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APPUNTAMENTO ALL'INFERNO:

Dante Alighieri e i sodomiti.
 
di: Giovanni Dall'Orto

 
Dante Alighieri - Dipinto di Sandro Botticelli
Dante Alighieri. Dipinto di Sandro Botticelli (fare clic per un ingrandimento), 
 
La presenza di un cospicuo nucleo di "sodomiti" tanto nell'Inferno che nel Purgatorio della Divina commedia di Dante Alighieri (1265-1321) ha dato origine nel corso dei secoli a infinite polemiche. 

Nel suo viaggio poetico nell'aldilà Dante immagina infatti d'incontrare personaggi importanti, fra i quali colui che egli indica come suo maestro, Brunetto Latini (1212?-1294).  

Gustavo Doré, Sodomiti. Illustrazione per la ''Divina Commedia''.I sodomiti dell'Inferno (canti XV e XVI) sono descritti mentre corrono sotto una pioggia di fuoco, condannati a non fermarsi mai, se non vogliono per punizione essere inchiodati al suolo per cent'anni senza potersi schermare dalle fiamme. 

Brunetto Latini è fra loro. Riconosciuto Dante, lo chiama e discorre con lui.  
Dante risponde con deferenza (è uno dei pochissimi casi in cui il poeta dia rispettosamente del "voi" a un dannato, anziché del "tu").  
Non basta: è a questo personaggio che Dante affida il compito di rivelare un'importante profezia sul proprio futuro. 

Nel descrivere chi siano i suoi compagni di pena, Latini nomina celebri (all'epoca) letterati, uomini politici e d'arme: il vescovo Andrea de' Mozzi, il giurista Francesco d'Accursio, Guglielmo Borsiere, Guido Guerra, il grammatico latino Prisciano da Cesarea, i politici Iacopo Rusticucci e Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari... 

Nel Purgatorio i sodomiti riappaiono, nel canto XXVI, insieme ai lussuriosi eterosessuali: i due gruppi sono divisi in due schiere che camminano nel fuoco in sensi opposti, gridando la causa della loro punizione.  
Qui Dante non indica per nome nessun sodomita di spicco. 

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Qual è il significato da attribuire alla notevole deferenza e simpatia che Dante mostra nel parlare con e dei sodomiti? Questo interrogativo ha tormentato i commentatori danteschi fin da pochi anni dopo la morte del poeta. 

La formazione culturale di Dante avvenne infatti in un secolo, il XIII, che in Italia costituì un momento di transizione nel campo degli atteggiamenti verso il comportamento omosessuale [1]. 

Quello che fino al tempo della nascita di Dante era stato un crimine riprovato dalla religione ma visto con indulgenza dalla morale quotidiana, assunse una crescente gravità anche agli occhi dei laici, per influsso della morale della borghesia in ascesa, che esigeva dal mondo ecclesiastico un maggior rigore morale 
Borghesi zelanti iniziarono a predicare rigore morale, castità ecclesiastica (sia etero sia omosessuale), povertà, carità.  
Per farlo predilessero i "nuovi" ordini predicatori, come i francescani, fondati appunto dal ricco borghese Francesco d'Assisi. 
Laddove poté la Chiesa osteggiò, dove non poté cooptò questo movimento, assecondandolo nelle parti che la danneggiano meno: quindi sì a maggiore castità, ma assolutamente no a maggior povertà -- quanti insistevano su questa assurda richiesta (come gli spirituali, o "fraticelli", francescani) furono dichiarati eretici e sterminati. 

Questo cambiamento d'atteggiamento morale avviene, per l'omosessualità, grosso modo nel corso della vita di Dante, che anzi da questo punto di vista, essendo un conservatore, fu leggermente in ritardo sui suoi tempi. 

Per l'Alighieri era dunque possibile, com'era comune ancora nel XII secolo, separare giudizio umano e giudizio divino nel campo della sodomia. 

Pur collocando all'Inferno, come cristiano, quanti s'erano macchiati di tale peccato, come uomo non riteneva tale comportamento abbastanza grave da annullare la stima che eventualmente nutrisse per tali persone. 

Si spiega così perché proprio al sodomita Brunetto Latini, e non ad altri,  Dante affidi l'importante profezia sopra citata. 

Bene ha espresso Umberto Bosco questo contrasto di mentalità: 
 

"Fermo il bisogno di Dante uomo (che informa naturalmente anche l'autoritratto) d'imparziale giustizia, lo sfondo poetico dell'episodio consiste proprio nel contrasto tra l'austerità morale di Brunetto e la miseria del suo peccato, tra la debolezza di cui questo è testimonianza, e la fortezza d'animo che il suo discorso e quello totalmente concorde del suo discepolo rivelano 
(...) 

