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Pietro Verri (1728-1797)
 
Pietro Verri
Pietro Verri.

Da: Storia di Milano  [1783[1].

Cercavano questi incerti capitani e difensori l'opinione favorevole del popolo con mezzi rovinosi, e vi rimediavano poi con ingiusti e odiosi ripieghi.

Alcune delle leggi che proclamarono, poiché danno una precisa idea dello spirito di quel governo e della condizione di que' tempi, non sarà discaro al lettore ch'io qui trascriva.

Nei primi momenti della inferma Repubblica, incerti della loro autorità, privi di legale sanzione, in una città divisa in partiti, attorniata da città che non eranle amiche, coll'armata veneta che invadeva le sue terre, coi Savoiardi e Francesi, che minacciavano d'occuparlene dalla parte opposta, costretta a confidarsi al pericoloso partito di collocare nelle mani del conte <Francesco> Sforza il poter militare in così importante e seria situazione, pubblicarono un ordine il 18 ottobre 1447, rinnovando irremissibilmente la pena del fuoco ai pederasti [2].

Gli uomini nei più pressanti disastri cercano l'aiuto della Divinità colla maggiore istanza, e a tal uopo credonsi di ottenerlo persino col sacrificio d'umane vittime

I Greci cercavano i venti col sangue d'Ifigenia; i Romani placavano il cielo seppellendo uomini vivi; i nostri, bruciando i peccatori.

Le pazzie e le atrocità di un secolo si assomigliano alle pazzie e atrocità d'un altro, a meno che la coltura e la ragione, diffondendosi largamente, non indeboliscano i germi del fanatismo inerente all'uomo; e questa coltura, questa filosofia, contro la quale ancora v'è chi declama, formano appunto l'unica superiorità de' tempi presenti.

Oggidì un popolo che aspiri a diventar libero e combatta per sottrarsi dall'imminente giogo, non pubblicherà certo una legge per proibire ai barbieri di far la barba ne' giorni festivi. Ha ben altro che fare chi si trova al timone della Repubblica fra la tempesta, che vegliare su di questi meschini e indifferenti oggetti; eppure allora si proclamò un bando cosiffatto.

Francesco Sforza
Francesco Sforza, il condottiero nominato dal Verri.

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[Nota n. 8 dell'ed. originale, nota 655 dell'ed. del "Progetto Manuzio"].

I capitani e difensori della libertà dell'illustre ed eccelsa comunità di Milano.

Diletto nostro.

Affine di consolidare, aumentare, condecorare questo desiderabile stato della libertà che abbiamo ricevuta, reputiamo non tanto convenevole, quanto necessario, il coltivare il decoro delle virtù, l'abbominare le brutture dei vizi; perciocché in questo modo e grati ci mostreremo a Dio del ricevuto donativo, e dalla di lui onnipotenza sperare potremo più liberale accumulamento di grazie.

Riflettendo noi adunque quanto sporco e detestabile, quanto orrendo sia il delitto da non nominarsi della sodomìa, e reputando che la impunità genera un incentivo, e i già infetti di quel vizio suole rendere peggiori, deliberammo e confermammo di nostro avviso con durevole decreto, di non volere più in alcun modo tollerare questo esecrabile e rovinoso eccesso.

Sebbene adunque sembri che a ritrarre da questo sceleratissimo delitto coloro che macchiati ne sono, ed a fare che più in avvenire non cadano in simile delitto, bastare dovrebbe la pena del fuoco stabilita dalle leggi santissime e dagli statuti di questa città, che come cosa divulgatissima ignorare certamente non debbono; tuttavia, affinché la loro infame turpitudine si renda totalmente inescusabile, vogliamo, e a te espressamente comandiamo, che, alla ricevuta delle presenti lettere, patentemente e pubblicamente colla voce del banditore tu faccia divulgare per i luoghi consueti di questa città: che quind'innanzi qualunque persona, di qualunque stato e condizione essa sia, o del territorio, o forestiera, o stipendiata, o godente alcuna provvigione, ed in generale chiunque sia, si guardi e si astenga totalmente da quel delitto, né ardisca commetterlo in qualunque modo, sapendo e tenendo per certo che se si scoprirà che in quel delitto sia caduto, irremissibilmente sarà punito colla pena del fuoco, a tutto rigore di legge.

E tu poscia dovrai adoperare ogni studio e diligenza e cura ad investigare e ricercare questi scelerati, e dovrai procedere contra qualunque tu scoprissi in avvenire avere commesso questo delitto: punendolo a tenore di diritto e col mezzo della giustizia.
Nella qual cosa quanto maggiormente sarai vigilante ed accurato, tanto più avrai servito al dovere ed all'onore, e meglio avrai secondato la nostra intenzione.

Ed affinché gl'inclinati al male da questi delitti si astengano, vogliamo che agli accusatori o denunziatori di quegli stessi delitti, però con di buoni indizi, si accordi un premio per ciascuna volta, e si tengano segreti, il quale premio sarà di dieci ducati d'oro da levarsi su le facoltà del delinquente, la quale prestazione vogliamo che debba farsi da te e da' tuoi successori, rimossa qualunque eccezione e contraddizione.

Scriviamo pure intorno a questo al signor Bartolommeo Caccia, capitano di giustizia di questa città, col quale vogliamo che tu proceda d'intelligenza nel fare eseguire le predette proclamazioni. - Milano, il giorno XVIII di ottobre, MCCCCXLVII. 

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.
Note

[1] Il testo da: Pietro Verri, Storia di Milano, Sansoni, Firenze 1963, cap. 16, nota 8.
Il testo è online dal Progetto Manuzio (in formato .zip), con il testo (latino e italiano) del decreto alla nota 655.

Il brano che qui pubblico è un commento al proclama antisodomiti promulgato dalla Repubblica di Milano nel 1447.

Verri lo giudica un atto di superstizione barbarica, e ne individua correttamente la valenza di "sacrificio umano rituale" alla divintà per ingraziarsela.

[2] A questo punto Verri citava in nota sia il testo latino sia una sua traduzione italiana del decreto.
Ho ripubblicato qui sotto solo la traduzione del Verri; il testo latino l'ho invece pubblicato qui, assieme a una mia traduzione italiana moderna.
 


Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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