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Giovanbattista Marino (1569-1625)

Giovanbattista Marino
Giovanbattista Marino
Dalle: Rime amorose [da: La lira, 1602 e 1608].[1]

  
39. Loda un picciolo figliuolo d'un prencipe, chiamato Ascanio

Questi, ch'ha in sé d'ogni bellezza il fiore, 
cui Giacinto et Adon cede e Narciso, 
cela (chi 'l crederia?) sotto il bel viso, 
novello ASCANIO, insidioso Amore.

O di quai piaghe, o di che dolce ardore, 
or d'un bel guardo armato, or d'un bel riso, 
perché resti altri acceso, et altri ucciso, 
lusingando la vista, offende il core.

Mansueto guerriero, ha gli occhi e 'l ciglio 
per faci et arco, e quindi or fiamma, 
or strale porta a l'anime altrui mortal periglio.

E ben agli anni, agli atti, al volto eguale, 
Venere stessa il crederia suo figlio
se fusse ignudo, e 'l vel portasse, e l'ale.


È da sapersi che questo sonetto, et anche altri nove che gli vengono appresso, furono composti ad instanza et in persona d'una cortigiana, la quale si era fortemente invaghita di un giovane: i cinque primi in occasione che il suo vago si avea cinta la spada per ire alla guerra; negli altri cinque loda la lanugine che incominciava a spuntargli in su 'l mento. Et in tutti s'introduce a parlar sempre la femina.

40. Tu pur, ben mio, fra l'armi e per gli ondosi 

Tu pur, ben mio, fra l'armi e per gli ondosi
campi n'andrai de l'Ocean vorace?
E più per l'onde infide errar ti piace
che goder nel mio seno i tuoi riposi?

Pria vorrai dunque in guerra i venenosi
strali sentir del sagittario trace
che provar come ben sappiano in pace
ferir bocca soave, occhi amorosi?

E pria di foco ai gravidi tormenti
malcauto espor ti giova il cor di ghiaccio
ch'a le dolci d'Amor fiamme cocenti?

misera, e pria cercar catena o laccio
e morte là fra dispietate genti
che trar la vita a chi t'adora in braccio?


41. Sovra il tenero fianco il duro peso

A compiacimento della medesima

Sovra il tenero fianco il duro peso
sostener de la spada empia e mortale,
garzon pronto al tuo danno, a l'altrui male,
ond'hai superbo e rigidetto appreso?

E chi t'insegna a l'ire, al sangue inteso,
folle, altr'armi trattar che l'aureo strale
onde in un chi t'adora e chi t'assale
sia di due piaghe in un sol punto offeso?

O di Marte e d'Amor vago guerrero,
né men che vago e bello, ardito e forte, 
né men che forte, oimè, crudele e fero:

ah non bastava per mia dura sorte
negli occhi averla e nel bel viso altero,
se non portavi in mano anco la morte.
 

A cosa pensa questo soldato del dipinto Il corpo di guardia di Bernardo Manfredi (dettaglio), guardando il suo collega poco più che adolescente?


42. Qual ti vegg'io di fin acciar lucente 

Per la cortigiana

Qual ti vegg'io di fin acciar lucente
stranio arnese dintorno? o tanto stolto
mio Ligurin, quant'orgoglioso, e molto
di forza men che di beltà possente.

Ah, pon giù l'armi, e 'l ferro aspro e pungente
sia dal bel fianco omai discinto e sciolto:
disarma d'ira il cor, d'asprezza il volto,
semplicetto omicida et innocente.

Sol quell'armi adoprar t'insegni Amore
contro cui nulla val difesa o scudo,
che non erran mai colpo in mezo al core.

Che (se nol sai), fanciul superbo e crudo,
fanno piaga i tuoi sguardi assai maggiore,
et assai più ch'armato offendi ignudo.