"La sodomia è per Dante uno dei peccati per i quali la condanna di lui giudice in nome della legge cristiana può coesistere con la pietà dell'uomo consapevole della fragilità umana. 
(...) 

Di fatto [questo peccato] non esclude né la reverenza affettuosa per Brunetto, né il rispetto ammirato ed entusiastico per i tre fiorentini dell'episodio seguente" [2].

E giusta è l'obiezione mossa nel XIX secolo da Vittorio Imbriani ai suoi contemporanei, che non si capacitavano del fatto che Dante avesse attribuito al suo maestro quello che per loro era  in assoluto il più turpe di tutti i peccati: 
 
"per Dante, il più brutto fra' peccati non era quello di Brunetto, anzi [= bensì] quello di Bocca, di Giuda e di Bruto"[3].
cioè il tradimento. 
Sandro Botticelli, Sodomiti. Illustrazione per la ''Divina Commedia'' 
Sandro Botticelli, Sodomiti. Illustrazione per la ''Divina Commedia''. 

Il più azzeccato commento in proposito è, a mio parere, quello del nostro contemporaneo Giuseppe Petronio, che ci rammenta come tutte le opere celebri sollecitino la stratificazione d'interpretazioni che, attraverso i secoli, rileggono il testo secondo le esigenze e gli interessi del proprio secolo.  
Ecco perché è necessario liberarsi dai 
 

"falsi problemi, posti solo perché il lettore di età seguenti non ha avuto la capacità di guardare dal punto di vista di Dante, e ha creduto strano e impossibile quello che era tale per lui, ma non per Dante e per il mondo culturale e morale al quale egli apparteneva" [4].

In particolare è il peccato di Brunetto Latini ad aver dato vita a una vera letteratura:  
 

"a molti critici è parso impossibile ammettere che Dante non solo abbia collocato nell'Inferno un uomo per il quale mostra rispetto ed affetto, ma lo abbia bollato di una colpa che a noi oggi pare particolarmente infamante. 
(...)  
C'è in questa posizione una incapacità sostanziale di guardare le cose dal punto di vista di Dante, con i suoi occhi di uomo del medioevo; ed ecco, allora, il solito ricorso al conflitto - tutto inventato dai critici - fra "struttura" e "poesia", secondo il quale Dante condannerebbe per le leggi ferree impostegli dalla struttura teologale del poema, ma intanto, in quanto "poeta", comprenderebbe  e assolverebbe" [5].

In realtà Dante, secondo una tipica posizione di quel cattolicesimo che intride il suo poema, è convinto del fatto "che le virtù umane non bastano a salvare se non siano contenute nell'àmbito della legge divina". Ecco perciò  
 

"gli spiriti magnanimi che Dante apprezza e ammira, ma che pure colloca nell'Inferno, perché il fatto che uomini come essi siano dannati può commuovere e atterrire il lettore per permettere al poema di raggiungere quello scopo morale per il quale esso è stato pensato.  
(...)  
Immaginare perciò un conflitto tra l'atteggiamento di Dante di fronte a quegli uomini e la loro condanna all'Inferno da parte dello stesso Dante, significa porsi fuori del mondo morale e culturale del poeta, il quale ragionava secondo una rigida logica di cattolico, convinto che i valori terreni, per alti che siano, non possono  aiutare al momento del giudizio divino, e aspirava a farsi interprete lui di quel giudizio, senza trovare alcun contrasto fra l'ammirazione o  l'affetto che egli poteva nutrire per un uomo, e il giudizio che ne doveva dare quando si fosse posto dal punto di vista di Dio e avesse giudicato non secondo gli affetti terreni ma secondo la legge". 
(...) 

"D'altra parte in questo canto, come in tanti altri del poema, tema vero dell'episodio non è il peccato di Brunetto, ma la polemica di Dante con Firenze e la celebrazione di se stesso, e Brunetto è soltanto uno strumento di cui Dante si serve a (sic) dare  voce a un groppo di moti affettivi e morali che ricorrono in tutto il poema[6].

Insomma,  
 
"Brunetto assolve un duplice compito: da una parte è un monito probante - probante proprio per la sua grandezza e per la sua fama - a distogliere dal peccato di sodomia, dall'altro è un mezzo per permettere a Dante di cominciare a sbozzare quel monumento a se stesso che egli si costruisce in tutta la Divina Commedia" [7].
 
