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Ippòcrate di Kos (Hippocrates, ca. 460-ca. 370 a.C.)

dimensioni h 170 x largh 132
Ippocrate di Kos in un mosaico ellenistico.

NOTA BENE. Questo testo è un semplice "appunto", pubblicato provvisoriamente in attesa di trovare il tempo
per curare o farne curare la traduzione, il commento, o entrambe le cose.


Da: Perì aeròn udaton topon (De aeris aquis et locis) / Dell'aere, dell'acqua e de' luoghi  [sec. V / IV a.C.] [1]

Cerco una traduzione in italiano liberamente riproucibile per questo brano. 
Chi potesse aiutarmi, mi scriva
Grazie anticipate.

III, 22
III, 22

Testo

<La terra degli Sciti, in Russia, è molto umida>.
Né possibile è che così fatta natura abondi in figliuoli, percioché né l'uomo appetisce spesso di congiungersi con femina, per umidità di natura e per morbidezza e per frigidità di ventre, per le quali cose è di necessità che rarissime volte nasca nell'uomo stemperato appetito di congiugnimento, e di più, per lo continuo cavalcare rotti, divengono mal atti a ciò.
Testo Or questi sono gl'impedimenti dalla parte degli uomini. 
E dalla parte delle femine sono altresì e la grassezza della carne e l'umidità, percioché le matrici [uteri] non possono poi apprendere il seme, che la purgazione [mestruazione] non viene loro ogni mese come fanno di bisogno, ma dopo lungo tempo e poca, e la bocca delle matrici per la grassezza si riserra né può ricevere il seme; ed esse sono ociose [oziose] e grasse, e i ventri loro freddi e morbidi. 
E per queste necessità non può la nazione degli Sciti abbondare in figliuoli.
E si può di ciò prendere certo argomento dalle serve, che non così tosto s'accostano a [copulano con] l'uomo, che concepiscono, perché s'affaticano e hanno carne magra.

Testo

Oltre a ciò i più degli Sciti divengono disutili al congiungimento e si mettono a fare le bisogne feminili [i lavori tipici delle donne], e il ragionar loro è parimente da femine: e questi sono chiamati uomini senza maschilità. [enarei]
Testo Ora i paesani attribuiscono la cagione a Dio, riveriscono questi uomini e adorangli, temendo ciascuno di sé simile disaventura.
Testo Ma a me pare che e questi mali e tutti gli altri procedono da Dio, e che niuno abbia più del divino dell'altro o dell'umano, anzi tutti sono divini, e ciascuno di questi ha sua natura, né niuno aviene senza natura.
Testo E racconterò come a me paia che questo male avenga. 

Essi per lo cavalcare sono assaliti da lunghi dolori, sì come coloro che cavalcano co' piedi pendenti; poi diventano zoppi e si ritraggono le coscie a coloro che fieramente s'infermano [ammalano].

