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La valutazione di un romanzo inedito

[inedito, 28 marzo 2014]

di: Giovanni Dall'Orto


Premessa.


Caro Xxxxxxxxx,
ho accettato la lettura solo perché ti considero un amico, laddove di solito la rifiuto sempre. Il motivo è presto detto: chi sottopone manoscritti non vuole MAI sentirsi dare una valutazione spassionata, ma SEMPRE e solo sentirsi rassicurare sul fatto che si tratta di un ottimo lavoro. Quindi se lo critichi si offende a morte, ma se per quieto vivere lo rassicuri poi ti arrivano a valanga altri trecento parti letterari, e allora, sinceramente, no, non ci sto.

Siccome però l'ho accettato, faccio quel che mi hai chiesto. Se ti offendi per qualche osservazione, il torto è tuo, ok?

Se questo che mi mandi è l'inizio del romanzo, allora è troppo lento. Tu stai pensando il lavoro dal punto di vista di chi lo scrive, ma la valutazione va data dal punto di vista di chi lo legge.
Hai una scrittura un po' barocca, molto ricca di aggettivi turgidi, e molto propensa a perdersi in lunghe descrizioni liriche. Non c'è nulla di sbagliato nel fatto di averla, a patto di essere certo di avere un lettore che ti seguirà pazientemente per tutti i meandri di quel che stai scrivendo nella speranza, o certezza, che le premesse che costruisci serviranno a definire il quadro di quanto va a leggere in seguito. Il che significa che sei uno scrittore noto e famoso, se ottieni questo. O che sei giovane ma hai dietro un editore disposto a spendere e a "spingerti" in modo aggressivo, in modo da motivare il lettore alla pazienza.
Il che implica che se non lo sei, vale il principio del "non licet bovi quod licet Iovi". Se sei uno scrittore emergente, sei in competizione con altri centomila (in senso letterale) scrittori emergenti, più quelli già emersi, ed è essenziale per te farti notare.
Ora, iniziare un romanzo con diverse pagine di turgide ruminazioni interiori è un suicidio. Chi ti legge, e non ti conosce ancora, si chiede "sì, ma dove vuole arrivare"? A mano a mano che le pagine si accumulano, aumenta la probabilità che tu "perda" per strada il lettore.
Un buon inizio è sempre importante, in un romanzo. Se riesci a portare il lettore a pagina venti, hai vinto: nella maggior parte dei casi arriverà fino alla fine. Se lo fai fermare, per noia o perplessità, la probabilità che il libro resti a prendere polvere sul comodino per anni, e quindi non sia né letto né consigliato agli amici, sono alte.
Una tecnica molto usata a questi scopi è quella dell'usteron proteron: iniziare in medias res, e poi recuperare le premesse in un flashback, se sono importanti. Ma ovviamente non esiste una regola: ogni scrittore si regola a modo suo. La regola è semmai: devi catturare il lettore non solo fin dall'inizio, ma soprattutto all'inizio. Dunque, devi escogitare un modo per dare alla narrazione un inizio più intrigante. E ti assicuro che il flusso di coscienza e il rant interiore è ben poco intrigante. A meno di chiamarti James Joyce...

Le cose che sta raccontando il tuo protagonista devono essere implicate per quanto possibile nelle cose che dice e fa. Questo perché se un narratore ha bisogno di troppe didascalie per spiegare cosa sta accadendo, ciò vuol dire che suo il disegno non è abbastanza esplicativo di per sé. E ti faccio notare che noi la vita la viviamo senza didascalie: il senso dello cose lo assorbiamo dalle cose stesse.
Ovviamente, dicendoti che idealmente lo stesso dovrebbe succedere anche in un romanzo, sto esprimendo un'estetica e un gusto, ossia un punto di vista. Altri potrebbero non condividere questa mia visione del romanzo. Ma tu il parere l'hai chiesto a me, ed io posso darti solo il mio punto di vista, sorry.


Ti faccio poi una domanda, da lettore: ok, tu mi vuoi raccontare quanto sia bello per il tuo protagonista andare a correre per la campagna, quanto sia bello il paesaggio eccetera eccetera. "Ma per me?" che importanza ha la cosa? E soprattutto: "ma a me che...?". Voglio dire: perché le opinioni di una persona che va a correre per i campi dovrebbero essere importanti per me? Se mi vuoi tenere attaccato al romanzo me lo devi fare intuire tu. Altrimenti stai scrivendo poesia in prosa, come lo splendido Ocnos di Luis Cernuda. Ma la poesia si legge con occhio, e orecchio, diverso da quello che si ha con un brano di prosa, e soprattutto con un romanzo.

Nelle prima sei pagine non succede assolutamente nulla. E il ragguaglio sulla situazione parentale del personaggio di Giovanni, che non si sa chi sia né se riapparirà nel romanzo, non merita un'intera pagina tutta per sé. A mio parere va cancellato tutto quello che viene prima della frase, che a mio parere deve diventare l'inizio:

tutto il resto che precede nelle prime sei pagine essendo inutile al fine della narrazione.