43. Son del bel volto tuo l'ire e i furori 

Per la cortigiana

Son del bel volto tuo l'ire e i furori
grazie e vezzi amorosi; e quando sfidi,
giovinetto feroce, e quando ancidi
più d'amor che di sdegno infiammi i cori.

Teneri orgogli e placidi rigori
spirano i lusinghieri occhi omicidi;
e se cruccioso fremi o lieto ridi,
crudo egualmente e pio l'alme innamori.

Così del mondo trionfando vai
barbaro mansueto; e 'n atti audaci
altrui morte minacci, e vita dai.

Ma se le guerre alfin seguon le paci,
ferito esser da te fia dolce assai,
pur che le piaghe poi saldino i baci.


44. Piaghe non men ch'al cor minaccia al petto

Per la cortigiana

Piaghe non men ch'al cor minaccia al petto
di chi non trema a' suoi begli occhi avante
umilmente superbo, in fier sembiante
l'empio ch'ho di me stessa idolo eletto.

E qual si vide già con torvo aspetto
spada vibrar sanguigna e fulminante
celeste difensor di quelle piante,
ond'uom tragger solea vita e diletto,

tal con ferro da me rigido e rio
l'angel terrestre ogni più chiusa parte
del paradiso suo guardar vegg'io.

Insidioso Amor, questa è nov'arte,
lasciar l'arco e gli strali, e 'n danno mio
prender, per più ferir, l'armi di Marte.


45. Può ben su 'l vago e dilettoso maggio

Per la cortigiana

Può ben su 'l vago e dilettoso maggio, 
onde i suoi prati Amor fregia et infiora,
da le rose spuntar di spinefora
non pungenti e non dure orto selvaggio,

ma non giamai però noia et oltraggio
al bel viso recar, che sembra Aurora
qualor le belle sue porpore indora
del sol nascente il giovinetto raggio.

Ferro mai non vi tocchi, anzi crescete
malgrado pur di chi vi biasma e sprezza,
ben nate piume, aventurose sete:

che quel che toglie altrui grazia e vaghezza, 
quel che voi d'imperfetto d'altrove avete.
nel bell'idolo mio tutto è bellezza.

Giovane soldato. Disegno seicentesco.
"Giovane soldato". Disegno seicentesco.


46. Nova pompa al bel volto, in su l'aprile 

Alla richiesta della mentovata cortigiana

Nova pompa al bel volto, in su l'aprile
degli anni suoi l'angel mio caro accoglie
d'oro, cui presso il ricco vello è vile, 
lucide lane e preziose spoglie.

Così l'ostro adornar d'oro gentile
rosa suol, che ridente apra le foglie;
e così nebbia il sol vaga e sottile
vela talor, ma 'l suo splendor non toglie.

A queste molli fila il pregio e 'l nome
ch'ogni fort'alma han di legar valore,
cedete, o bionde innanellate chiome.

Di queste piume a l'ali aurate Amore
i vanni impenna. In queste piume o come
dolci trarrebbe i suoi riposi il core.


47. Già da l'età, ch'ogni bellezza doma 

In nome d'una cortigiana innamorata d'un giovane oramai adulto

Già da l'età, ch'ogni bellezza doma,
sparsa nel volto del bel sol, ch'adoro,
serpe in crespi anelletti un'ombra d'oro
emula illustre a la dorata chioma.

Non sì ricco però de l'auree poma
splender fra' rami il lucido tesoro
vide il drago d'Esperia o 'l vecchio Moro,
che 'l tergo incurva a la stellata soma,

come nube vegg'io dolce importuna,
che le sue vive angeliche fiammelle
copre, ma non ammorza, e non imbruna.

Ben puoi men vergognosa ir fra le stelle,
Cinzia-[2], or che 'l Tempo intempestive aduna
su la guancia del sol macchie sì belle.


