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Larry Niven, Il tempo di Svetz, Fanucci, 1978 [1969-1973].
 
Copertina di ''Il tempo di Svetz'', di Larry Niven.

[Antologia di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Antologia gradevole, ma Niven ha scritto cose nettamente migliori!

Se un domani, in un qualche lontano futuro, dei libri di Larry Niven  sopravvivesse solo questo volume, difficilmente i nostri discendenti capirebbero per quale motivo fosse giudicato uno dei migliori scrittori di fantascienza "hard".

Prima di tutto perché in questi racconti la parte scientifica è molto ridotta (nell'ultimo racconto debordiamo decisamente nella fantasy), e in secondo luogo perché si tratta di divertimenti scritti con la mano sinistra, con un intento umoristico gradevole sì, ma che non rappresenta certo il livello più congeniale a Niven.


La prima parte (un ciclo di racconti che ha per protagonista il personaggio di Svetz) si basa su un'idea decisamente simpatica: siccome il viaggio nel tempo è impossibile (e lo è: la Terra e il Sole si muovono: tornare al passato implica la capacità di trasferirsi istantaneamente ed esattamente nello spazio) qualora qualcuno lo scoprisse potrebbe essere solo un viaggio nel regno dell'impossibile.

Facendo sue le istanze ecologiste, Niven ci porta in un futuro in cui l'inquinamento (più la guerra atomica) ha distrutto ogni forma di vita sulla Terra, a parte gli esseri umani e i lieviti che fungono loro da alimento. Svez viene mandato nel passato a recuperare esemplari di animali estinti, ma se cerca un cavallo torna con un unicorno, se cerca un capodoglio torna con Moby Dick... e così via.
Niven riesce a tenere viva l'attenzione del lettore per tutta la serie di racconti, però insomma diciamocelo, una volta capita l'idea di base, lo svolgimento tende a diventare un po' ripetitiva. I racconti si reggono quindi interamente sulle gag, che sono graziose, ma non certo irresistibili. Niven è uno scrittore troppo razionale e misurato per cercare di pareggiare in demenzialità esilarante autori come, che so io, un Douglas Adams.


Il secondo racconto immagina quali possano essere le conseguenza sociali dell'invenzione del teletrasporto, ed ha anch'esso un tono blandamente umoristico.


L'ultimo racconto è ambientato in una Terra pre-istorica, cioè di prima che tutto il mana che rendeva possibile la magia fosse esaurito, e descrive come il nostro pianeta funzionasse quando la magia era una scienza.
L'attenzione di Niven va tutta ai dettagli di questa società basata sulla scienza magica, più che su avvenimenti mozzafiato, che in effetti sono pochi: giusto l'indispensabile.


Che dire? Se questo volume vi capita su una bancarella a pochi euro e Niven vi piace, vale la pena di prenderlo per rilassarvi nel prossimo viaggio in treno che farete. In caso contrario, non svenatevi per conquistarlo a caro prezzo su un'asta online dato che, rispetto agli altri libri di Niven (quelli belli, intendo), questo è un anonimo prodotto seriale di garbata fattura, ma nulla più. Potrebbero averlo scritto mille altri autori.

Insomma: la scintilla di genio del Niven migliore, ahimè, non abita qui.


 
 
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