Home page Giovanni Dall'Orto > Scrivimi > Istruzioni per i non vedenti  > Email dai visitatori > Secondo me c'è speranza
 
Secondo me c'è speranza

24/02/2005

Caro Giovanni,

sono un ragazzo gay di 30 anni, felicemente fidanzato (aspettiamo con ansia  il Pacs in Italia) e direi molto sereno nel vivere la mia omosessualità.

Trovo l'occasione di scriverti dopo aver assistito alla trasmissione "Cominciamo bene" di  qualche giorno fa dove sei stato ospite insieme ad altri bellissimi esponenti  del mondo gay italiano (in primis Imma Battaglia: semplicemente  fantastica!).

Vedere te, Imma, ma anche i presentatori di Gay TV e Matteo B. Bianchi,  tutti in una bella e misurata trasmissione mattutina mi ha reso molto contento; contento di vedere un serio e sereno confronto su cosa può renderci migliori  tutti (gay e non) accettando la diversità, il diritto a vivere secondo le  proprie inclinazioni senza necessariamente atti eroici (come giustamente  puntualizzava Matteo B. Bianchi parlando del suo libro: "ho raccontato della mia vita ma non sono un eroe: solo un ragazzo che cresceva affrontando l'adolescenza e la prima  maturità").

Non sono per nulla uno che urla contro le dark e le saune, che dileggia il "mondo gay", che disprezza "l'ambiente" in quanto falso e schifoso; al contrario penso che il bello della vita sia avere spazio per tutto: dark, saune, librerie, centri culturali, cinema (porno e d'essai), teatri,  discoteche, bar, associazioni. Insomma, un'ampia e variegata scelta di come condurre la  propria vita; come dire, la vita come un grande centro commerciale e non  come il bancone di una drogheria dell'ex URSS. Poter scegliere fra mille  opzioni tutte legittime, e non ingoiare i due o tre prodotti disponibili su una  tessera annonaria preconfezionata da CHI SA COSA E' BENE!

Come lessi in un tuo libro, si accetterebbero meglio i gay se fossero "plus royalistes que le roi": ecco, io rifiuto questa posizione (che so bene che non è tua, ci mancherebbe); e a proposito, in un recente, e sciagurato, sceneggiato sulla RAI, "Mio figlio", si vedeva come un padre poliziotto scopriva, cadendo nella più cupa disperazione, l'omosessualità del figlio, poliziotto anche lui. 

A parte che gli sceneggiatori mancavano di fantasia e il tutto era intriso di luoghi talmente comuni da riuscire a prevedere le scene e le battute (e stenderei un velo pietoso sulla figura che fanno fare alla madre del ragazzo gay nel finale; non solo omofobi ma pure misogini???), sottolineerei che il figlio viene finalmente accettato dal padre e dai colleghi (che non celavano minimamente il loro disprezzo, alla faccia del politically correct) solo dopo che il suddetto si  prende una pallottola in petto in una sparatoria, dimostrando così (ma guarda!) che è un vero eroe! Un eroe, e gay, sdoganabile (ma solo perché è un eroe, sia ben chiaro)!!! E durante la cerimonia di consegna di una medaglia (non ho visto però se ci fosse anche un triangolino rosa su uno dei lati...) il collega, che più di tutti durante il film lo insultava con superba arroganza e sommo fastidio, gli stringe la mano e poi, allontanandosi, dice a una collega: "non so se al suo posto avrei fatto lo stesso!!!". 

No, scusate, ma il messaggio che viene dato qual è? Mi devo prendere una pallottola fra le costole per essere accettato? 

Penso che oltre a essere una proposta surreale, sia anche poco praticabile (non credo che gli ospedali italiani siano attrezzati per accogliere oltre 2 milioni di gay che si facessero sparare addosso in una sottospecie di rito iniziatico).

Ma forse è una posizione migliore di quella del MOIGE, che così proponeva nella trasmissione di cui parlavo all'inzio: "Ma non si potrebbe fare una fiction in cui si vede come un  gay ESCE dall'omosessualià? Esiste anche questo! E' il caso che venga mostrato".

La visione che la propria dimensione  sessuale e affettiva sia come una stazione di servizio in cui si entra, si fa il  pieno di benzina, si compra un panino, si legge un giornale, e poi si riparte  per tornare sullo Straight Boulevard, mi fa rabbrividire. E preferirei non sapere quanti psicologi e psichiatri ci siano in Italia che la vedono così...

Ce n'è di strada da fare....

Nel mio piccolo cerco di dare una testimonianza per un cambiamento: sono un gay dichiarato, anche sul lavoro; condivido la mia vita con le persone che conosco; cerco cioè di comunicare l'idea che essere gay è solo uno degli aspetti della mia vita, non l'Aspetto (con la A maiuscola). Ed essendo solo uno fra i tanti aspetti che fanno di me ciò che sono, non è proprio il caso che io spenda tempo ed energie per, nell'ordine: occultarlo, ripudiarlo, violentarlo, annientarlo. Forse ho cose migliori da fare: magari costruire la mia felicità, non so...

