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Classicamente gay.
Cosa dice di noi la musica classica?

[Da "Babilonia"n. 46, giugno 1987, pp. 24-26]

di: Giovanni Dall'Orto
 

Roberto Gini nel 2008. 
Foto di Alessandro Guatti, da Wikipedia.
 
Decisamente pare che i nostri avi non fossero quei santini infilzati che i libri di scuola descrivono. Che si divertissero a praticare l'omosessualità, e a scriverne, è cosa ormai nota a tutti. Ma che si dilettassero pure a cantarne?


Il mio primo incontro con Barbara Strozzi, ("virtuosa cantatrice", ma anche eccellente compositrice) avvenne per caso a un concerto. Stavo discutendo con Roberto Gini, il giovane direttore d'orchestra che ci aveva restituito un Monteverdi straordinariamente limpido e ricco.
Mentre spiegava alcuni problemi storico-musicali, Gini citò una cantata composta dalla Strozzi (il "Lamento. Sul Rodano severo") come esempio quasi paradigmatico delle persistenza nel Seicento di un comporre dagli inconfondibili "profumi" monteverdiani.
"È una cantata", aggiunse, "composta per l'esecuzione capitale di Henri de Cinq Mars, il favorito di Luigi XIII".
A queste parole credetti per un istante di aver capito male. Il favorito? Sì, il favorito, l'amante: Luigi XIII era omosessuale.
All'uscita inattesa mi affrettai a instradare il discorso sul nuovo argomento, scoprendo un interlocutore per nulla imbarazzato dalla piega presa dalla discussione e molto disponibile. Da qui a proporgli un'intervista il passo è stato breve...

Cominciamo col presentare Barbara Strozzi. Chi era?
È una compositrice veneziana nata nel 1619 e morta nel 1677. Era figlia di Giulio Strozzi, uno dei grandi intellettuali veneziani dell'epoca, che la incoraggiò nei suoi studi di canto e composizione.
Era una "dilettante", ma non nel senso odierno: all'epoca era disdicevole che una persona di alta levatura sociale si servisse dell'arte per campare la vita come un qualsiasi mortale: "dilettante" era perciò colui che faceva arte per suo diletto, e non per necessità materiale. Quando si pensa che compositori come Gesualdo da Venosa furono "dilettanti", è chiaro perché all'epoca questa non fosse una qualificazione negativa.
La Strozzi pubblicò otto libri di musica vocale, fra cui quelli in cui appare, nel 1651 e 1654, "Sul Rodano severo".

Perché ritieni che questo brano sia così "speciale"?
In primo luogo perché è un pezzo stupendo, scritto in maniera magistrale: è una delle cose meno conosciute e al tempo stesso più splendide di tutto il Seicento. È strabiliante per la sua ricchezza di forme, per il modo in cui esemplifica tutta la retorica formale dell'epoca.
Poi perché è singolare, in quanto la persona che si lamenta è un uomo, mentre in nei lamenti d'amore del Seicento, ed anche del Settecento, è sempre la donna a cantare, dal Lamento d'Arianna in poi.  Ancora più singolare è che l'oggetto d'amore di chi canta il lamento sia un altro uomo.
Infine perché tratta di personaggi reali, e non mitologici: l'Enrico di cui parla il testo era Henri de Cinq Mars, l'amante di Luigi XIII di Francia. Enrico fu giustiziato a 22 anni nel 1642 per aver preso parte a una congiura contro il cardinale Richelieu fomentata dalla Spagna.
La prima pubblicazione musicale della Strozzi è del 1644. Niente impedisce che il lamento sia stato scritto addirittura "a caldo", poco dopo i fatti, e che per la pubblicazione (nella seconda raccolta di composizioni, del 1651) si sia aspettata la morte di Luigi XIII e Richelieu.
 

Barbara Strozzi in un ritratto di Bernardino Strozzi.
Barbara Strozzi in un ritratto di Bernardino Strozzi. WikiCommons.
 
