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Joe Haldeman, I protomorfi, "Urania" n. 1530, gennaio 2008 [2004].
 
Copertina di ''I protomorfi''. di Joe Haldeman.

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Alieni mutaforma, buoni e cattivi, in un romanzo di buon mestiere, seppur non eccelso.

TIn questo romanzo di fantascienza Haldeman ci fornisce una variante del tema: "risvegliato in un posto che non si riconosce senza la memoria di chi si è", caro alla fantascienza, mettendo in questa situazione un essere alieno mutaforma, che è praticamente immortale.

Emerso dal mare, dove ha vagato in forma pinnuta per migliaia d'anni, sbarca in California nel 1931, uccide un ragazzo e ne duplica la forma, e a poco a poco impara a darsi un'identità e a conoscere la società degli esseri umani. Fino al punto da farsela piacere e finire per innamorarsi (in un corpo di donna) d'un essere umano (maschio)...

La sua vicenda si alterna a quella d'un altro essere, simile a lui nella capacità di cambiare forma ma forse d'altra razza, che invece scorrazza sulla superficie per un periodo altrettanto lungo d'anni, divertendosi ad ammazzare la gente come passatempo.

La scoperta e il recupero, nel 2019, del vascello spaziale del primo dei due alieni, nascosto in fondo al mare, agisce da calamita che attrae verso l'artefatto alieno, conservato alle Samoa, entrambi i mutaforma, risultando in uno scontro finale peraltro brevissimo (due o tre pagine) prima dell'happy ending.


Haldeman ha saputo costruire in modo convincente il cammino del mutaforma "buono" nella costruzione progressiva d'una personalità e d'una conoscenza "umana" nel corso dei decenni, ficcandolo in una serie di vicissitudini ed ambienti variegati (comprese le Samoa, che descrive con cura da dépliant turistico, e gli orrori della guerra, che non mancano mai nei suoi scritti).

Meno interesse riveste la vicenda del mutaforma "cattivo", che avendo avuto molti più secoli a disposizione, segue in tempo reale l'evoluzione della società umana e non ha bisogno di alcun adattamento. Per questo l'autore gli dedica meno attenzioni.

Haldemann ci porta a simpatizzare per gli sforzi di adattamento dell'alieno "buono", specie quando diventa sempre più "umano", senza farci mai dimenticare che d'un alieno si tratta.


Un buon prodotto "di genere", costruito con buon mestiere, che pur non collocandosi fra i "capolavori" (nessuno degli ingredienti presenti è originale: si tratta alla fin fine di un buon assemblaggio di tòpoi fantascientifici tutti già ampiamente collaudati) è scritto con ritmo giusto e senza sbavature, in modo da risultare godibile e mai noioso.

Il solo punto davvero debole del romanzo è il raffazzonato finale, "tirato via" come se l'autore avesse ormai finito lo spazio e volesse sbrigarsi a consegnare il malloppo all'editore, senza preoccuparci di dirci chi o cosa fossero i suoi eroi, e cosa cavolo ci facessero sulla Terra.

Peccato!


 
 
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