E posso dire che il riscontro avuto da amici e colleghi e molto più che positivo!!!

Nei Gay Pride la parte più bella, a mio avviso, è data da quelle donne e quegli uomini che,  senza luci e riflettori, marciano con un cartello con su scritto: "Sono il tuo  medico", "Sono la tua professoressa", "Sono il tuo portiere", "Sono il tuo  commercialista", "Sono la tua dentista", "Sono il tuo postino" ecc. Cosa dicono in fondo? Dicono: "Eccomi, mi chiamo Marco, mi chiamo Chiara, mi chiamo Paolo, e sono felice e orgoglioso di essere me stesso". Sono loro il mio modello, e come omosessuali, e come persone.

Di questo gruppo di manifestanti però non si ha notizia né una pur breve ripresa televisiva (come tu stesso osservavi nella trasmissione).

Ce n'è di strada da fare... quindi iniziamo a farla!

Vivendo in una città come Napoli so bene che siamo tutti noi, con la nostra mentalità, la nostra cultura, i nostri pregiudizi, le nostre paure e i nostri atti di coraggio a dare vita e linfa sia alle storture sia alle bellezze della nostra società. Uno scippatore che mi ruba il cellulare o il camorrista che mi spara perché mi trovo per caso davanti al boss da ammazzare, esistono perché noi accettiamo che esistano, non perché "lo Stato non fa nulla!" (o anche): noi per primi non facciamo nulla  (la risposta tipica che sento, dopo un qualsivoglia crimine, è: "ma si sa che a Napoli succedono certe  cose" oppure :"ma tanto non c'è niente da fare: lascia perdere").

Ok, certe cose succedono e spesso è meglio lasciar perdere, e per la Chiesa e il MOIGE dovremmo redimerci rinchiudendoci in dei lager dove ci insegneranno il corretto Kamasutra (anche perché di sentimenti, affetto, sostegno reciproco non si discute: il punto non è se due donne o due  uomini possano volersi bene, un punto che semplicemente non esiste, una chimera irreale; ciò che conta è che la giusta chiave entri nella giusta  serratura; l'incasellamento, in tutti i sensi, prima di tutto, semplice e  rassicurante; uniformarsi).

Ma lasciatemi dire che così come mi fa male sentire napoletani onesti dire che certe cose  vanno così e basta, e che altri (e chi?) dovrebbero intervenire, così mi fa male sentire gay che dicono: "se voglio mi sposo una  donna e divento normale"; ma stiamo parlando della propria identità, del  proprio IO, o di dipendenza dal fumo??? Ma davvero siamo così meschini  da barattare la nostra felicità per mero conformismo? E aggiungerei, in certi  casi, barattare la nostra felicità lanciando in un gorgo anche una donna o un uomo ed eventuali figli, così, giusto per far pagare a qualche innocente la  nostra miseria interiore e l'incapacità di accettarci per intero e non a pezzi? 

Mi domando quanti gay e lesbiche ci sono in Italia che sottoscriverebbero le parole di Pasolini che  diceva: "la mia omosessualità era in più, era fuori, non c'entrava con me. Me la sono sempre vista accanto come un nemico, non me la sono mai  sentita dentro".

Senza nulla togliere a Pasolini come scrittore e regista, ma davvero siamo donne e uomini destinati a essere così piccoli piccoli? E come possiamo pretendere, così facendo, che la società possa accoglierci se noi per primi ci respingiamo? Non si pensa neanche per un momento che la Resistenza può, e  deve, essere fatta già cambiando il nostro modo di pensare: "Ok, non  posso redimere tutti gli scippatori e tutti i camorristi e tutti gli omofobi, qui e subito, ma posso iniziare a non accettare la situazione ritenendola immutabile, e posso iniziare a essere io per primo a non coltivare certe posizioni o modi di ragionare". Ovvero: "io per primo posso decidere di non essere scippatore o camorrista o omofobo". Secondo me sarebbe già un ottimo punto di svolta.

Concludo dicendo che nonostante tutto ciò che ho detto, sono fiducioso: i tempi non sono dei  migliori, è vero; l'economia arranca, la cultura è sotto assedio, la società si sta incattivendo e impoverendo (soprattutto nello spirito, oltre che nella busta paga). Eppure sono convinto che con pazienza e costanza si  riusciranno a raggiungere molti obiettivi che ora sono pura fantascienza. Ognuno di noi, un po' per volta può rosicchiare i muri di tristezza e solitudine che ci imponiamo da soli, prima che siano gli altri a imporceli.

Con sincero affetto

Alberto

P.S. Un primo passo potrebbe essere mandare a casa Berlusconi.... (io la  butto là...)

La pubblico senza commenti perché concordo nell'analisi.

Quanto a mandare a casa Berlusconi, se dovessimo poi sostituirlo con un omofobo qualsivoglia, come Rutelli, tanto varrebbe...

Ciao

G.D.'O.

[Torna alla pagina delle lettere "Avvisi dai naviganti"]