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Un nuovo saggio su Brunetto Latini 

19/2/2014 

Gentile sig. Dall'Orto, 

avendo letto la sua biografia di Brunetto Latini, Le scrivo per informarLa della pubblicazione di un articolo abbastanza risolutivo sulla questione dell'omosessualità di ser Brunetto; si tratta di Claudia Villa, Natura e corpo sociale. Retorica, e cecità, di ser Brunetto, in "Rivista di studi danteschi", 2010, II, pp. 233-249.  

La studiosa dimostra in maniera abbastanza esaustiva, basandosi su luoghi biblici e sulla Glossa Ordinaria, come il riferimento a Sodoma in Inf. XVI sia da leggere in chiave politica e non sessuale. 

Cordialmente,  
Xxxxxxxx [mail firmata con nome e cognome] 
 
 

 

Gentile dott. Xxxxxxx,
innanzi tutto la ringrazio molto per la segnalazione, molto gradita: sono altrettanto interessato alle reazioni di oggi ai testi antichi che parlano di sodomia quanto lo sono ai testi stessi.

Ho già provveduto a scaricare il saggio e a leggerlo, e lo trovo molto significativo, nonostante non sia altro che una rimasticatura neppure originale delle tesi di André Pézard e Richard Kay, entrambi citati espressamente, anzi, unici e soli dantisti citati da Villa, a parte Avalle, che però è citato solo per confutarlo.

Fondamentalmente, lo scopo dell'autrice è "Sottra<rre> al fascicolo dei peccati sessuali le colpe di Brunetto, cittadino di Sodoma" (p. 244), fatica la cui necessità non si vede sinceramente da dove sgorghi, dato che prima di Pézard e Kay nessuno s'era mai accorto della necessità di farlo. Molto significativo in effetti è il fatto che l'autrice non citi nessuno dei commentatori antichi, et pour cause, dato che l'idea che il peccato di Sodoma nell'Inferno sia qualcosa di diverso dalla pura e semplice sodomia è idea recente, dato che nasce fra gli scandalizzati commentatori dell'epoca vittoriana, per poi approdare alle "brillanti" metafore della "sodomie spirituelle" del Pézard e della "sodomia politica" di Kay (e si noti che neppure i due principali negatori del fatto che la sodomia della Divina Commedia sia un peccato sessuale, riescano poi ad essere d'accordo su cosa sia, allora: per Pézard la colpa è avere scritto in francese anziché in volgare toscano, per Kay è un peccato politico).
Il bisogno spasmodico di negare che nella Divina commedia siano presenti sodomiti è figlio del secondo dopoguerra, in pieno maccartismo e "caccia alle streghe omosessuali", laddove tale presenza non costituiva una difficoltà intellettuale per i contemporanei di Dante, e per i commentatori dei molti secoli successivi. C'è voluta la pruderie vittoriana per scoprire che no, i "peccati sessuali" no, quelli andavano "sottratti dal fascicolo".
Tutto ciò non ci aiuta a capire meglio Dante, però a capire meglio certi dantisti di oggi, i loro limiti intellettuali e i loro pregiudizi, decisamente sì. Ed è sempre interessante riuscire a capire meglio il mondo in cui si vive.


Il richiamo alla Glossa ordinaria, che a leggere quanto afferma l'autrice nel sommario, avrebbe dovuto essere risolutivo, non è invece altro che un banalissimo richiamo alla lettura del peccato di Sodoma fatta da Ezechiele, 16:49-50:

Sodoma interpretatur caecitas (luogo comune ripetuto infinite volte dai commentatori medievali: cfr per esempio "Sodoma interpretatur caecitas, vel silentium pecudum. Haec sensualitas est, quam dum inhabitant sensus quinque excaecantur et bestiales fiunt." (0246C)) perché è cieca bestialità il non vedere quanto la sodomia (e non, l'inospitalità) sia un peccato contro la natura. Sodoma inoltre interpretatur muta, come ci ricorda Benvenuto da Imola, perché: Come può vedere anche lei, lungi dal portarci lontano dal "peccato di Sodoma", la Glossa ordinaria non fa altro che ribadire i luoghi comuni dell'epoca relativi al peccato di sodomia, non a quello di inhospitalitalis.