Testo Or tengono cotale maniera in curarsi: dal principio dell'infirmità si tagliano l'una e l'altra vena dopo l'orecchia, e quando è sgollato il sangue per debolezza sono soprapresi dal sonno e dormono; poscia si destano, alcuni sani e alcuni no.
Testo A me pare adunque che essi con questa cura si guastino, percioché dopo gli orecchi sono vene le quali quando altri taglia, coloro a' quali sono tagliati divengono sterili. 
Io stimo adunque ch'essi perciò si tagliano quelle vene.
Testo
Appresso perché, andando per usar [aver rapporti sessuali] con le mogli, né venga loro fatto la prima volta [quando succede loro una volta di "fare cilecca"], non mettono il cuore a ciò né si danno affanno; ma quando due e tre e più fiate [volte] hanno tentato senza effetto, facendosi a credere d'aver commesso alcun peccato verso Dio, a cui attribuiscono ciò, si vestono di gonna feminile publicandosi [proclamando] d'essere senza maschilità, e femineggiano e si mettono a fare insieme con le femine quelle bisogne ch'esse sogliono fare. 
Testo
Or ciò aviene a' ricchi degli Sciti e non agl'infimi, ma i nobilissimi e coloro ch'hanno più polso perché cavalcano sono sottoposti a ciò, e i poveri meno, che non cavalcano.
Testo E di vero convenevole [appropriata] cosa era, se questa infirmità è più divina dell'altre, che non toccasse solamente a' nobilissimi e a' ricchissimi tra' Sciti, ma a tutti ugualmente, anzi pare a coloro che non hanno beni, li quali mai non onorano gl'iddii [gli dei] (se vero è ch'essi godano dell'onore fatto loro dagli uomini e ne rendano loro guiderdone), percioché verisimile cosa è che i ricchi sacrifichino spesse fiate [volte] agl'iddii e che consagrino loro de' doni delle sue ricchezze e che gli onorino, e che i poveri non facciano ciò perché non hanno di che, e di più ch'essi gli maledicano perché non danno loro medesimamente delle facultà [perché non danno anche a loro delle ricchezze]: laonde per questi peccati doverebbono i disagiati incappare più tosto ne' mali che i ricchi.
Testo Ma, così come ancora prima ho detto, questi mali procedono [vengono] dagl'iddii come ancora gli altri, e ciascuno aviene secondo la natura.
Testo E così fatta infermità aviene agli Sciti per tale cagione quale io ho detto, né punto sono risparmiati gli altri uomini, percioché là dove cavalcano assai e spesso i più sono assaliti da lunghi dolori e da sciatica e da doglie de' piedi, né sono stimulati a lussuria.
Testo Queste cose fanno gli Sciti, e per queste cagioni oltre a tutti gli uomini sono disutilissimi all'usare con le femine, e perché continuamente portano le brache e sono a cavallo il più del tempo, laonde né [neppure] con mano si toccano le parti vergognose, e per la freddura e per la stanchezza si dimenticano del piacere dell'amoroso congiungimento, né intendono a ciò se non quando sono privati della maschilità.
Testo Così fatte cose adunque diciamo della nazione delli Sciti.
Il fine del trattato d'Ippocrate Dell'Aere e dell'acqua.


Guerrieri sciti. Oreficeria del sec. IV a.C.


Donna scita. Sec. IV a.C.
Donna scita accudisce alle bestie. Oreficeria del sec. IV a.C.

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Eventuale dida di foto
sto cella parziale (il testo ci gira attorno
testo dida

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

    Note

    [1] La traduzione italiana con testo greco a fronte di questo testo, attribuito al medico greco Ippocrate (quello del famoso "giuramento"), è disponibile come Arie acque luoghi, Marsilio, Venezia 1986.
    Per motivi di copyright, in attesa che qualcuno mi offra una traduzione liberamente riproducibile, ho qui recuperato la vetusta traduzione cinquecentesca edita come: Parte del trattato Dell'aere, dell'acqua e de' luoghi d'Ippocrate, nella quale si ragiona delli Sciti, in: Giovanni Battista Ramusio (1485-1557), Navigazioni e viaggi, Einaudi, Torino 1978, vol. 4, messa online dal Progetto Manuzio
    Ho fatto ricorso a questo poco elegante escamotage solo perché il testo era troppo importante per mancare dal sito. Ma accetto volentieri soluzioni più adeguate.

