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Zosimo di Panopoli, Storia nuova, Rizzoli, 1997 [527 d.C.].
Copertina di ''Storia nuova''.

[Saggio storico]

Recensione di Giovanni Dall'Orto
 


Uno storico pagano di fronte al crollo dell'Impero Romano d'occidente.

Ho comprato questo libro, scritto fra il 507 e il 527 d.C., invogliato dalle numerose citazioni che ne fa il saggio Barbari, di Alessandro Barbero.
E in effetti il confronto tra il testo antico (che ho letto comodamente in un pomeriggio) e il saggio odierno che riflette sui dati che ha fornito non mi ha deluso.

Nello storico antico vedi le passioni umane, che lo spingono a tratti a una straordinaria faziosità, che lo porta a sua volta a un'altrettanto straordinaria cecità su quanto era avvenuto, se non proprio sotto ai suoi occhi, un paio di generazioni prima. (La narrazione si ferma bruscamente al 407, nel mezzo d'un ragionamento, appena prima del Sacco di Roma da parte di Alarico: si pensa che l'autore sia stato interrotto nel suo progetto dalla morte sopravvenuta).
Nello storico moderno vedi invece l'acume che il senno di poi concede a tutti noi, la più profonda comprensione degli eventi, il disegno delle catene di cause ed effetti, ma anche un atteggiamento un po' distaccato, a tratti perfino entomologico, verso fatti e persone accaduti - dopotutto - migliaia d'anni fa.

Zosimo scrive per "partito preso", per dimostrare qualcosa, e la sua tesi sarebbe piaciuta a Nietzsche: i disordini che gradualmente aumentarono nei secoli IV e V, e che avrebbero infine portato alla caduta dell'Impero romano d'occidente, furono causati dall'abbandono del culto degli antichi dèi, che avevano concesso ai Romani il dominio del mondo, e per quasi un millennio li avevano favoriti.

I cristiani, buoni solo a pregare, intrigare senza posa e compiere azioni empie, con deliberata cecità avevano via via accresciuto il disfavore degli dèi, incuranti del crescente numero di segnali con cui gli dèi avvertivano che l'empietà sarebbe stata punita.

In altre parole questo è un Così morirono i persecutori, ma ribaltato: è una specie di Così i perseguitati mandarono a puttane lo Stato e il mondo...


Accanto a questo "partito preso" ce n'è un altro, quello appunto che riguarda la crescente presenza barbarica all'interno delle frontiere e delle istituzioni imperiali, in primis l'esercito.
Zosimo da un lato non riesce proprio a sopportare questi miserabili "extracomunitari" che, rendendosi conto di stare tenendo in piedi l'impero, alzano la testa e vogliono anche loro le fette della torta, dall'altra però non può negare che senza di loro tutto sarebbe andato a puttane molto prima (e poi, c'erano anche barbari pagani, "quindi" bravi e saggi...).
La soluzione è minimizzare il fenomeno, trattando con sommo disinteresse il problema del rapporto romani-barbari, come se non ci fosse proprio nulla di cui discutere.

Particolarmente schizofrenico è il dettagliato ritratto di Stilicone, il generale semi-barbaro che puntellò con le sue vittorie per un paio di decenni l'impero traballante.
Il giudizio di Zosimo sul suo conto ondeggia, come dovette fare quello della classe a cui Zosimo apparteneva ai tempi delle gesta di Stilicone. Che fu fatto fuori, per maggior prudenza, dai romani detentori del potere, tanto rincoglioniti e fossili (in un paio d'occasioni a Zosimo scappa la pazienza e commenta le ignave decisioni d'un imperatore qualificandolo come "completamente stupido", per esempio a VI, 14, 1) da ricordare il politburo del Partito Democratico odierno.

Solo nei confronti di Giuliano (l'"Apostata") il giudizio di Zosimo è netto e chiaro: lui sì che fu un grande imperatore... peccato sia durato solo tre anni.
Ma fu grande perché fu l'ultimo imperatore pagano, o per altri motivi? Leggendo solo Zosimo non lo si capirebbe mai. Speculare agli apologeti cristiani suoi contemporanei, Zosimo lascia infatti capire espressamente che la Fede sola di Giuliano sufficit, e lo salvi.
Così salverebbe anche l'Impero, peraltro, se solo la cecità cristiana non impedisse a tutti di vedere quanto sarebbe semplice la soluzione...


Trovo interessante questo delirio d'un fanatico religioso, che aiuta a capire quanto il fanatismo dei cristiani di quell'epoca fosse un atteggiamento mentale, politico e filosofico, diffuso.

A parte questi elementi di spicco, la narrazione non è tale da costituire un vero testo di storia in senso moderno.
In altre parole, la narrazione si capisce meglio se la storia narrata da Zosimo la si conosce già prima, almeno a grandi linee. E non solo per le lacune (peraltro non enormi) del testo tràdito, ma proprio perché la narrazione procede in modo piuttosto confuso. Fozio ha lodato lo stile asciutto di Zosimo, ma insomma, questo non è certo Tucidide... e si vede.

Più che la narrazione storica in sé, quindi, affascina l'universo mentale che essa lascia trasparire, il punto di vista dell'autore, i suoi umanissimi limiti, le sue infantili faziosità, le sue deliberate cecità.
Che ci spingono a chiedere quanto, anche noi, siamo simili a lui, quando parliamo dei nostri tempi presenti.


 
 
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