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RECCHIONE o RICCHIONE.

Copertina di Abele De Blasio - Usi e costumi dei camorristi - 1897

Con questa parola rieccoci nel campo delle ipotesi, con solo pochi elementi certi.
Fortunatamente alcune ipotesi di Cortellazzo hanno fornito elementi di discussione di un certo rilievo.

Ciò che sappiamo per certo è che ricchione è termine d'origine meridionale diffuso poi anche al Nord, con ogni probabilità per tramite del gergo della malavita, con forme come il veneto reciòn, ed il lombardo oreggia (leggi: "urègia") ed oreggiatt (leggi: "uregiàtt"). Oggi è anche italianizzato in orecchione (termine presente nel Battaglia).

Nella sua spiegazione Cortellazzo ne propone la derivazione o da un riferimento alla lepre, o da un ipotetico termine *hirculone.

Esaminiamo allora queste due proposte, che sono ormai le più accreditate.


La prima spiegazione non è molto convincente: risalire fino all'antichità classica o ai bestiarii medievali è infatti eccessivo in un campo, come quello degli insulti antiomosessuali, in cui nessun termine dialettale rivela mai più d'un secolo o due di vita.
Il meccanismo dell'eufemismo infatti "logora" dopo qualche tempo le parole più usate, spingendo a sostituirle con altre, nuove (si veda il caso di buggerare, che oggi è termine che può usare anche un'educanda).

Inoltre quella in esame non è certo, notoriamente, parola d'origine dotta, mentre l'interesse per la "bisessualità" della lepre è dotto e per lo più limitato al cristianesimo dei primi secoli, nel quale essa veniva interpretata simbolicamente per spiegare la proibizione biblica di mangiare carne di lepre.


D'altro canto la spiegazione del Battaglia non spiega nulla (anzi ha l'aria di essere una spiegazione tratta dalla parola che si vuole spiegare).
Infatti non riesco a capire perché il caprone, essendo lussurioso, dovrebbe essere automaticamente sodomita. Può darsi che in passato l'eccesso di lussuria venisse automaticamente collegato alla pratica della sodomia, ma ciò va dimostrato, e non semplicemente ipotizzato.

Al contrario: nella mentalità maschilista, e nel linguaggio popolare che ne è la fedele espressione, essere un "montone", così come l'essere uno "stallone", è per un uomo un complimento, non certo un insulto.
Elementi socioculturali di questo tipo andrebbero tenuti in considerazione, quando si valuta la plausibilità di una spiegazione etimologica.


A mio parere è quindi riuscito a far centro chi ha fatto notare l'esistenza in Calabria di un verbo "arricchià", che viene derivato da un *ad-hircare, "andare verso, desiderare l'irco", cioè il caprone.

Questo verbo si applica alla capra in calore che brama il caprone.
E se la capra che "arricchia" desidera con bramosia il maschio, di conseguenza un uomo "arricchione"... ci siamo capiti.
Il suffisso -one è ben noto ed è presente in termini derogativi come "mangione", "beone", "pappone", nei quali il rapporto fra "mangiare" e "mangione", "pappare" e "pappone" è identico a quello che c'è fra "arricchiare" e "arricchione".

Dunque l'arricchione non è un "uomo sozzo come un caprone", bensì un "uomo che brama farsi montare da un maschio come una capra in calore lo desidera da un montone".
Una volta tanto la spiegazione etimologica è perfettamente calzante.


Orejon IncaCade quindi del tutto il valore di ipotesi come quella di Edoardo Ballone (Uguali e diversi, Mazzotta, Milano 1978), che faceva derivare il termine in questione dal soprannome di orejones, dato nel Cinquecento dagli spagnoli ai dignitari Incas dalle orecchie artificialmente allungate, accusati dai cristiani di vizi contro natura.

Da quanto detto fin qui emerge che il collegamento fra "ricchione" e l'"orecchia" è quello di paraetimologia, cioè quello di una spiegazione data usando un'altra parola che ha un suono simile (aricchia / arricchia) anche quando non c'entra nulla col significato originario del termine che si pretende di spiegare (ad esempio è una paraetimologia "uomosessuale", che spiega il greco òmoios, "affine" con "uomo").