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Resta il fatto che il fraintendimento della posizione di Dante iniziò prestissimo, a pochi anni dalla sua morte. Con l'evoluzione del pensiero e della società, un simile atteggiamento per nulla complicato era diventato semplicemente incomprensibile. 

Da questo punto di vista, lo studio diacronico dei commenti alla Divina Commedia (ne esistono a decine) è uno splendido test sull'evoluzione degli atteggiamenti culturali italiani sull'omosessualità, nel corso dei secoli. 

Ogni volta che s'abbatte un'andata di moralismo e omofobia, i commentatori se la vedono brutta, specie in quelle epoche in cui è considerato sconveniente e immorale anche soltanto nominare, anche solo ammettere la mera esistenza al mondo del comportamento omosessuale. 

Dante Alighieri in un ritratto ideale di Raffaello (Vaticano, stanza della Segnatura)Per i commentatori antichi di Dante la sodomia era ormai un peccato di tale gravità che per loro non era più, assolutamente, concepibile trattare con rispetto uomini macchiati di tale "infamia". 
Come fare allora a spiegare  l'atteggiamento di Dante?  
Come spiegare la sua collocazione nell'infamante girone dei sodomiti di un uomo, ser Brunetto, verso cui dimostra rispetto e ammirazione? 

Non furono molti coloro che, come Francesco da Buti (1324-1406), uno dei più stimati commentatori antichi di Dante, compresero che per Dante (e in assoluto) "l'uomo vizioso di qualche peccato può avere virtù in sé, per le quali merita onore e rispetto" e che Dante, con ser Brunetto, aveva "onorato la virtù che era in lui, lasciando il vizio" [8]. 

Nel tentativo di conciliare ciò che agli occhi dei posteri appariva inconciliabile, i commentatori azzardarono allora attraverso i secoli le spiegazioni più strane e contorte: 

  • Che Dante avesse parlato con troppa simpatia di ser Brunetto e dei sodomiti perché in realtà anche lui condivideva gli stessi gusti, come dichiara per esempio un commentatore anonimo del XIV secolo: 

  • "Qui mostra l'Auttore l'amore et l'affezione ch'egli avea a costoro et per questo comprende alcuno, l'Auttore essere stato maculato di questo vizio, però, che [ = dato che] sua usanza è che quante volte egli trova peccatori essere puniti d'alcuno vizio di che egli abbia sentito, se ne duole et hanne compassione, pensando similmente essere punito elli" [9]; 
     
  • Oppure che ser Brunetto fosse davvero un "infame", e che avesse attentato alla virtù di Dante, e che quindi le parole gentili di Dante siano in realtà sarcasmi, da intendere "per lo contrario", come suggerisce Guiniforte Barzizza(1406-dopo 1460?): 

  • "Mostrando Dante molto lodare ser Brunetto lo vuol vituperare in perpetuo di tale infamia, che oscura ed ammorza ogni laude, e questo fa introducendolo tra i peccatori contra natura. E forse ironicamente parla Dante volendo essere inteso per lo contrario di ciò che dice, perocché forse avea ser Brunetto sotto apparenza di insegnargli scienza volutolo indurre in alcuna scelleratezza" [10];
  • Oppure ancora, avanzando una tesi, che sarebbe stata cara alla scienza medica del XX secolo, ossia che in realtà esistano due tipi di "sodomiti": quelli che sono tali per "scelta" e quelli che sono tali per "necessità" (per "compensazione", si direbbe oggi). 

  • I secondi sarebbero meno malvagi dei primi, avendo peccato solo per necessità, appunto, e proprio di costoro Dante avrebbe parlato nell'Inferno (è la tesi d'un altro anonimo commentatore che scrive tra il 1321 e il 1337:  
    "E di questo scelerato pecchato sono due generationi di genti, l'una religiosi e maiestri in scientia, e genti che mostrano d'essare gente honesta e quando per vergogna, e quando per non potere non richieggono donna o femmina, si trovano questo altro male, e con esso si stanno.  
    L'altra generatione di gente si sono gente scielerata e isfrenata, li quali, seguendo el loro appetito, non churano in altro.  
    E in questo presente capitolo tormenta la gente d'habito honesto" [11].
In tutto questo frullare d'ipotesi emerge chiaramente il divertente sconcerto dei commentatori, che si rompono il cervello ad escogitare altre spiegazioni solo perché rifiutano a priori (per preconcetto omofobo) di considerare l'ipotesi più ovvia, cioè che Dante avesse osato dare un giudizio morale diverso da quello che loro consideravano l'unico possibile ed immaginabile. 