48. Intorno al labro del mio ben che fai 

Per la suddetta cortigiana

Intorno al labro del mio ben che fai
invido (ahi troppo) e temerario pelo,
che d'aureo sì, ma ingiurioso velo
i suoi vivi rubini ombrando vai?

Se per esser baciato ivi ti stai,
baci vie più che non ha foglie in stelo, 
baci vie più che non ha stelle in cielo
da questa bocca innamorata avrai.

Ma, se trofeo del Tempo ivi tu sorgi,
perché manchi in lui l'esca, in me l'ardore, 
di tua vana follia non ben t'accorgi,

che d'or sì bel mille catene Amore
fabrica a l'alma; e quante punte sporgi,
tanti son strali, ond'ei m'impiaga il core.


49. Ha pur il Tempo, o Ligurino, alfine

Per la sopraccenata cortigiana

Ha pur il Tempo, o Ligurino, alfine
volto in deserto sol d'ombra e d'orrore
il giardin de le Grazie, e scosso il fiore
de le bellezze angeliche e divine.

Veggio l'erbose e misere ruine
del Campidoglio, ove 'l tiranno Amore
superbo trionfò di più d'un core, 
fender gli aratri et ingombrar le spine.

Ov'or sono i tuoi fasti? Ecco ti scerno
cangiato il viso, e forse il cor con esso,
fatto d'angel di luce, angel d'inferno.

Or sì credi al tuo specchio, e quivi espresso
mira l'altrui vendetta e 'l proprio scherno,
folle, e te stesso invan cerca in te stesso.

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

Note

[1] Il testo è quello messo online da IntraText, che è tratto da Rime amorose [1602 e 1608], Panini, Modena 1987.

Rime amorose è però un titolo editoriale odierno: le poesie furono in realtà edite col titolo La lira, opera che ho consultato per confronto nell'edizione Brigonci, Venezia 1667, nella quale le poesie qui pubblicate figurano alle pp. 17-22.

A parte il primo, tutti gli altri componimenti qui ripubblicati appartengono ad un ciclo, e si fingono scritti per un adolescente che parte soldato (da quest'epoca abbiamo testimonianza di soldati anche di dodici anni). 
La serie sarebbe stata scritta, secondo l'avvertenza, per... una prostituta, amante dell'adolescente.

Mi pare evidente che qui la scusa addotta per cantare la bellezza d'un ragazzo sia talmente esile da risultare inconsistente. Perfino il bacchettone Benedetto Croce, curatore d'una celebre antologia poetica del Marino, pubblicando due di queste poesie ammette che la vicenda della cortigiana è "stata sospettata (e non senza fondamento) di poca verità" (Giovanbattista Marino, Poesie varie, Laterza, Bari 1913, p. 412. I due sonetti sono a p. 290).

Quale prostituta avrebbe mai commissionato a un poeta di successo come il Marino dieci sonetti per cantare il suo ganzo che va alla guerra?
Ed anche ammesso che la commissione sia esistita, è davvero così probabile che il Marino si sarebbe vantato di tale "altolocata" committenza, dando alle stampe i sonetti?
E perché poi chiamare il giovanotto con un tipico nome d'amante omosessuale (quello del poeta latino Orazio), "Ligurino"? 
E infine, perché ripetere il topos letterario pedofilo (e tipicamente omosessuale) della barba che spuntando fa perdere il fascino all'amato, se qui è una donna a parlare?
Insomma, "chi vuol capire, capisca"...

Se poi chiediamo lumi ai documenti, le testimonianze sugli amori omosessuali del Marino sono altrettanto numerose di quelle per amori eterosessuali.
Pertanto è possibile che Marino fosse ciò che oggi noi definiamo "bisessuale". 
Al punto da essersi sentito in dovere di ostentare una "sana e robusta costituzione eterosessuale" scrivendo una violenta invettiva in versi "Contra el vitio nefando" (cioè la sodomia omosessuale).

[2] La luna.
 
 




















Soldato secentesco
Soldato secentesco. 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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