Home page Giovanni Dall'Orto > Saggi di storia gayBiografie di personaggi gay > Testi originali > Sec. XIII > Nicola Muscia

Nicola Muscia da Siena (sec. XIII-dopo il 1290)

Iacopo e Lorenzo Salimbeni (secc. XIV-XV) - Due giovani - Storie del Battista, S. Severino Marche
Iacopo e Lorenzo Salimbeni (secc. XIV-XV), Due giovani. (Storie del Battista, S. Severino Marche). 

Due sonetti d'amore per Lano [circa 1285-1288] [1] 

Dugento scodelline di diamanti 
di bella quadra Lan vorre' ch'avesse, 
e dodici usignuo', ch'ognuno stesse 
davant'a lui faccendo dolzi canti,
Duecento scodelline di diamanti, 
di bella qualità, vorrei avesse Lano[2], 
e dodici usignoli, che stessero tutti 
davanti a lui cantando dolcemente,
e cento milia some di bisanti, 
e tutte quelle donne ch'e' volesse, 
e sì vorre' ch'a schacch'ogn'uom vincesse, 
dandoli rocchi e cavalier innanti.
e centomila carichi di monete d'oro, 
e tutte le donne che volesse, 
e che a scacchi vincesse sempre, 
colpendo senza essere colpito [3].
E sì vorre' la ritropia 'n balìa 
avesse quelli, a cui tant'ho donato 
in parore, ch'in fatti non porìa.
E poi vorrei che la pietra d'elitropia 
l'avesse lui, a cui a parole ho donato  
tanto, quanto nei fatti non potrei.
Ché del senno, che 'n lui aggio trovato 
con la bellezza, ben se li avveria; 
e tanto più, quanto li fosse 'n grato.
Perché il senno che ho trovato in lui 
bene si accorderebbe con la bellezza; 
e tanto più, quanto più io gli fossi gradito.


Giùgiale di quaresima a l'uscita, 
e sùcina fra l'entrar di febbraio, 
e mandorle novelle di gennaio 
mandar vorre' io a Lan ch'è gioi' compita;
Giùggiole alla fine della quaresima, 
e susine all'inizio di febbraio, 
e mandorle novelle a gennaio [4] 
vorrei mandare a Lano, ch'è perfetta gioia;
ch'i' l'amo più che nessun uom la vita, 
ed e' mi tien per suo e sono e paio: 
ed e' se ne potrebbe avveder naio; 
e a lui vado, com'a la calamita
che io amo più che ciascuno la vita, 
e lui mi considera suo, e lo sono e appaio: 
se ne potrebbe accorgere un cieco! 
Sono attratto da lui come da calamita [5]
va lo ferro, che è naturaltade: 
Amor comanda, e così vòl che sia, 
ched i' faccia per la sua gran beltade,
è attratto il ferro, che è cosa naturale: 
Amore comanda, e così vuol che sia,  
che io faccia per la sua gran bellezza,
ch'è tanta che contar non si poria; 
ma non dico così de la bontade 
né del senno, per ciò ch'i' mentiria.
che è tanta che non si potrebbe esprimere; 
mentre non posso dire lo stesso della bontà 
né del senno, se no mentirei.
 .
Cimabue, Il bacio di Giuda, 1280 circa. Dettaglio rielaborato 
Cimabue, Il bacio di Giuda, 1280 circa. Dettaglio rielaborato. 

Quattro sonetti omoerotici attribuiti [sec. XIII] [6]

"Udite udite, dico a voi, signori, 
e fate motto, voi che siete amanti: 
avreste voi veduto, tra cotanti, 
cotal c'ha 'l volto di tre be' colori?
"Udite, udite, dico a voi, signori [7], 
e rispondete, voi, che amate: 
avreste mai veduto, fra tutti, 
un simile volto di tre bei colori? [8].
Di ros'e bianch'e vermigli' è di fuori; 
or lo mi dite, ch'i' vi son davanti, 
sed elli inver di me fé tai sembianti, 
ched i' potessi aver que' suo colori".
Rosato, bianco e rosso è il suo viso. 
Ma ditemi ora, che vi son davanti, 
se con me si comportò così da farmi  
sperare di godere mai di quei suoi colori".
"Noi non crediam che li potessi avere, 
però ched e' non fece ta' sembianti, 
che fosse ver' di te umiliato".
"Noi non crediamo che tu li possa avere, 
perché non s'è mai comportato in modo 
da mostrare soggezione amorosa verso te".
"Sed e' nol fece, i' mi pongo a giacere 
e comincio a far ta' sospiri e pianti, 
che 'n quattro di' cred'esser sotterrato".
"Se non l'ha fatto, mi metto a letto 
e comincio a fare tali sospiri e pianti 
che in quattro giorni penso sarò sepolto".