Questo sforzo (che continua anche ai giorni nostri) mostra quanto nella storia l'omosessualità possa essere colpita dallo stigma di indicibilità, al punto che perfino una condanna eterna all'Inferno che però contenga un minimo di pietà umana risulta sconcertante, incomprensibile, inspiegabile, in-concepibile e soprattutto im-menzionabile, non appena riparte un ciclo di repressione fanatica. 

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La querelle sulle motivazioni di Dante, dicevo, ha avuto uno strascico fino ad anni recenti, con argomenti che rivelano tutto il fastidio omofobo per il fatto che un grande poeta possa aver parlato bene d'un orrido sodomita... Più volte si vede scattare il commentatore: ma non poteva evitare di trattare questo tema, e di trattarne così a lungo? [12]. 

Dante Alighieri - Miniatura medievaleE allora via con gli arzigogoli per fare sparire dalla Divina Commedia ciò che Dante ha avuto il pessimo gusto di metterci, via i sodomiti! L'omosessualità non esiste, non può e non deve esistere, da nessuna parte, nemmeno in un poema di molti secoli fa! Non ci sono sodomiti nella Divina Commedia, o se ci sono stanno in uno sgabuzzino nascosto nascosto, e non certo in uno dei canti-chiave del poema... 

Ciò che preme dimostrare ai commentatori omofobi è che se questi personaggi furono davvero rispettabili (e nulla lascia pensare che non lo fossero), allora non furono sodomiti, perché è inconcepibile che un omosessuale possa essere persona degna di rispetto o che, viceversa, una persona degna di rispetto possa essere omosessuale. 

Due le strategie dei commentatori che desiderano mettere in discussione ciò che i contemporanei di Dante non avevano trovato affatto oscuro, cioè che nei canti XV e XVI dell'Inferno appaiano i sodomiti: 

  1. In realtà nel girone sono presenti eretici, patarini, "irreligiosi", bestemmiatori, superbi, letterati italiani che non usarono la lingua italiana (come se Dante non avesse mai scritto in latino!)... o mille altre fanfaluche. È l'approccio più diffuso.
  2. In alternativa, una minoranza accetta (brontolando) l'idea che quelli che appaiono nei canti XV e XVI siano davvero sodomiti, ma solo per "licenza poetica", e non nella vita reale. Dante li ha fatti apparire come tali per mere esigenze poetiche, di "euritmia" del poema, a noi non del tutto chiare ma ben presenti al genio imperscrutabile del Poeta. Dunque i personaggi sono rispettabili sì, ma non furono davvero sodomiti, in vita: si tratta di mera finzione letteraria [13].
I testi di commentatori moderni che usano queste strategie sono decine, quindi per farla breve ne citerò quale esempio uno che, essendo stato scritto nell'Ottocento, afferma candidamente ed esplicitamente ciò i suoi colleghi omofobi d'oggi avrebbero pudore a dire con tanta franchezza: che alla base del rifiuto di accettare la presenza di sodomiti fra le persone rispettabili dei canti XV e XVI dell'Inferno sta il ribrezzo verso l'idea che Dante possa avere ossequiato alcuni schifosissimi invertiti: 
 
"Quando proprio si dovesse riconoscere il Latini colpevole di sodomia, a scagionar (sic!) Dante del tutto non basterebbero forse i diritti del vero.  
Pur lodandolo di aver posto il peccatore famoso nel settimo cerchio, non potremmo noi tuttavia non meravigliarci di vedercelo presentare come persona gentile, nobilissima e veneranda. Nella scena del canto XV resterebbe sempre quella "contraddizione e sconcezza", a cui il Balbo non sapeva trovare altra causa, fuorché nella barbarie (sic) de' tempi 
(...). 
"Prego il lettore di voler ben ponderare (...) se sia più verosimile la sodomia e non anzi la irreligiosità in gente non solo letterata, ma grande e di gran fama[14].
 
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Più vicino a noi, il caso più fastidioso è quello di André Pézard che nel 1950 dedicò un intero libro eruditissimo allo sforzo di dimostrare che il "peccato" per cui furono puniti Brunetto e i suoi compagni non fu sodomia vera e propria, ma "sodomie spirituelle", cioè, nel caso di Brunetto, l'aver usato la lingua francese per scrivere una delle sue opere [15]. 
Il caso di Pézard è un monito su quanto danno  possa fare un'erudizione enorme quando sia al servizio del pregiudizio cieco. 

