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Marco Cerbella, I falsi. Come riconoscerli nell'arte e nell'antiquariato, Bracciali, 2008.
 
Copertina di ''I falsi'', di Marco Cerbella.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Il falso raccontato da un "falsario". Ottima la prospettiva, ma i difetti non mancano..

Dopo i molti libri di storici e critici d'arte che han trattato del falso, è ora un'utile aggiunta questa trattazione, scritta da un perito nonché artista specializzato nella produzione d'opere d'imitazione dello stile antico.

Perché è questo, in primo luogo, un falso: un'opera d'arte, sia pure prodotta in uno stile che non è quello dell'epoca, o dell'artista, che la produce.
Questa produzione può proporsi in modi affatto diversi: dalla generica imitazione, alla copia, alla replica (il calco), alla riproposizione "in stile" - tutte opzioni che hanno perfetto diritto di cittadinanza nel mondo dell'arte - per arrivare infine al falso vero e proprio, che nasce invece come frode. Esso appartiene sempre, tecnicamente, ad una delle tipologie d'opere appena elencate, ma pretende d'essere "qualcosa d'altro".
Non esiste quindi il falso "intrinseco", esiste solo un'opera d'arte che è spacciata per qualcosa di diverso, e viene letta attraverso categorie estetiche errate. È la frode a rendere "falsa" un'opera d'arte, in sua assenza siamo di fronte solo ad una "ottima riproduzione".


Cerbella ci guida nel mondo di artigiani e artisti che si tramandano competenze e sapienze costruttive spesso antichissime, trattando con il dovuto rispetto la "rivisitazione in stile".
Attraverso un excursus storico ci mostra come la "riproposizione" sia sempre esistita da che esiste l'arte, e che spesso sia stata esplicita e dichiarata: per esempio i vasi etruschi in bùcchero imitano quasi alla perfezione, per colore e forme, quelli (infinitamente più costosi) in bronzo, ma nessuno li considererà mai dei "falsi bronzi".

È questa la parte più interessante del libro, ricca com'è di notizie spesso curiose ed anche divertenti, sempre istruttive.

Di grande interesse è poi la trattazione del mercato del falso nell'Italia post-unitaria, con le sue dinastie d'artisti specializzati, e soprattutto i suoi mercanti e critici d'arte disonesti, senza la complicità dei quali gli artisti non avrebbero potuto smerciare le loro creazioni.

Interessante anche l'analisi della psicologia del cliente del falsario, che spesso cade in trappola solo perché rinuncia alle tutele che la legge gli fornisce, facendosi allettare dalla proposta di truffare lo Stato acquistando reperti che la legge proibisce di commerciare.


Dopo questo excursus l'autore si dà all'improvviso a scrivere un'opera del tutto diversa, passando a proporre una specie di manuale alfabetico di tecniche artistiche, per essere d'aiuto a chi compra nei mercatini o su ebay (che questo libro rivela essere ormai sbocco per lo smercio d'una vera e propria industria della riproduzione dell'oggetto d'antiquariato).
A meno che l'autore non intendesse proporre questo libro come testo d'insegnamento, è incerta l'utilità che può avere un tale lungo, minuzioso ed anche noioso elenco di tecniche artistiche. O uno è un esperto e sa come usarlo, ma allora non gli serve, o non lo è, ed allora tanto valeva riassumere tutto in un: "Prima di spendere una cifra notevole in antiquariato, chiedete una perizia ad un esperto".


Nonostante l'interesse dell'opera, e la sua trattazione di notizie per niente banali e usuali, non me la sento di dare un voto pieno al libro anche per alcuni scivoloni in campi che non sono quelli dell'autore.
Ad esempio, nel caso dei due troni gemelli d'origine ignota provenienti dal mercato antiquario, quello di Boston e quello Ludovisi, non si comprende perché del primo è detto senza mezzi termini che è un falso, mentre rispetto al secondo non si accenna neppure all'analisi di Federico Zeri che lo definì "un capolavoro del simbolismo figurativo tardo Ottocento".
Zeri non è Dio e può sbagliarsi (anche se di solito il suo occhio straordinario ci azzeccava), ma in un testo a carattere "didattico" tacere del suo parere (forse per non inimicarsi il museo di Roma che espone il "reperto"?) si configura più come azione di censura che come dissenso.

Particolarmente grave è poi la discussione della Sacra Sindone. Un manufatto, per inciso, sulla cui autenticità la Chiesa non si è mai espressa.
Ammonta quindi a pura piaggeria la dichiarazione per cui "la scienza" non è stata in grado di dare "risposte definitive" sull'autenticità del manufatto.
La "scienza", in verità, le sue risposte le ha date, eccome, datandolo al XIII/XIV secolo, e scoprendo sperimentalmente almeno tre modi per produrre lo stesso tipo di traccia achiropita (fra i quali la strinatura senza contatto con un rilievo in metallo riscaldato, il che spiega il fatto che il disegno sia, bizzarramente, una proiezione ortogonale dei volumi sottostanti, ossia un quadro e non un sudario avvolto attorno ad un corpo, che modellandosi sui volumi avrebbe prodotto un'immagine deformata: mettetevi un fazzoletto sulla faccia sporca di un qualche colore e vedrete cosa ne viene fuori).
Ebbene, se si vuole prestare culto a questa che è tecnicamente un'icona si ha il diritto di farlo. Ma quando le credenze - religiose o di altro tipo - del perito iniziano a interferire col suo giudizio, qui siamo di fronte ad una perizia incompleta o sbagliata. Semplicemente.

Idem come sopra laddove, discutendo dell'ossario (falsissimo!) di "Giacomo, fratello di Gesù", l'autore ci comunica che i fratelli di Gesù sono figure che sarebbero esistite "secondo alcuni vangeli apocrifi".
FALSO. I fratelli, e le sorelle, di Gesù, sono elencati per nome dai vangeli canonici, e "Giacomo, fratello del Signore" (alias "Giacomo il Giusto") è figura canonicissima, visto che addirittura una lettera (apocrifa) a lui attribuita fa parte del canone della Bibbia cattolica!
La Tradizione ha risolto il problema, e salvato sia la lettera del testo evangelico che il dogma, affermando (senza alcuna prova, ma la soluzione escogitata è elegante) che erano fratelli frutto d'un precedente matrimonio di Giuseppe con un'altra donna. L'autore, invece d'usare questo semplice escamotage, che ha l'eleganza dei classici, preferisce ricorrere nuovamente alla falsificazione dei fatti, e trattandosi di due esempi in poche righe, capiamo che qui si tratta d'un suo tallone d'Achille.


Alla compiutezza del testo tolgono oltre tutto anche i continui refusi nelle citazioni di parole latine, o lapsus inaccettabili in un testo di questo respiro, quali l'inclusione accidentale dei manoscritti del Qumram in una frase che elencava i "vangeli apocrifi" (non solo non sono vangeli, ma non fanno neppure parte degli apocrifi!).


Ultima osservazione: lo smisurato formato "in-quarto" è del tutto inutile in un libro che userà in tutto un paio di foto a piena pagina, e serve quindi solo a renderlo difficile da maneggiare, e leggere, visto il suo peso (è stampato su carta patinata).
Se si aggiunge il fatto che più d'una volta le didascalie sono invertite o incasinate, una tirata d'orecchi all'editore, per un libro di questo prezzo (ben 39 euro) credo sia lecita.


 
 
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