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Luca Masali, La perla alla fine del mondo, Sironi, Milano 2007 [prima edizione: 1999].
 
Copertina di ''La perla alla fine del mondo'', di Luca Masali.

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Meno bello dell'opera d'esordio, ma pur sempre ben scritto

Che buffo. Di solito l'opera d'esordio d'uno scrittore tende (anche se, sì: le eccezioni esistono) ad essere meno compiuta e coerente di quelle successive, dato che il mestiere si affina con la pratica.
In questo caso, invece, il secondo romanzo di Masali risulta meno compatto e coerente della sua opera prima, I biplani di D'Annunzio.

Qui la passione di Masali per le macchine d'epoca, folle ma anche perfetta quale inconfondibile "marchio di fabbrica", è stata o repressa dall'autore o massacrata spietatamente dall'editore.
Ne sopravvive qui e lì qualche brandello, a iniziare dal pretesto che origina l'avventura (una scommessa fra il signor Citroen e il signor Renault, nel 1924, relativa a un attraversamento del deserto del Sahara in automobile).

A mio parere il romanzo risente negativamente di questa mancanza: per dirla dannunzieggiando (ci sta),

"Non è Masal, Masali /
senza i motori e l'ali".
Ciò è dimostrato anche dalla maggior riuscita narrativa dello sforzo successivo, La balena del cielo, dove tornano in ballo i velivoli d'annata, e infatti ci si diverte molto di più.


Viceversa, una cosa che non c'era nel romanzo precedente spicca nel presente: un palpabile influsso da parte di Valerio Evangelisti, non particolarmente ben digerito, come se Masali stesse ancora brancolando alla ricerca d'un proprio stile autonomo senza riuscire ancora a staccarsi dal modello troppo ammirato di Evangelisti (al quale in effetti Masali dedica le frasi conclusive della pagina dei ringraziamenti).
La mistura fra horror, esoterismo arcano, religione (qui quella islamica, là quella cattolica d'un inquisitore) e fantascienza, è qui presente nelle medesime proporzioni prescritte dalla celebre ricetta della premiata ditta Evangelisti.

In effetti in questo romanzo i piani temporali slittano continuamente fra il 1924 e un futuro lontano, nel quale imperversa nei Paesi islamici (i soli sopravvissuti, dopo che una devastante guerra atomica ha cancellato dalla faccia della terra tutti i paesi cristiani) una guerra che ricorda molto - troppo - da vicino la guerra contro la RACHE con la quale Evangelisti alterna le vicende del suo Inquisitore Eymerich.
L'ambientazione è la stessa, direi, anche se quella di Evangelisti è più "simbolica" (con gli zombi che simboleggiano ciò a cui sono ridotti gli esseri umani dalle ideologie neonaziste professate dai loro padroni), mentre quella di Masali è più goliardica e fine a se stessa (Masali s'è divertito perfino a immaginare una restaurazione completa dell'impero ottomano, con tanto di sultano... che non ha però il minimo senso storico-politico).


La vicenda si svolge perlopiù nel Sahara, nel quale finiscono rapidamente insabbiati gli autori della scommessa automobilistica, e dal quale iniziano ad emergere uno dopo l'altro misteri collegati alla mistica islamica (non so cosa legga Masali prima di andare a dormire dopo aver misurato spinterogeni tutto il giorno, ma temo di avere qualche sospetto...).

Metà romanzo di viaggio alla Pierre Loti (a tratti davvero troppo carico di scontatissimo "colore locale" per riuscire anche lontanamente credibile), metà romanzone d'avventura alla Emilio Salgari, la vicenda partita su questo tono s'avvita rapidamente in una serie di misteri intrecciati l'uno con l'altro, su tre piani temporali diversi: il 1929, l'epoca della nascita della leggenda del Dodicesimo Imam sciita, e il futuro sconvolto dalla guerra.

Tutto ruota attorno a una misteriosa grotta in mezzo al deserto, su cui non rivelerò altro perché giunti a questo punto il romanzo assume anche i contorni del thriller e se racconto la vicenda, addio piacere della lettura.


Masali ha messo nel piatto una tale quantità di spunti, idee e ambientazioni da rischiare l'indigestione. O quasi.
I personaggi e le situazioni sono forse troppe, e si finisce col perdere di vista dettagli e persone (ogni tanto ci si chiede: "Ma questo qui da dove spunta?").

A salvataggio d'una storia che rischiava l'implosione è però corsa la felice fantasia dell'autore, che è riuscito a costruire un'affabulazione decisamente gradevole, e ben puntellata da improbabili leggende e addirittura citazioni coraniche, con il risultato inatteso che alla fin fine la lettura scorre e risulta gradevole.
Al di là di tutti i limiti che ho elencato, insomma, alla fine la narrazione dell'improbabile cavalcata nel deserto "regge" e risulta divertente e piacevole.

Peccato solo che, come succede spesso quando ci sono troppi personaggi da gestire tutti assieme, il finale sia piuttosto sbrigativo. Peccato.


Nonostante i limiti, insomma, e il fatto che narrativamente questo romanzo sia meno riuscito del primo (e del terzo), io personalmente la lettura la consiglierei.
La fantasia di Masali zampilla infatti idee sempre nuove a getto continuo, al punto che alla fine della vicenda nulla sarà quel che sembrava, con la sola eccezione del personaggio di Campini, proveniente dal primo romanzo e destinato a vivere ancora nel terzo con gli stessi connotati che possiede qui.

Ma il resto dell'universo narrativo propone mostri e viaggi nel tempo, leggende profetiche ed esseri immortali (o quasi), agenti segreti abilissimi e sette misteriose. Ci sono ingenuità, qualche fastidioso cliché troppo frusto e scontato (il rituale notturno dei legionari cattivi sembra uscito da un romanzaccio pulp di serie Z, dal possibile titolo "I terribili misteri oscuri dell'Africa selvaggia"), ma la narrazione regge, e nell'insieme siamo distanti dal dilettantismo pretenzioso che contraddistingue gli scrittori italiani di fantascienza.
L'autore è originale, ha belle idee, e sa scrivere. Tanto basta.


La conclusione? Che Masali o lo si ama o lo si odia.
Questo non è il migliore dei suoi romanzi, ma se avete letto gli altri e vi sono piaciuti, non vi deluderà, perché è sufficientemente originale da salvarsi perfino in mezzo a un uso non proprio parco di situazioni scontate e stereotipate della letteratura di viaggio nella "misteriosa Africa".

E personalmente io l'ho amato....


 
 
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