In effetti il testo tradisce una motivazione anche "politica", antifrancese e filospagnola, di questa composizione: nel trattare con grande simpatia del legame fra Enrico e Luigi implicitamente condanna l'operato di Richelieu e la sua politica antispagnola. Nel trattare con simpatia Enrico rivaluta il partito filospagnolo a cui egli faceva capo. E certo nel presentare l'amore "contro natura" del re di Francia una punta di malizia da parte dell'anonimo autore del testo ci sarà stata...
Sì, però, quali che siano state le intenzioni dell'autore del testo, rimane il fatto che la Strozzi compose la musica prendendo estremamente sul serio la cosa, e simpatizzando con il personaggio di Enrico. La musica aderisce al testo, ed esprime questo amore con tutta la passione con la quale veniva usualmente espresso all'epoca l'amore eterosessuale.
Non è un pezzo astratto, un'esercitazione retorica: non può essere cantato senza partecipazione emotiva: il cantante deve partecipare, accalorarsi per la narrazione, "far piangere" o rabbrividire chi ascolta. Non c’è nulla di gratuito, è tutto scritto con estrema intelligenza, estremo calcolo di affetti. È questo che lo rende un capolavoro, ed è questo che manca sempre ai pezzi "di maniera".
E comunque anche l'autore del testo non esprime sentimenti di condanna, anzi fa rievocare allo spirito dell'ormai giustiziato Enrico i momenti di intimità,  quando "al devoto collo / tu" (cioè Luigi) "mi stendevi quel cortese braccio", "quando meco gioivi / di seguir cervo fuggitivo", e quando giocavano a palla assieme. Anzi, Enrico allude persino, in modo discreto, ai loro rapporti sessuali rammentando "quando meco godevi / di trastullarti in sollazzevol gioco".

Due parole in più sul testo, che sfortunatamente è troppo lungo per essere pubblicato su "Babilonia".
Il testo si apre con la visione del corpo di Enrico disteso senza vita vicino al Rodano, a Lione, mentre lo spirito del morto ritorna a Luigi, che è nella capitale. Lo spirito parla a Luigi, e si lamenta con lui, chiedendogli perché ha fatto dichiarare traditore chi gli è sempre stato fedele.
Non pretende di essere innocente, perché ammette di essersi fatto coinvolgere da trame di palazzo, ma sostiene che la principale causa della sua rovina è stata l'invidia dei cortigiani per il troppo amore portatogli dal re. Ogni volta che Luigi gli dimostrava il suo favore abbracciandolo, giocando o cacciando assieme a lui, e anche  "trastullandosi" con lui, soffiava sul fuoco dell'invidia e del rancore dei cortigiani.
A queste parole del ragazzo che chiede perdono, Luigi si scuote e si pente; Parigi allora trema e la Senna si intorbidisce.
E qui la musica si conclude con un tremolo finale che si blocca all'improvviso in modo molto audace.

Come giudichi l'adesione emotiva della musica al testo?
L'adesione emotiva c’è, ma non è una cosa singolare: è particolarmente riuscita in questo pezzo, ma da Monteverdi in poi era normale nella musica di quel periodo.
Si può dire comunque che la musica è sentita, scritta con grande passione: fra le tutte le cose di Barbara Strozzi che ho visto è senz'altro il pezzo più bello.  È un brano straordinariamente bello e straordinariamente moderno.
Nel suo contesto storico ha tanta importanza quanta ne possono avere una sinfonia di Mozart o di Beethoven nei rispettivi contesti. Ha la stessa qualità musicale.

Perché allora la Strozzi è rimasta sconosciuta fino ad oggi?
È rimasta sconosciuta in primo luogo perché non era una professionista ma una dilettante, e le pubblicazioni che "rimangono" per i posteri sono di solito quelle dei professionisti.
Inoltre la maggior parte della letteratura musicale antica oggi non è di uso corrente nelle sale di concerto, anche perché non è stata più ripubblicata. Per trovarla è necessario riesumare negli archivi e nelle biblioteche i testi originali.
 

Copertina del Cd Gay American composers
Trent'anni dopo questa intervista, se non altro, esistono addirittura Cd che esplorano il tema, come questo.
 