Ciononostante a dire della Villa

Ebbene: la lettura del peccato di Sodoma come, "in realtà", un peccato di inospitalità è estremamente recente, e data a non prima di Derrick Bailey, Homosexuality and Western Christian tradition, Green, London 1955, seguito poi da John Boswell ed altri. All'epoca di Dante una lettura di questo tipo era però come minimo stravagante. Siamo quindi di fronte a un anacronismo puro e semplice.
E' vero che la tradizione talmudica ha sempre letto il peccato di Sodoma in accordo con l'indicazione di Ezechiele, e già un testo libertino come l'Alcibiade fanciullo a scola (1650) affermò che il peccato dei sodomiti era l'inospitalità e non la sodomia, dato che la sodomia è un comportamento assolutamente naturale che Dio non si è mai sognato di voler punire, ma ho qualche difficoltà a trattare come "normative" per il mondo cattolico opinioni di questo tipo... E spero che ne converrà anche lei.


Come le ho detto, trovo estremamente interessanti questi scritti, perché meglio di mille teorizzazioni ci insegnano in quale società viviamo e quali siano i punti di vista non di Dante, ma dei nostri contemporanei. La Villa parte palesemente da una esigenza personale - se motivata o no da semplice pruderie non starò a discutere: non mi interessano le cause bensì gli effetti del suo modo di agire - che è quella di affermare l'inesistenza della tematica omosessuale in un testo come la Divina Commedia, per motivi che hanno più a che vedere con le sue personali paure che con necessità di tipo esegetico o filologico.
Per arrivare a questo si basa su un unico testo antico, citato fuori contesto e in modo parziale, tacendo che esso contiene anche altre opinioni che smentiscono clamorosamente la lettura che lei fa del brano.
Ora, trascuriamo pure il fatto che alla colonna 131 dell'edizione della PL citata da Villa (a p. 241) la sua citazione non appare affatto, come potrà verificare di persona. Trascuriamolo perché non ho voglia di leggermi tutta la Glossa per rintracciarla, e non fatico a credere che si tratti di un banale lapsus calami (capita) o del fatto che lei ed io abbiamo usato due edizioni lievemente diverse nella numerazione delle colonne. Ma anche concesso tutto ciò, resta il fatto che alla stessa colonna 131 troviamo numerose altre interpretazioni del racconto di Sodoma, che sono tutte imperniate sul peccato di sodomia e non su quello di inospitalità.
Ed il fatto che da quattro colonne della Glossa ordinaria dedicate a stabilire l'equivalenza fra il peccato di Sodoma e la sodomia qualcuno riesca ad estrarre solo una citazione relativa all'inospitalità, non solo mi riempie di stupore, ma mi mostra che siamo di fronte a una ricercatrice che è andata a cercare col lanternino puntelli a una tesi preconcetta e peregrina, trascurando tutto quanto non concordava con essa, cioè quattro colonne di testi a fronte di tre righe. Ammesso e non concesso che Dante avesse davvero letto la Glossa ordinaria per creare il canto XVI dell'Inferno, non sarebbe stato certo al peccato di inospitalità che avrebbe pensato, bensì a quello di sodomia. Q.E.D.


Al di là quindi dell'interpretazione da dare alla Divina Commedia, o di tesi aberranti come quella che vuole che Dante fosse egli stesso un "sodomita" (cfr. Villa, p. 244, in nota), ne faccio come prima cosa una questione di metodo. Il saggio della Villa è metodologicamente scorretto, perché opera una selezione preconcetta delle fonti, trascurando tutte quelle che non si accordano con la sua lettura. Purtroppo però le fonti che confutano la Villa, e che la Villa ha intenzionalmente ignorato sono, mi spiace dirlo, la schiacciante maggioranza: diciamo il 98%. E questo modo di agire è metodologicamente inaccettabile: spero ne converrà.

Il che non toglie che vedere fino a dove siano disposti a spingersi certi studiosi puritani pur di negare la presenza della "scandalosa" sodomia nella Divina Commedia sia sempre un esercizio che riempie al tempo stesso di fascino e orrore... Nonché di malinconia, nel vedere quanta sapienza e cultura vengano sprecate solo per inseguire un puro e semplice pregiudizio, e per servire a una paura irrazionale. Che peccato, davvero.

La ringrazio ancora della sua gentile segnalazione.
Giovanni Dall'Orto.

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