Eppure il buon senso non era certo merce rara quando Pézard pubblicò il suo delirio omofobo, come dimostrò Vincenzo Perticone, recensendo nel 1951 l'opera:  
 

"Ho provato a rileggermi il canto XV tenendo presente l'interpretazione del Pézard: è la stessa poesia di Dante che vi si ribella.  
(...)  
Dante vuol dimostrare col suo atteggiamento che a Brunetto quel peccato non aveva impedito di essere un buon cittadino, un buon letterato, un efficace maestro.  
Questa è la realtà delle cose come le presenta Dante, qualunque (sic) possano essere le ragioni della nostra sensibilità. La prova ineccepibile che (sic) il peccato di sodomia non disturba il giudizio oggettivo di Dante (...) è nella risposta a Iacopo Rusticucci:  
"Non dispetto, ma doglia /  
la vostra condizion dentro mi fisse" [16].
Bastava volerlo... 

Ciò non impedì a un altro omofobo, Richard Kay, di dedicare diversi saggi in inglese a negare la presenza di sodomiti nella Commedia dantesca... 

Sandro Botticelli, Sodomiti. Illustrazione per la ''Divina Commedia'' 
Sandro Botticelli, Sodomiti. Illustrazione per la ''Divina Commedia'' 

Ma anche l'omofobia si evolve, e si adatta ai tempi.  
Dato che oggi non è più possibile negare, puramente, la presenza di sodomiti nell'Inferno, ora c'è pure chi ribalta la prospettiva e torna alla seconda tesi dei commentatori antichi, ricercando tare e difetti che dimostrino (grazie anche alla psicoanalisi ) l'"umorismo" o la "severità" di Dante nel tratteggiare queste personalità psicopatiche... [17]. 

Infine, curiosamente, l'incomprensione della posizione di Dante ha portato anche all'eccesso uguale e contrario, come nel 1977 in Dante, inferni dentro e "Fuori" di Giuseppe Aprile, che con lettura "psicoanalitica" del poema dantesco riprende la vecchia tesi dell'omosessualità dell'Alighieri (la numero 1 dei commentatori antichi) [18]. 
Secondo Aprile sarebbe infatti la comunanza di gusti coi sodomiti la vera causa della gentilezza di Dante nei loro confronti! 

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L'autorevole Enciclopedia dantesca ha comunque posto fine da qualche tempo alla diatriba, prendendo atto (finalmente!) in modo adeguato dell'indulgenza del giudizio dell'Alighieri come chiave corretta per risolvere l'inesistente "enigma" del girone dei sodomiti 
 

"Ai sodomiti espïanti Dante sembra non rimproverare una colpa più grave dell'incontinenza: non li distingue infatti dai lussuriosi secondo natura, facendone un gruppo ad essi contrapposto, che però ne condivide in pari grado la pena, il fuoco (Purg. XXV, 28-29)[19].
Similmente aveva già concluso Fernando Salsano, obiettando a quanti rifiutavano, come il già citato Pézard, di collocare Brunetto Latini fra i sodomiti:  
 
"Mi pare che non considerino che l'essere tra i sodomiti non è un fatto più grave che l'essere fra i bestemmiatori, come vorrebbe qualcuno, e che non giova alcunché che il peccato non sia della carne ma dello spirito".  
(...)  
Al cospetto della giustizia divina (...) un peccato vale l'altro, e tutti i peccati sono soggetti ad un'unica gradazione di gravità: è solo sul metro d'una morale tutta terrena, di convenienza sociale, di apparente dignità terrena, che il peccato di sodomia appare più obbrobrioso di quello dei bestemmiatori o dei violenti contro l'arte[20].
 
Dante nel bassorilievo rinascimentale sulla sua tomba, a Ravenna. Fare clic sull'immagine per vedere la tomba
Dante nel bassorilievo rinascimentale sulla sua tomba, a Ravenna. Fare clic sull'immagine per vedere la tomba 
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Quanto alla "vera" motivazione per cui Brunetto Latini sia finito nel girone dei sodomiti, la recente restituzione a lui (dopo una lunga, deliberata censura da parte degli studiosi) d'una non breve poesia d'amore per un uomo, "S'eo son distretto jnamoratamente", ci dimostra che essa si basò su dati di fatto di pubblico dominio all'epoca di Dante, ma successivamente dimenticati o censurati-[21]. 