"I' so' non fermo in su questa oppenione 
di non amar, a le sante guagnele, 
uomo che sia inver di me crudele, 
non abbiendo egli alcuna cagione;
Io ho maturato questa decisione 
di non amare, per i santi Vangeli!, 
uomo che sia crudele con me, 
senza averne alcun motivo;
ma questo dico, sanza riprensione, 
di non servirti, né sarò fedele, 
poi che di dolce mi vòi render fele: 
failti tu, ma non ne hai ragione.
ma questo dico, senza biasimo: 
non ti servirò, né ti sarò fedele, 
poiché vuoi rendermi amaro per dolce: 
sei tu a causarlo, e non ne hai ragione.
Da ch'i' conosco la tua sconoscenza, 
che ricredente tu contra me fai, 
vogli'arrestare di te mai servire.
Da quando conosco la tua ingratitudine, 
che tu, spregevole, rivolgi contro me, 
voglio smetterla di servirti.
Per la qual cosa i' crederei 'nsanire, 
se tu non n'avessi gran<de> penitenza, 
con essa avendo grandissimi guai.
Perciò mi sembrerà d'impazzire finché 
tu non ne avrai gran pentimento, 
che ti causi grandissimi lamenti.
.
Giotto, santo Stefano, 1320 circa (rielaborato) 
Giotto, Santo Stefano, 1320 circa (rielaborato). 


Un Corzo di Corzan m'ha sì trafitto, 
che non mi val cecèrbita pigliare, 
né dolci medicine né amare, 
né otrïaca che vegna d'Egitto.
Un Corso di Corsano m'ha tanto trafitto 
che non mi serve prendere cicérbita 
né medicine dolci o amare 
triaca importata dall'Egitto. 
E ciò che Galien ci lasciò scritto 
aggio provato per voler campare: 
tutto m'è gocciol<'una> d'acqua in mare, 
tanto m'ha 'l su' velen nel mie cor fitto.
E i rimedi tramandati da Galeno 
li ho provati per sopravvivere, 
ma è tutto come goccia d'acqua nel mare: 
tanto lui m'ha avvelenato il cuore.
Là 'nd'i' son quasi al tutto disperato, 
<da>poi ched e' non mi val null'argomento; 
a questo porto Amor m'ha arrivato;
Per ciò sono quasi del tutto disperato 
poiché non mi giova alcun rimedio: 
a questo porto Amore m'ha sbarcato! 
ché son quell'uom, che più vivo sgomento, 
che si' nel mondo o che mai fosse nato: 
chi me n'ha colpa di terra sia spento.
E sono l'uomo che vive angosciato più 
di chiunque sia al mondo, o sia mai nato: 
possa morire chi ne ha la colpa!


In tale che d'amor vi passi 'l core, 
abbattervi possiate voi, ser Corso, 
e sì vi pregi vie men ch'un vil torso 
e come tòsco li siate in amore;
In qualcuno, che vi trafigga il cuore, possiate imbattervi voi, ser Corso [9], 
e vi sprezzi come un vile torsolo 
e in amore gli sembriate veleno;
e facciavi muggiare a tutte l'ore 
del giorno, come mugghia bue od orso, 
e, come l'ebbro bee a sorso a sorso 
il vin, vi facci ber foco e martore.
e vi faccia muggire ad ogni ora 
del giorno, come muggisce bue od orso, 
e, come l'ubriaco beve a sorso a sorso 
il vino, vi faccia bere fuoco e tormento.
E se non fosse ch'i' non son lasciato, 
sì mal direi, e vie più fieramente, 
al vostro gaio compagno e avvenente
E se non fosse che non ci riesco [10], 
direi altrettanto male, e più aspramente, 
al vostro compagno allegro ed avvenente,
che di bellezze avanza ogni uom nato; 
ma sì mi stringe l'amor infiammato, 
che verso lui ho sparto per la mente.
la cui bellezza supera quella di chiunque; 
ma mi stringe <ancora> l'amore infiammato 
che per lui ho sparso nella mente.

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti. 
Note 

[1] Il testo è stato ricopiato da: Mario Marti (cur.), Poeti giocosi del tempo di Dante, Rizzoli, Milano 1959, pp. 292-293. 
La parafrasi in italiano moderno è mia. 