    Arie acque luoghi è un trattato di medicina sull'influenza dell'ambiente sull'organismo. A III, 22 Ippocrate discute come fra i barbari russi l'eccesso di tempo passato a cavallo "raffreddi" le loro parti genitali al punto da privarli della virilità: alcuni di loro, che chiama "enarei" (termine di origine incerta, che viene tradotto come "svirilizzati") non riuscendo ad avere rapporti con le donne, si vestono da donne e ne adottano lo stile di vita.
    Nella sua descrizione di quello che è palesemente un ruolo sciamanico di "travestito sacro", assunto a partire dalla mancanza di interesse per la sessualità eterosessuale, Ippocrate è in polemica con lo storico Erodoto (490/480-430/420 a.C.). 
    Costui, nelle sue Storie [del 450-425 a.C.], [Rizzoli, Milano 1984]. aveva a due riprese trattato degli "enarei". 
    A I 105, affermando che gli sciti che saccheggiarono il tempio di Afrodite ad Ascalona furono puniti dalla dea (della fertilità e sessualità) con il "morbo femminile" (thèlean noùson) e loro e i loro discendenti (sic) sono chiamati "enarei".
    Erodoto torna sul tema a IV 67:  fra gli sciti gli "androgini enarei" affermano che Afrodite ha dato loro il dono della divinazione, che eseguono con cortecce d'albero.
    Siamo dunque di fronte a una condizione che ha origine divina, che consente il contatto col divino al punto da permettere di praticare la divinazione.
    Ippocrate cerca però, da bravo scienziato, e non a torto, di fare a meno della spiegazione religiosa, limitandosi alle spiegazioni razionali. Tutte le malattie, dice, sono di origine divina: qualificare la thèlean noùson come "morbo sacro" è quindi sbagliato. La condizione di enareo deve avere cause naturali. Ed è qui chei Ippocrate se ne esce con la sua spiegazione del rapporto fra ippica e omosessualità... e qui casca l'asino. Perché il rapporto fra religione e condizione di enareo esisteva davvero.
    Ippocrate se la cava dicendo che gli altri uomini venerano gli enarei per timore che possa capitare loro la stessa cosa, ma questa è una spiegazione alquanto stiracchiata. DIciamo chenon ha capito cosa succedesse perché non lo voleva capire, perché la tradizione dei sacerdoti che incarnassero al tempo stesso il principio maschile e quello femminile era abbastanza estranea alla religione greca.

    Questo brano ha fatto discutere molto. Fra gli scritti in proposito segnalo (non è una bibliografia esaustiva):

    • BOUHIER DE VERSALIEUX, JEAN (1673-1746), Récherches et dissertations sur Hérodote, De Saint, Dijon 1746 (BB). 

    • Nel cap. XX, pp. 207-212, si dimostra attraverso la comparazione dei termini usati che la "malattia femminile", che secondo --> Erodoto e --> Ippocrate colpiva gli Sciti, altro non era che omosessualità passiva (cfr. COSTAR e HEYNE).
      [Erodoto, Sciti, malattia femminile]
    • COSTAR PIERRE (16**- 16**), Apologie de Mr Costar à Menage, Courbé, Paris???? 1657 (VE BN).

    • Alle pp. 194-204 l'autore sostiene, in polemica con un "M.eur Girac", che la "malattia delle donne" fra gli sciti, di cui parla Erodoto, altro non era che omosessualità passiva. E per dimostrarlo cita altri passi in cui théleia nòsos ha chiaramente tale significato.
      Per un'opinione antica diversa vedi, in questa stessa sezione, Heyne, per un'opinione analoga, Bouhier de Versalieux.
      [Erodoto, Sciti, malattia femminile]
    • Christian Gottlob Heyne (1729-1812), De maribus inter Scythas morbo effeminatis, et de hermaphroditis Floridae [1778];
    • Pierre-Paul Broca (1820-1880), Sur les enarées du Caucase / Sugli enarrei del Caucaso [1877].
    • Georges Dumézil, Storie degli sciti, Rizzoli, Milano 1980.
    • 1999 “Priestesses, Enarees, and Other Statuses Among Indo-Iranian Peoples.” Proceedings of the Tenth Annual UCLA Indo-European Conference: Los Angeles, May 21-23, 1998. Karlene Jones-Bley, Martin E. Huld, Angela Della Volpe, and Miriam Robbins Dexter (eds.). Journal of Indo-European Studies Monograph Series No. 32. Washington, D.C.: Institute for the Study of Man, 231-259.
    • 2000 "Enarees and Women of High Status," In Davis-Kimball, Eileen Murphy, Ludmila Koryakova, and Leonid Yablonsky (Eds.) Kurgans, Ritual Sites, and Settlements: Eurasian Bronze Iron Age, Oxford: British Archaeological Research Reports: International Series 890: Oxford: Archaeopress. pp. 223-229. [non vidi]
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