Se mi permetti vorrei passare ora alla parte "scottante" dell' intervista. Fino ad oggi si conoscono pochissimi documenti musicali "classici" che  si accompagnino ad un testo omoerotico.
C'è l'aria di Apollo nel Combattimento tra Febo e Pan di Bach, l'Apollo e Giacinto di Mozart, e poi basta, a meno di andare sul moderno (il Martyre de Saint Sebastien e le Trois chansons de Bilitis di Debussy, la Lulu di Berg, Death in Venice, Billy Budd e The turn of the screw di Benjamin Britten).
Cosa vuol dire tutto questo? Che in campo musicale ha avuto successo una censura che spesso nel campo della letteratura ha fallito? Oppure che il "Rodano severo" è solo il primo di una serie di ritrovamenti che ci aspettano nel futuro?
Per quel che si conosce oggi di quell'àmbito musicale "Sul Rodano severo" è un caso unico; però quel che non si conosce è ancora tanto...
Ma poi il problema sarebbe di sapere se queste opere eventualmente composte con testo omoerotico non siano state distrutte dopo l'uso, dopo l'esecuzione. Ciò che noi abbiamo a stampa sono solo le briciole, una scelta di quella che era la produzione "manoscritta" di un autore, che in genere è andata persa o distrutta al 70%. E poiché l'opera stampata doveva affrontare un mercato, era meglio che i testi non provocassero reazioni, o sequestri della merce...
Le forche caudine sono qui, nella stampa. Da un lato per esempio sappiamo che l'Orfeo del Poliziano, con il suo finale esplicitamente omoerotico, fu musicato, ma la musica non ci è arrivata. Dall'altra sappiamo che se la Strozzi non avesse stampato "Sul Rodano severo", oggi non ne rimarrebbe traccia.

Resta il fatto che, salvo il povero Ciaikovski (ormai citato anche dai gatti quando si parla di musicisti omosessuali) un discorso sui "gay nella musica" non è mai stato affrontato.
Beh, a me son capitate testimonianze in questo senso. Cito ad esempio, nell'epoca della Barbara Strozzi, Johann Rosenmüller, un compositore tedesco, anche lui parte di quella schiera di grandi musicisti del Seicento poco conosciuti e poco eseguiti.
Nacque nel 1620, e nel 1655, mentre lavorava come organista a Lipsia, fu cacciato per un "delitto contro il costume", e ripiegò a Venezia dove rimase per vent'anni, imparando la musica italiana e scrivendo le sue più belle cose. Solo nel 1674 fu richiamato in Germania, dove morì nel 1684. Ecco il caso di un musicista che è stato veramente "licenziato" per i suoi costumi.
Poi... beh, Haendel, è un altro dei cui gusti sessuali non proprio ortodossi si sa. Oppure John Dowland, che però oggi in Italia nessuno conosce, o Giovan Battista Lulli, che veniva deriso per la sua omosessualità in sonetti che facevano il giro di Parigi...
Però la cosa appassionante, che varrebbe la pena di approfondire, è il rapporto tra Schumann e Brahms, che è stato intensissimo. Schumann è impazzito d'amore per Brahms, che era un ragazzo bellissimo, lo ha appoggiato con tutto il suo potere di critico musicale e gli ha permesso una carriera fulminea, bruciando le tappe. Schumann è impazzito e si è ucciso, guarda caso, quando Brahms è partito.
Brahms ha poi scritto tutta la sua opera, o la maggior parte di essa, come un omaggio a Schumann, nel senso che lo cita di frequente. Nelle sinfonie, nelle sonate, ovunque, a un certo punto capita sempre un ricordo, una citazione di Schumann, di una sua frase musicale.  Inoltre c’è un aspetto che forse i musicisti notano meglio di un "profano": è un omaggio a Schumann il modo in cui scrive, il modo in cui orchestra, la forma orchestrale delle sinfonie o dei concerti.
 
Benjamin Britten e Peter Pears.
 
Che ne fu di Brahms, dopo la morte di Schumann?
Brahms s’innamorò anche (non so se ebbe pure una relazione) di Joachim, che fu il più grande violinista della sua epoca, e per cui scrisse il doppio concerto per violino.
L'aspetto straordinario della vicenda, che mi è stato fatto notare da Bernstein, è  che Brahms era talmente spaventato dal fatto d’essere omosessuale che si è nascosto dietro un'immagine che non era la sua, abbrutendosi fisicamente, diventando vecchio prestissimo.
Oggi noi vediamo Brahms come un ciccione, un nonno con il sigaro in bocca e la pancia. Era un mascheramento, un modo per essere al sicuro: si è chiuso in casa, si è chiuso dietro a quest'immagine di nonno quando aveva quarant'anni, ed è sparito. Bisognerebbe andare a pescare nell'archivio Brahms le lettere fra i due per verificare tutta la storia.
Comunque un musicista queste cose le sente, le sente fra le righe, sente che tipo era Schumann, sente il rapporto strettissimo che c'era fra i due.
Un altro musicista di cui si sospetta era Schubert; e tu prima mi citavi anche Britten, che fu legato per tutta la vita a Peter Pears...
Ma nel ventesimo secolo la gente non ha più bisogno di nascondersi, per cui ce ne è molti di più.
Anzi, oggi diventa quasi una moda, diventa un vezzo.