Eppure la questione continua a trascinarsi (come se non ci fossero cose più importanti di cui discutere) insistendo sull'obiezione per cui non esiste alcun documento o prova sull'omosessualità dei personaggi che Dante manda tra i sodomiti del suo Inferno-[22]. 

Questa obiezione dimentica, e non certo per mera sbadataggine, due punti importanti: 

  1. la Divina Commedia è essa stessa un documento contemporaneo agli eventi. Per il fatto stesso di esistere e di parlarne, documenta l'esistenza di pettegolezzi relativi alle tendenze sessuali dei personaggi che elenca.

  2. Si può discutere o meno della leggerezza con cui Dante trasformò pettegolezzi maligni in dati di fatto, tant'è che in almeno per un caso (Prisciano) è stato dimostrato che la collocazione fra i sodomiti è nata da una lettura sbagliata di un brano latino.  
    Ciò detto, resta il fatto che la Divina Commedia è la testimonianza storica che documenta proprio l'esistenza di tali voci. 
  3. Tocca a chi sostiene la falsità di tali voci dimostrarla, con prove del contrario. Affermare che Dante avrà avuto fonti e informazioni oggi non più esistenti non è storicamente scorretto (solo molto pigro).

  4. In effetti, è ora di finirla con l'atteggiamento per cui l'eterosessualità è un dato di fatto d'ogni essere umano, che può semplicemente essere data per scontata, mentre l'omosessualità va dimostrata con prove inoppugnabili. Se interessa discutere della questione (e non sempre interessa, nemmeno a me) l'eterosessualità di un personaggio è un dato che va dimostrato tanto quanto la sua omosessualità.  
    Ragionando così, ci si accorgerà con stupore del fatto che l'eterosessualità è altrettanto impossibile da dimostrare dell'omosessualità, per lo meno con i criteri assurdi pretesi da parte degli storici eterosessuali nei confronti degli studi storici sull'omosessualità. 
Non sarebbe ora di farla finita con l'isteria omofoba, che è già costata sei secoli di delirii inconcludenti, e metterci a discutere, senza preconcetti, di ciò che desiderava dirci Dante? 

Io, in effetti, la penso così. 

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.

Note 

[1] Sulla questione è essenziale la consultazione di: Michael Goodich, The unmentionable vice, Ross-Erikson, Santa Barbara 1979.  

[2] Umberto Bosco, "Il canto XV dell'Inferno", in: Lectura Dantis scaligera, Le Monnier, Firenze 1961, pagine 6-7, poi come volume (Lectura Dantis scaligera, Le Monnier, Firenze 1967 e 1971, pp. 483-512), e come "Il canto di Brunetto", in: Umberto Bosco, Dante vicino, Sciascia, Caltanissetta e Roma 1966, pp. 92-121. 

[3] Vittorio Imbriani, "Che Brunetto Latini non fu maestro di Dante", in: Studi danteschi, Sansoni, Firenze 1891, p. 333-380, a p. 347. 

[4] Giuseppe Petronio, "Il canto XV dell'Inferno", in: Nuove letture dantesche, Le Monnier, Firenze 1966-1978, 8 voll., vol. 2, 1968, pp. 75-85. Citazione da p. 76. 

[5]-Ibidem, pp. 77-78. 

[6]-Ibidem, pp. 79-80. 

[7]-Ibidem, p. 81. 

[8] Francesco da Buti, Commento sopra la Divina Commedia [ca. 1385-1395], Nistri, Pisa 1858, 3 voll., vol. I, pp. 405-433. Citazione da p. 407. 

[9]-Commento alla Divina commedia d'Anonimo fiorentino del sec. XIV, Romagnoli, Bologna 1866, vol. 1, p. 375.  

[10] Guiniforte Barzizza (Guiniforto dei Bargigi), Lo Inferno della Commedia di Dante Alighieri col commento di Guiniforto delli Bargigi, Molini e Mossy, Firenze e Marsiglia 1838, p. 367. 

[11] Giuseppe Avalle (a cura di), Chiose all'Inferno di Dante, Lapi, Città di Castello 1900, p. 81. 

[12] Per una bibliografia su Dante, Brunetto Latini e la querelle sulla natura del suo peccato si veda la pagina dedicata al Latini in questo sito, nota 5. 