(Su Muscia si veda: Anna Bruni Bettarini, Le rime di Meo dei Tolomei e di Muscia da Siena, "Studi di filologia italiana",  XXXII 1974, pp. 31-98, e Antonio Lanza (cur.) Cecco Angiolieri, Le rime, Izzi, Roma 1990, pp. 257-268). 

Dei sei sonetti d'amore omosessuale di Nicola Muscia da Siena che qui presento, solo il primo ci è giunto con l'esplicita attribuzione a lui (di cui, a parte quanto è detto nei sonetti, nulla sappiamo). 

I sei sonetti sono un piccolo canzoniere d'amore d'un uomo del Duecento che canta un altro uomo. Sono quindi un documento raro e prezioso, anche se la stilizzazione delle poesie le rende poco diverse da quelle, contemporanee, di tema eterosessuale.  

Musa da Siena è, fra i poeti omoerotici del Duecento, quello la cui "omosessualità" (come la chiameremmo oggi) è più probabile: com'è evidente, Muscia oltrepassa i confini dell'espressione amicale per entrare in quella amorosa 
Inoltre è probabilmente il Muscia citato come sodomita nella composizione: "Le favole, compar", di Iacomo (o Granfione) de' Tolomei (seconda metà sec. XIII - prima del 1290), che paragona ai personaggi delle favole alcuni senesi dell'epoca; fra essi un "ser Lici" orco, che "divora i ragazzi", e un Muscia "strega, ch'è fatto, d'om, gatta, / e va di notte e poppa le persone" (capace di trasformarsi in gatta, per girare di notte e succhiarlo agli uomini - muscia in senese stava per micia). 

Si noti la deliberata falsificazione di una apgina web (ormai offline) che affermava: "Il diamante è il dono d’amore per eccellenza dell’uomo alla donna, come scrive il poeta Muscia da Siena (XIII secolo), il quale, in un impeto di generosità sentimentale, desidera recare alla amata sua: “dugento scodelline di diamanti, di bella quadra”.  
Questo è il modo in cui la presenza omosessuale nella storia viene semplicemente cancellata, sistematicamente, anche su dettagli innocui e irrilevanti. 

[2].È stato proposto d'identificare questo Lano con il Lano da Siena che Dante cita in Inferno XIII, 120: "da identificarsi con Arcolano di Squarcia Maconi, di dantesca memoria, che morì il 26 giugno 1288 (...), già membro della brigata spendereccia senese" (così Lanza, Op. cit., p. 259). 

[3] Riuscendo nella mossa "torre in faccia al cavallo", che permette di colpire senza essere colpito. 

[4] Si tratta ovviamente di "primizie" impossibili in Natura. 

[5] Si noti come Muscia descriva  orgogliosamente la sua attrazione come frutto di "naturaltade", quanto quella tra calamita e ferro. Nelle sue poesie, insomma, mi pare di individuare anche un elemento di autogiustificazione, nonché una rivendicazione. 

[6] Da: Cecco Angiolieri, Rime, a cura di Antonio Lanza, Archivio Izzi, Roma 1990. 

Nicola Muscia è un poeta le cui poesie hanno avuto, fino a pochi anni fa, l'onore d'essere confuse con quelle di Cecco Angiolieri. 
I quattro sonetti giocosi qui presentati, già attribuiti all'Angiolieri, poi ad anonimi, sono stati ultimamente dati a Muscia (ma non in modo unanime). Lanza è tra coloro che si dicono certi della paternità di Muscia. 

[7] Il poeta finge un "botta e risposta" con gli astanti.  

[8] I "tre colori" del volto sono ricorrenti nella poesia stilnovista. 

[9] Questo sonetto e il seguente riguardano un certo ser Corso: il primo farebbe pensare che Corso sia amato dal poeta, ma il secondo capovolge la situazione: Corso è il rivale che cerca di portare via un "compagno gaio e avvenente" amato dal poeta. Sono quindi due sonetti di gelosia, non d'amore, cosa che spiega l'uso dei moduli del "vituperium" del secondo. 

[10].Mario Marti, Op. cit., p. 243, spiega così: "Che io non sono stato abbandonato dal compagno", ma mi pare psicologicamente poco plausibile.

Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.
[Torna all'indice dei testi originari] [Vai alla pagina di biografie di gay nella storia]
[Vai all'indice dei saggi di storia gay]