, sebbene ne conoscesse tutto l'orrore, e ne temesse tutte le gravi conseguenze" [24].

Tali dunque furono la fama e il fato di Tommaso Sgricci.

Un fato bizzarro. Se si fosse limitato ad essere "paladino delle Muse" nessuno si ricorderebbe più di lui nonostante i trionfi mietuti in vita. Invece, per colpa della sua "scostumatezza", che fece cicalare a lungo i suoi contemporanei negli epistolari e nelle satire, qualche stizzita o imbarazzata nota a piè di pagina nelle storie della letteratura se l'è ben guadagnata.

Quale sarà la morale della favola?

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.

Note

[1] Sulla vita dello Sgricci si veda la dettagliata biografia di Ugo Viviani, Un genio aretino, Tommaso Sgricci poeta tragico improvvisatore, Viviani, Arezzo 1928, che però, incredibilmente, riesce a censurarne completamente l'omosessualità!

[2] Pietro Giordani, Dello Sgricci e degl'improvvisatori in Italia [1816], Opere, Le Monnier, Firenze 1851, vol. 1, pp. 445-458. Ristampato in: Pietro Giordani, Scritti, Sansoni, Firenze 1961, pp. 133-142; 
Sullo Sgricci come improvvisatore vedi anche: Carlo Pocci, Sgricci Tommaso, cenni critico-biografici, "Rivista italiana del teatro", 15 luglio 1943, pp. 84-88.

[3] "Il suo amante".

[4] Vincenzo Monti, Epistolario, Le Monnier, Firenze 1928-1929, 6 voll., vol. 4, p. 337.

[5] "Amore omosessuale".

[6].Ibidem, p. 343-344.

[7] "Amante passivo".

[8] "Dal volto appena fiorito d'una peluria leggera" (trad. di Cesare Vivaldi).
Citazione da Virgilio, Eneide, IX, 181, scelta non a caso dall'episodio omoerotico di Eurialo e Niso.

[9].Ibidem, p. 367.

[10] Apollo, dio della poesia.

[11] Tommaso Gnoli (a cura di), Le satire di Giovanni Giraud, Loescher, Roma 1904, p. 206.

[12] "Capricci".

[13] "Morì".

[14] "Al caldo": l'Inferno è , "ovviamente", la sorte predetta ai sodomiti.

[15] Tommaso Gnoli, Op. cit., p. 207.

[16] Leslie A. Marchand (a cura di), Byron's letters & journals, vol. 7, Murray, London 1977, pp. 49-51.

[17] Emilio Del Cerro, Misteri di Polizia, Salani, Firenze 1890, pp. 149-151.

[18] "Re dell'Inferno".

[19] Emilio Del Cerro, Op. cit., p. 151.

[20] "Ano".

[21] "Il guadagno" (con un ovvio doppio senso).

[22] Emilio Del Cerro, Op. cit., p. 151.

[23] "Manicomio".

[24] Oscar Giacchi, Pazzi e birbanti, Croci, Milano 1885, pp. 178-179.


Originariamente edito in "Babilonia" n. 133, maggio 1995, pp. 68-70, con pseudonimo "Vittorio Ferrarini"; un estratto in traduzione inglese è apparso anche  sul Who's who in gay and lesbian history (a cura di Robert Aldrich e Garry Wotherspoon), vol. 1, ad vocem. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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