In aggiunta, sui sodomiti in generale o sugli altri sodomiti dell'Inferno nello specifico, si veda: 

  • Boswell, John, Dante and the sodomites, "Dante Studies", CXII 1994, pp. 63-76;
  • Burgwinkle, William, "The form of our desire": Arnaut Daniel and the homoerotic subject in Dante's "Commedia", "Gay and Lesbian Quarterly", X 2004, pp. 565-597;
  • Culberstone, Diana, Dante, the Yahwist, and the sins of Sodom, "Italian culture", IV 1983, pp. 11-23;
  • D'Ovidio, Francesco, Cenni sui criteri di Dante nel dannare o salvare le singole anime [1895], Tipografia della Regia Università, Napoli 1904. Poi in: Opere, Guida, Napoli, vol. 2 (Nuovi studi danteschi), 1932, pp. 179-207;
  • Filippini, Francesco, Il grammatico Prisciano nell'Inferno dantesco, "L'archiginnasio", XII 1917, pp. 23-31;
  •  Hollander, Robert, Dante's harmonious homosexuals (Inferno 16.7-90) ["Electronic Bulletin of the Dante Society of America", 1996].
  • Kay, Richard, Dante's unnatural lawyer: Francesco D'Accorso in Inferno XV, "Studia Gratiana" XV 1972, pp. 149-200;
  • Kay, Richard, Dante's unnatural lawyer: Francesco d'Accorso in Inferno XV, "Studia gratiana", XV 1972, pp. 147-200. Poi in: Dante swift and strong. Essays on "Inferno" XV, The Regents press of Kansas, Lawrence 1978;
  • Palandri, Eletto, Il vescovo Andrea de' Mozzi nella storia e nella leggenda dantesca, "Il giornale dantesco", XXXII 1929 (ma 1931), pp. 93-118;
  •  Pequigney, Joseph, Sodomy in Dante's Inferno and Purgatorio, "Representations", XXXVI Fall 1991, pp. 22- 42.
  • Pietrobono, Luigi, Tre fiorentini: Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi e Jacopo Rusticucci, "L'Alighieri", III 1962, 2, pp. 17-24 (NB: non  parla della sodomia);
  • Radcliff-Umstead, Douglas, "Erotic sin in the Divine Comedy". In: D. Radcliff-Umstead (cur.), Human sexuality in the Middle Ages and Renaissance,  University of Pittsburgh, Pittsburgh 1978, pp. 41-96;
  • Raimondi, Ezio, Metafora e storia, Einaudi, Torino 1970, pp. 41-43 (su Dante e Accursio);
  • Sacchetto, Aleardo, "Il canto dei tre fiorentini". In: Dieci letture dantesche, Le Monnier, Firenze 1960, pp. 27-56; 
  • Sanesi, Emilio, Del trasferimento di messer Andrea de' Mozzi da Firenze a Vicenza, "Studi danteschi", XII 1938, pp. 115-122;
  • Santini, Pietro, Sui fiorentini "che fur sì degni", "Studi danteschi", VI 1923, pp. 25-44;
  • Schizzerotto, Giancarlo, Uguccione da Pisa, Dante e la colpa di Prisciano, "Studi danteschi", XLIII 1966, pp. 79-83 [svela l'equivoco che fece collocare l'innocente Prisciano fra i sodomiti];
  • Verschuer, U. F. von, Die Homosexuelle in Dante's Gottlicher Komödie, "Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen", VII 1906, pp. 353-363 (non vidi).
  • Vivaldi, Fulberto, Note sparse (I sette P, la fiera moglie, ecc.), "L'Alighieri", V 1964, pp. 79-82. Poi in: Qualche segreto della Divina Commedia, Olschki, Firenze 1968, pp. 133-137 [su Iacopo Rusticucci].
Ovviamente ogni commentatore dei canti XV e XVI ha da dire la sua in materia, ma a doverli citare tutti "il tempo sarìa corto a tanto suono"... 

[13] I sostenitori di questa bizzarra tesi annoverano nomi illustri quali Benedetto Croce (Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia, Laterza, Bari 1950, p. 14), Ernesto Parodi ("Perché Dante lo condanna?". In: AA.VV., Dai tempi antichi ai tempi moderni, Hoepli, Milano 1904, pp. 121-127) e Vittorio Rossi (Il canto XV dell'Inferno letto nella "casa di Dante", Sansoni, Firenze 1915, pp. 27-34). Per costoro la presenza di Latini & c. fra i sodomiti è mera "licenza poetica", che serve a Dante a... scatenare la sua invettiva sdegnosa contro i fiorentini... Come se non avesse avuto nessun altro modo per farlo! 

