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"La Stampa" (1905)

Moneta da due lire del 1905 (dettaglio)
Moneta da due lire del 1905.
 
Un mistero in tema di false monete  [1905] [1].
(Corte d'Assise di Torino). 

(...) Il giorno dieci giugno del corrente anno, un individuo elegantemente vestito presentavasi nella bottega di certa Mino Carolina, moglie Rey [2], in via Beinasco n. 9, per fare acquisto di caramelle, che pagò con una moneta di due lire, ritirando il resto. Si accorse subito la Mino che la moneta era falsa, ma prima che avesse potuto lagnarsene, lo sconosciuto aveva oltrepassata la soglia. 

Lo seguì la Mino senza farsi scorgere, o vide che a lui si univa un altro giovanotto elegante. Giunti in via Borgo Dora, l'individuo delle caramelle, lasciato fuori il compagno, entrava in un altro negozio. Indicati alle guardie, tanto l'uno quanto l'altro furono tradotti alla Questura, dove si ostinavano a non deferire le proprie generalità. 

Perquisiti, nelle loro tasche furono rinvenute altre monete false da lire due, ed i funzionari, malgrado le copiose lagrime di uno di essi, si convinsero di essere in presenza di falsi monetari [3], o quantomeno di audaci spacciatori di falsa moneta. Avuta, da una lettera trovata in tasca d'uno di essi, la conoscenza dell'abitazione di via Caluso, fu ivi operata una perquisizione, che portò alla scoperta di una vera e completa officina di falsa moneta, coi relativi stampi, metalli, acidi, polveri, bagni di galvanoplastica, e vi erano altresì monete non ancora finite, non sbavate, non argentate. 

Di fronte a questa scoperta, uno degli arrestati fece le più ampie confessioni e disse: «Mi chiamo Rocchi Achille ed il mio compagno ha nome D'Ettorre Quirino. Ambidue siamo romani e fummo nel plotone allievi sergenti nell'artiglieria da fortezza. Congedati, dopo varie peregrinazioni a Napoli e a Milano, arrivammo a Torino in aprile. Io, Rocchi, solo però fabbricai le monete ad insaputa del D'Ettorre, il quale solo due giorni fa seppe la triste cosa, o se meco fu trovato è perché esso mi seguiva appunto perché io, che Io amo, per non comprometterlo desistetti dalla mala azione; a tale scopo appunto si mise in tasca le false monete rinvenutegli». 

E mentre ciò il Rocchi diceva, l'altro stemperavasi in un mare di lagrime! Interrogato esso pure — dice la Questura — fece piena confessione anche il D'Ettorre. D'altra parte sta il fatto che l'arsenale per la falsa moneta era nella camera ove pure dormiva il D'Ettorre, che non ha potuto non vedere ed ignorare quanto là dentro avveniva. Davanti al giudice istruttore ripeté lo stessa cosa il Rocchi: continuò ad accusare solo se stesso, ed alla famiglia del D'Ettorre scrisse giurando la innocenza dell'amico, il quale invece si chiuse in un mutismo assoluto, mutismo che tutto lascia supporre. È egli colpevole? È di buona famiglia ed egli stesso fu molto tempo onorato assistente di farmacia. 

Avvenne nelle carceri giudiziarie uno straziante episodio. Il settimo giorno della sua prigionia il Rocchi fu trovato in carcere colle vene del braccio segate in più punti, ed abbondante, come accertò il certificato medico, ne ora defluito il sangue; ciò aveva il Rocchi potuto fare coi cocci di un vetro che aveva rotto alla finestra della cella. Colle vene tagliate, col sangue suo il Rocchi decifrò sulla tabella delle orazioni una dichiarazione ancora, scrisse e ripeté: «Giuro in punto di morte che il D'Ettorre è innocente, lo giuro mentre tengo chiusa la vena che mi sono tagliato e che riaprirò per morire dopo scritta questa pagina dolorosa di verità per scongiurare la condanna di un innocente!» 

A stento fu salvato il Rocchi all'infermeria. Il giudice istruttore, impressionato, per scrupolo di giustizia comminò al prof. Lombroso  una perizia sulle facoltà mentali dei due accusati. E la perizia venne ed aumentò il mistero. E Lombroso notò anzitutto che il D'Ettorre, bruno di capelli, questi si era tinti in rosso rame con acqua ossigenata; ciò, disse il D'Ettorre, fu eseguito per fare uno scherzo alla padrona di casa, mentre il Lombroso, conscio che ciò avviene specialmente fra pederasti e donnaiuoli, lanciò l'ipotesi terribile che fra i due accusati potessero correre relazioni contro natura e che quindi null'altro che un malsano affetto facesse sì che il Rocchi negasse la correità del ganzo per salvarlo. 