Secondo una battuta di Horowitz (che, a scanso di equivoci, è ebreo ed omosessuale) ci sono tre tipi di pianisti: "I pianisti ebrei, i pianisti omosessuali e i cattivi pianisti". Che ne pensi?
Esiste anche un'altra frase famosa di Horowitz, quella che dice che nell'ambiente musicale ci sono tre mafie: "La mafia vera e propria, la mafia ebraica e la mafia omosessuale". Non so se sia pubblicabile, ma il 90% delle produzioni dei teatri musicali in Italia è basato su rapporti personal-affettivi fra gestori e artisti.
Certo, se un artista è bravo emerge comunque, etero od omosessuale che sia, ma ad esempio i circoli ebraici sono chiusissimi: si conoscono tutti, si frequentano tutti, e così sono nel mondo della musica anche i circoli gay. Accade soprattutto in America, ma anche qui da noi, specie nel campo del teatro dell'Opera.

Come mai?
Perché con tutti i costumisti, ballerini e artisti vari che frequentano l'Opera è certo più facile che una "mafia gay" si formi qui piuttosto che in una banca o in una fabbrica...

Ma cos'ha il mestiere di ballerino o costumista per attrarre maggiormente un gay di un eterosessuale? Non tirarmi fuori la storia che i gay sono più "sensibili" o "artistici" degli altri, perché è un mito.
Certo, è un mito... Sta di fatto però che la situazione è in questi termini.
Nell'ambiente mio, quello della musica antica, la maggior parte dei musicisti, il 90%, sono gay...

Guarda che lo scrivo...
(Ride): E tu scrivilo, se vuoi. È così...
Tanto più che oggi, con l'arrivo dell'Aids, questo fatto ha conseguenze visibilissime... è una vera ecatombe. Una mia collega che lavora a New York ha già perso sei amici, sei persone che suonavano nello stesso complesso da camera, che alla fine è stato costretto a sciogliersi.
Una cosa terribile.

Eppure a furia di sentirsi dire che il mondo è pieno di mediocri per colpa dei "froci", che si aiutano a vicenda anche a scapito del merito, si comincia a sentire puzza di bruciato. Questo non sarà il punto di vista degli eterosessuali mediocri, che attribuiscono i propri insuccessi non alla propria mediocrità ma, più comodamente, alla propria eterosessualità?
Sì, certo. Però di gente che va avanti perché c'è qualcuno che la spinge, ce n'è.

Un'ultima domanda. In letteratura è spesso facile "smascherare" un autore gay per una certa atmosfera, una sensibilità peculiare. E in musica? La famigerata "sensibilità gay" funzione anche qui, oppure per sua natura la musica è un'arte talmente astratta da vanificare simili "tentativi"?
Mah, la musica che può essere astratta per noi non lo era per il compositore...
Qualcosa di analogo a quello che tu descrivi io lo avverto, o credo di avvertirlo. Nella musica di compositori omosessuali c’è un qualche cosa... In genere fino all'Ottocento c’è una vena di tristezza, una tristezza rassegnata, una tristezza disperata, qualcosa comunque di negativo. Schumann, Schubert: c’è sempre un fondo amaro, anche nelle cose più allegre.

Quindi non poterebbe esistere un Vivaldi omosessuale?
No. Un Vivaldi, è impossibile.

E nel Ventesimo secolo?
Nel Ventesimo secolo è diverso, la musica contemporanea è mascherata da tante cose...
Mi è difficile giudicare, soprattutto perché non è il mio campo, anche se mi capita di suonarla qualche volta. Io mi occupo soprattutto di musica antica. E nella musica antica qualcosa c’è.

Bussotti?
È troppo lontano dal mio mondo... E poi la cosa non è mai stata un mistero perché è lui il primo a dirlo... (ride).

Se dopo aver letto questa intervista qualche lettore volesse ascoltare la composizione della Barbara Strozzi, dove la trova?
[Nel 1987] ne esistono due registrazioni. Una è quella del gruppo "Hesperion XX" (alla quale ho partecipato anch'io), pubblicata anni fa dalla Archiv (Deutsche Grammophon) col titolo Battaglie e lamenti, con Montserrat Figueras come solista.
L'altra, di importazione, è della "Harmonia mundi" francese: si intitola Barbara Strozzi: Cantate, soprano Judith Nelson.
Entrambi i dischi contengono il testo della cantata.


Tratto da: "Babilonia" n. 46, giugno 1987.
 
 
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