[14] Pietro Merlo, Sulla euritmia delle colpe nell'Inferno dantesco, "Atti del reale istituto veneto di scienze, lettere ed arti", tomo VI, serie 6, 1887-1888, pp. 979-1000, alle pp. 981 e 983 

[15] André Pézard, Dante sous la pluie de feu, Librairie philosophique, Paris 1950. 

[16] Vincenzo Pernicone, André Pézard, Dante sous la pluie de feu, "Giornale storico della letteratura italiana", CXXVIII 1951, pp. 88-95. 
Similmente critico Vincenzo Romano, Dante sotto la pioggia di fuoco, "Belfagor", VI 1951, 2, pp. 190-195. 

Sodomiti. Miniatura per la ''Divina Commedfia'', 1370 ca.

[17] Così per esempio Vittorio Sermonti, L'Inferno di Dante, Rizzoli, Milano 1991: la colpa di Brunetto e soci consiste "nel deliberato sopruso morale che il pederasta esercita sul ragazzo, soggiogandolo con il prestigio intellettuale, con le seduzioni del potere politico o economico e mondano, e comunque con le prospettive del losco e tiepido privilegio di appartenere ad una setta" (p. 225). Olé! 

Non scherza neppure il fanta-dantesco Silvio Pasquazi, Il canto XVI dell'"Inferno", Le Monnier, Firenze 1961 (poi in: Lectura Dantis scaligera. Inferno, Le Monnier, Firenze 1961, pp. 513-562 e Le Monnier, Firenze 1967 e 1971, pp. 515-549, e ancora come "Il canto dei tre fiorentini", in: All'eterno del tempo, Le Monnier, Firenze 1972, specie pp. 155-169). 
"Dante mostra qui di aver identificato l'essenza del peccato di sodomia in un rifiuto da parte dell'io rispetto ad un tu - che per essere io e tu devono essere diversi e complementari - e in una conseguente chiusura e pretesa autosufficienza dell'io - che rimane io senza tu, anche se inaugura rapporti contro natura con altri da cui non è differenziato e di cui non è complementare. (...) Vi è rifiuto della relazione (gli psicanalisti direbbero il complesso di Narciso). (...)  
Soltanto avendo chiaro ciò, è possibile capire la questione del come Dante non abbia esitato a colpire così atrocemente la figura e la fama di colui che chiama pressappoco caro e buon padre" (p. 518 dell'edizione 1967). 
Sì certo, chiaro: "S'io m'intuassi, come tu t'immii"... 

[18] Giuseppe Aprile, Dante, inferni dentro e fuori, Il vespro, Palermo 1977. 

A giudicare dal titolo il tema dovrebbe essere ripreso anche in: Antonio Balsamo, Dante,  fedele amante e sodomita pentito: parlar d'amore per dire altro, Palomar, Bari s.d. [1998?], che non ho ancora potuto leggere. 

[19]-Enciclopedia dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1976, vol. 5, pp. 285-287. 
Prima d'allora erano già arrivati vicini alla conclusione corretta Ludwig Blanc, Saggio di una interpretazione filologica di parecchi passi oscuri e controversi della Divina Commedia, Coen, Trieste 1865, pp. 144-147 ("cotesto vizio abominevole par fosse a' que' tempi sì d'uso, che anco i migliori non ne sentivano più tutto il ribrezzo"), e Adolfo Bartoli, Storia della letteratura italiana, Sansoni, Firenze 1887, vol. VI, parte 2, pp. 55-71. 

[20] Fernando Salsano, Il canto XV dell'Inferno (Lectura Dantis romana), Società editrice internazionale, Torino 1967. Poi come: "Carità e giustizia. Brunetto Latini e i tre fiorentini", in: La coda di Minosse e altri studi danteschi, Marzorati, Milano 1968, pp. 21-52. Citazione dalle pp. 19-20. 

[21] Sul tema si veda anche: Giovanni Dall'Orto, L'omosessualità nella poesia volgare italiana fino al tempo di Dante, "Sodoma" n. 3, Primavera Estate 1986, pp. 13-35. 

[22] A dire il vero qualche aneddoto minore lo tramandano pure i commentatori danteschi, ma costoro vengono liquidati come "inaffidabili": hanno copiato la notizia da Dante stesso, signorina maestra!



Inedito, 18/9/2002. Una prima stesura di questo scritto è però apparsa come Peccati politici e peccati capitali, "Lotta continua", 24 aprile 1982, p. 19, poi riadattato in traduzione inglese sulla Encyclopedia of homosexuality (a cura di Wayne R. Dynes), Garland, New York 1990, 2 voll., ad vocem.
Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.
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