Inoltre eviterei di fare toccare discretamente dal protagonista l'amichetto durante il bagno, altrimenti "dai via" il romanzo fin dalla prima pagina. Se esiste tensione erotica, lasciala sospesa, lascia il dubbio nel lettore. Il desiderio del tuo io narrante deve trasparire, e non essere, daccapo, anche qui, sottolineato da apposite didascalie e colpi di grancassa: "caro lettore, sappi che l'io narrante è un piccolo gay in crescita, e che quindi prevedibilmente il romanzo racconterà di come è cresciuto". Se la metti da subito in questo modo, il tuo prosieguo può da qui in poi avere solo due sbocchi: o l'amichetto ci sta o non ci sta. Se non ci sta, avremo i tormenti interiori e i rimuginii dell'io narrante ferito e offeso, ed avremo un remake di The city and the pillar. Se ci sta, altra possibile biforcazione: poi si pente ed avremo un remake dei Tormentacci del giovane Toerless in salsa lumbarda con il protagonista vessato dalla società crudele e inzenzibbile, o non si pente, ed avremo un remake delle Amicizie particolari. In tutti questi casi, il pensiero che viene a pagina UNO al lettore è: "io questa storia l'ho già letta". Amen.
Siccome subito dopo passi a parlare del cucciolo agonizzante, I turbamenti del giovane IO possono allora aspettare le pagine successive, e il lettore può rimanere nel dubbio. Anzi, meglio se ci rimane!


Incidentalmente, si nota che questo è un manoscritto non ancora riletto, da dettagli come la frase: "scesi nello stagno nudo", che implica che ad essere nudo fosse lo stagno, non il protagonista. Ovviamente la frase deve essere, a meno di volersi dare al realismo magico, "scesi nudo nello stagno" o simili. La scrittura non deve essere mai ambigua, se non dove l'ambiguità è intenzionale da parte dell'autore. L'ambiguità non intenzionale è un lapsus.
Anche in "avvertii un guaito da dietro dei cespugli" indica che occorre ancora la limatura finale: qui il partitivo "dei" è un vezzo linguistico norditaliano che a sud del Po saprebbe un po' di idiotismo (in senso linguistico, ovvio): meglio "alcuni", "un" o molto semplicemente: "i".
Osservazioni simili per espressioni come "al cancello della palazzina dove stavo" (in una casa si "sta"?), ma queste sono solo limature che ti verranno comunque suggerite in fase di editing... se l'editore a cui ti rivolgerai segue ancora la buona prassi di fare una lettura redazionale del testo (se non l'ha, fuggi a gambe levate, e pubblicati da solo il libro). Idem per: "iniziò a gocciolare, e il portone era aperto" (cosa iniziò a gocciolare? Alla prima lettura della frase credevo intendessi dire che iniziò a piovere (cosa che cinque frasi dopo succede per davvero): dopo tutto il mondo di cui sto leggendo lo hai creato tu, e solo tu sai se può o non può iniziare a piovere in quel punto della narrazione), "mia madre attraversò Gelmino" (era un fantasma? ovviamente lo "oltrepassò"). La cosa buffa è che nella frase successiva la madre "lo oltrepassò come un coltello caldo nel burro", laddove un coltello "trapassa" il burro, non lo "oltrepassa". Se lo oltrepassa non lo trapassa, e non è un gioco di parole, è un chiarimento.
La frase sul coltello nel burro è inoltre un esempio della tua tendenza ad esagerare in decorazioni barocche: cosa stesse succedendo l'ha già detto la prima frase, non era necessaria una seconda frase per ripetere lo stesso concetto. Devi scegliere fra le due, perché ripetere due volte le stesse cose è accettato nel linguaggio parlato, non nella scrittura. Detto in termini più tecnici, la ridondanza deve essere sempre minore nella scrittura che nel linguaggio parlato, perché la velocità, nel parlare, può fare perdere alcuni dettagli, e la ripetizione aiuta a recuperarli, laddove nello scritto, se non si capisce, si può rileggere la frase.
E poi: "coppino" è termine dialettale norditaliano, non necessariamente compreso a sud di Roma, "strascinato" è un altro dialettalismo (l'italiano standard è "trascinato"), e molti altri dialettalismi come questi, anche a volte incomprensibili per il lettore non padano.
Poi: il senso della scena della morte del cagnolino qual è, alla fine? Dimostrare che l'io narrante, come qualsiasi essere umano nella vita, da bambino ha avuto esperienze anche negative? Che una volta ha trovato un cagnolino ferito, che è morto per le ferite?
E quindi? Quindi al protagonista scoprendo quanto è accaduto viene da vomitare. Dopodiché, la narrazione salta bruscamente e improvvisamente ad altro: "Divenni grande, il mio solo desiderio era di andarmene". So what? Per quale motivo questo episodio dovrebbe essere interessante per me, lettore? Io non l'ho compreso. E siccome questo è il tuo mondo, solo tu puoi farmelo capire. Se vuoi che sia importante anche per me, devi riuscire a farmi capire perché sia stato importante per te scriverlo... In caso contrario, io lettore "voto con i piedi", chiudendo il libro e passando ad altro.


Mi fermo qui, altrimenti sembra che mi stia accanendo. E invece no, sto solo motivando il parere. Che è quello che avrei dato se da un editore mi fosse stato assegnato un testo da valutare. Parere che è:


Ecco Xxxxxxx, questo è il mio parere. Ho letto le prime dieci pagine, ma è normale, si fa sempre così. Dieci pagine bastano per vedere se sia necessario intervenire, e in che senso. A volte si prendono cantonate (vedi Gide con Proust), ma se ogni editore dovesse leggere le decine e decine di testi che riceve ogni mese, e se io dovessi accettare la valutare  ogni ebook che mi viene offerto gratis in cambio del mio parere, starei fresco. In media, ricevo cinque o sei richieste del genere al mese... fai tu.
Tu sei una eccezione, e a questo punto non so se sarai contento di esserla stata.
Ma mi hai chiesto il mio parere, ed io mi sono limitato a dartelo.

Ciao, buon lavoro.

Giovanni Dall'Orto
 


 
 
Inedito.
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