Corretto o no che fosse tale collegamento in origine, resta il fatto che oggi toccarsi il lobo dell'orecchio è in Italia per antonomasia il gesto che allude all'omosessualità (un gesto che da solo basta: "Lo sai? Tizio è..." - e ci si tocca il lobo, senza neppure nominare la parola).
In altre parole, oggi "ricchione" e "orecchia" sono strettamente collegati, a dispetto delle loro origini.

Così è nel napoletano orecchio impolverato, eufemismo per "omosessuale", che si ricollega all'espressione: chillo tene a povve 'n copp'e rrecchie, "quello ha la polvere sulle orecchie" (basta spolverarsi un orecchio con la mano per capire l'origine di questo modo di dire...).

Una parentela con il gesto appena discusso la denuncia anche il pugliese "quello suona la campana" per "quello è omosessuale" (dove la "campana" è il lobo dell'orecchio e "suona" sta per "fa suonare").
Come si vede, il gesto fin qui discusso ha forza propulsiva sufficiente a dar vita a nuove creazioni linguistiche.


Ciò detto, è doveroso aggiungere che il gesto potrebbe avere un'origine ed una storia indipendente ed autonoma dalla parola, derivando magari, come propone Morris citato da Cortellazzo, da un'allusione ad una presunta preferenza per il vestiario femminile - nello specifico gli orecchini - da parte degli omosessuali.

Il gesto di carezzarsi le orecchie per alludere all'omosessualità è infatti attestato ben tre secoli prima della parola recchione.
In un'elegia latina pubblicata nel 1489 Pacifico Massimo d'Ascoli si lamenta infatti dei suoi concittadini che lo credono un sodomita e si fanno beffe di lui. Nel prendersela coi maligni egli così recrimina:
 

digito notatis [me], et aures vellitis, et male me creditis esse marem
(Massimo, p. 162).

Vale a dire:
 

"[quando io passo] mi segnate a dito, vi sfiorate le orecchie e mi credete un maschio incompleto".

Al contrario la prima attestazione della parola ricchione / recchione che posso presentare risale appena al 1897, ed è esplicitamente la citazione di un termine gergale della malavita napoletana:
 

Accanto ai martiri della lussuria troviamo i pederasti di professione, distinti della mala-vita coi nomignoli di femminelle, ricchioni o vasetti.
(Abele De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, Pierro, Napoli 1897, p. 153)

Cortellazzo specifica addirittura che il gesto che stiamo discutendo sarebbe diffuso pure in Grecia ed ex-Iugoslavia con lo stesso significato: ebbene, è assai difficile che da una parola italiana (o di un dialetto italiano) si possa arrivare ad un gesto usato in Iugoslavia e Grecia, dove i termini per denominare le orecchie son così diversi dai nostri.

L'estensione geografica e temporale del gesto di toccarsi il lobo è quindi tale da far sospettare che gli strumenti della linguistica potrebbero essere da soli insufficienti a risolvere l'enigma (delle origini del gesto). Per risolverlo potrebbero rivelarsi più adatti gli strumenti dell'etnologia e dell'etnolinguistica.

Ma qui usciamo dal campo del presente saggio: fermiamoci perciò qui.


Eccone alcuni esempi d'uso:
 

I ragazzi (...) hanno scritto semplicemente: non mi piacciono "i froci", oppure "i recchioni", oppure "inversi". 
(Renata Tripodi, La scuola dei fumetti, Tattilo, Roma 1974, p. 249).

Ma un venditore di palloncini, che seguiva la scena, li ha difesi: "Che cosa c'è di male ad essere ricchioni?".
("Homo" n. 30, mag. 1975, p. 70).

Nell'ora del trionfo gridano al vincitore "È un ricchione, bravo Ciriaco, hai fatto bene a distruggerlo!". ("Panorama", 28 giugno 1982, p. 64).

Vulvia pretendeva di piacere a tutti, solo sui recchioni velati non faceva presa, e questo la mandava in bestia. 
(Aldo Busi, La delfina bizantina, Mondadori, Milano 1986, p. 260).

Tutto ruolizzato: il "recchione" a piedi, il "maschio" in macchina. Una lenta passeggiata allusiva, una macchina in seconda, un lampeggiare di fari, un motore spento, i fari spenti.
("Babilonia" n. 45, aprile 1987, p. 47).

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