Accanitamente gli accusati si ribellarono a questa ipotesi, ed il D'Ettorre grida la fiducia nella sua innocenza.  
Questo è il mistero sul quale dovranno pronunziarsi i giurati nelle udienze del 12 e 13 corrente. 

Recto e verso di moneta da due lire in argento, 1905.
   

Falsi monetari [4]
(Corte d'Assise di Torino - 12 dicembre).
Già lungamente e diffusamente abbiamo parlato di questo processo, in cui aleggia una specie di mistero. Due giovani romani, amici intimi, furono sorpresi a spendere monete false francesi. Essi furono qualificati per Achille Rocchi e Quirino D'Ettorre. Entrambi da prima confessarono di battere moneta falsa; ma poi, mentre il primo mantenne la sua confessione, il secondo, spalleggiato dal Rocchi, incominciò a dire che era completamente allo scuro d'ogni cosa, mentre si stemperava in un mare di lagrime.  

L'accusa credettte di trovare nell'abnegazione del Rocchi ad adossarsi tutta la responsabilità, il sospetto di rapporti ignobili tra i due. Il Rocchi è di buona famiglia romana; fu sergente d'artiglieria; è piuttosto loquace, di facile gestire; biondo, alto o snello. Bruno, con piccoli baffi e sguardo quasi pudico è il D'Ettorre, il quale è piuttosto silenzioso e parla con voce che ha lieve timbro argentino [5]. 

All'udienza hanno continuato nel contegno strano: il Rocchi, poi, che in istruttoria si sarebbe dichiarato pregiudicato, ora apparirebbe invece mondo da colpe. Tolta questa leggera ombra di mistero, la causa appare volgare e di nessun interesse.  
Il perito prof. Ostorero disse che nessun dato può precisare l'esistenza degli ignobili rapporti tra i due imputati. Entrambi presentano però dei sintomi di degenerazione per i quali la loro responsabilità può esser leggermente diminuita. Calorose furono le arringhe.  

Il processo terminerà domani sera.  

Presidente: Dusio; giudici: Cantavola (?) e Della Chiesa; P.M.: avv. Forni; <difes>a: avvocati D. Colombo e Roccarino; cancelliere: Buzzi; uff. giud.: Riccio. 


Falsi monetari[6]. 
(Corte d'Assise di Torino). 
Verdetto e sentenza.
I giurati ritennero l'Adolfo Rocchi colpevole di contraffazione e spendita di monete false, ritenendolo però di non facile riconoscimento. Lo ritennero ancora colpevole di contravvenzioni per rifiuto di dare le proprie generalità. Gli concessero il beneficio del reato continuato e delle attenuanti. Fu condannato complessivamente (pel cumulo con precedente condanna) ad anni sei e mesi tre di reclusione ed alla vigilanza per anni due. 

Ritennero invece i giurati il Quirino D'Ettorre complice nella spendita, senza previo concerto. Esclusero il reato continuato: ammisero il rifiuto di dare le proprie generalità ed accordarono le attenuanti. La Corte lo condannò ad un anno e mesi otto di reclusione, alla multa di L. 168, all'ammenda di L. 25 ed alla vigilanza per anni due.  

Presidente: Dusio; P. M.: Forni; Difesa: avvocati Colombo e Roccarino; cancelliere: Buzzi; usciere giudiziario: Riccio. 
 

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.
Note 

[1] Il testo da: Anonimo, Un mistero in caso di false monete, "La Stampa", 04.12.1905, n. 336, p. 5. Dal sito storico della "Stampa". 

La vicenda, raccontata con molta circospezione dal giornalista, descrive una coppia omosessuale che per vivere assieme, in un contesto in cui non c'era posto per relazioni come quella, s'era adattata a campare d'espedienti illegali, che finirono per portarla alla rovina.  
Per certi versi ricorda la relazione fra Verlaine e Rimbaud, anch'essa vissuta per forza di cose "ai margini" della società, e al tempo stesso una delle coppie di amanti criminali presentate nei romanzi di Jean Genet. 
I fatti qui raccontati si svolsero a Torino. 

Come rivelano  i due articoletti che pubblico di seguito, la vicenda si concluse con una condanna a sei anni e tre mesi per Becchi (che aveva già una precedente condanna) e a un anno e otto mesi per D'Ettorre. 

Non è escluso che il Museo Lombroso di Torino conservi dati sul loro conto, magari la perizia stessa del Lombroso. 

[2] Oggi diremmo: "coniugata in Rey". 

[3] Falsari.  

[4] Anonimo, Falsi monetari, ''La stampa'', 14.12.1905, p. 2. 

[5] In questa descrizione, apparentemente innocua ma in realtà capolavoro di perfidia, s'intende dare conto di chi fosse il più maschile, e "quindi" l'attivo, e chi il "passivo". 

[6] Anonimo, Falsi monetari, ''La stampa'', 15.12.1905, p. 3. 
 
 


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