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(…) Biagino ha fatto il mulattiere fino all'anno scorso, quando il vecchio e glorioso Gloeden, scopritore di bellezze impareggiabili a Taormina, per mezzo del suo obiet/p. 21/tivo tedesco lo rese noto tra gli astri del paradiso terrestre. Grande fu la sorpresa di Biagino il giorno in cui si vide esposto al Corso, accanto agli efebi più famosi della città. Il celebre artista gli disse: — Ragazzo mio, tu non sei fatto per salire sulla roccia del Saraceno, lo dirò io a tua madre di vendere il muletto, tu devi fare il modello negli ateliers dei pittori e degli scultori, guadagnerai di più e non ti affaticherai per nulla. Biagino si persuase, e così fu che calzò le scarpine coi tacchi da signorina, cominciò a bagnarsi e a insaponarsi nelle acque del mare che raggiungeva dalle scorciatoie private, a pettinarsi con la riga in mezzo, a rubare l'acqua di colonia negli studi dei pittori e a frequentare i caffè in penombra della strada principale. A casa son liti d'inferno, e genitori, fratelli e sorella si prendono gioco di lui, chiamandolo Biagina, e soltanto la sua fidanzata, Graziella, casalinga, gli perdona quel modo di andar vestito perché lo ama molto, e gli dice che s'è fatto veramente bello. Ora non gli piace più d'andare a spasso con i mulattieri, e non si sofferma al Belvedere con i parenti suoi. Gli amici se li cerca tra i modelli e gli stranieri, ove [sic] si /p. 23/ parla di corpi stupendi, di forme impeccabili, di amori. Le sigarette nazionali non gli piacciono più, e di quelle estere ne preferisce una marca speciale che profuma l'alito. Il giorno che ha imparato tutte queste cose non s'è potuto più vedere nella casa paterna, ed ha accettato l'ospitalità d'un signore alla villa di Guglielmo II. Biagino rimane con piacere presso il ricchissimo Goldman, nella apparente qualità di giardiniere, ma l'ora in cui gli s'impone di massaggiare con le creme il corpo dell'anziano preferirebbe ascendere non una ma sette volte dì sèguito la roccia del Saraceno. Ogni giorno la fatica si rinnova e con essa il sudore per sette camicie, e Biagino in cuor suo manda alla malora il milionario. Meno male che il resto della giornata se ne sta con Marietta la cuoca, una bella mora di macchia, che gli impedisce di andare a trovare Graziella, la fidanzata. (…)
/p. 34 / (...) Il colosso di cinquant'anni, Goldman, non è brutto; bisogna però lasciarlo nelle mani della bassa gente, altrimenti si sente a disagio e perde il suo buon umore e la gioia di vivere. Costretto a trascorrere qualche ora del giorno in compagnia dell'élite, egli porta con sé Biagino, e chi non ammette Biagino nelle conversazioni non può entrare nelle sue simpatie. (...) /p. 55 / (…) Le lezioni di scultura che impartisce Cannasti[2] alla signora Marta continuano nella villa di Goldman alla presenza di Marietta, la cuoca, che è gelosa del modello Biagino. Il padrone va e viene per le stanze, oziando, ma non vede l'ora che Cannasti cacci fuori dall'atelier i due servi per gettarsi sulla splendida allieva. Biagino appare perfetto come un semidio. Goldman, orgoglioso del suo acquisto, tesse l'elogio del modello. (...) /p. 58/ (…) Goldman gli ha fatto conoscere anche la sorella di Biagino, una ragazza di sedici anni, Brigida, che furoreggia nelle cartoline illustrate di Taormina[3]. Non è facile per il principe ave/p. 59/re colloqui con una contadina difesa e protetta da un fitto nerbo di parenti e dal fidanzato, un mulattiere. (...)
/p. 61/ (…) Ma c'è pure chi non si lascia sfuggire la dolce carezza della città aristocratica, carezza vaga, dovuta a dita invisibili e profumate, e se ne rimane nella penombra dei caffè ove il silenzio è di prammatica almeno fino a che il fanciullo moro assoldato per la tarantella non dia inizio alla tristezza della danza paesana. Gli spettatori vogliono inebriarsi, con l'alito caldo di questa razza sempre dormente e confondersi alla sua vita e bere nelle sue vene il sangue pesante come il miele; e ci sarà un uomo o una donna che se lo porterà via, il ragazzo dagli occhi tristi, scalzo e scamiciato, che balla la tarantella, e che un giorno finirà svenato alla sommità di un grattacielo. La piccola città aristocratica che dalla collina guarda il mare di Glauco, ove svernano i più ricchi signori del mondo, inghirlandata di grandi alberghi e di ariose case di cura, è famosa da tanti secoli per aver dato origine ai ragazzi più belli di /p. 62/ tutte le epoche. Essa è il regno dei fotografi d'arte, che nelle vetrine della strada principale espongono i gloriosi efebi, sdraiati sovra un lenzuolo di ginestre, o in piedi, come statue, o seduti nell'atteggiamento più regale. Nella vita, e vestiti dei loro umili panni di contadini, essi sono mulattieri, acquaioli o pastori. S'inizia per l'efebo una nuova vita quando i maghi dell'obiettivo lo avranno preso di mira, e questa altra sua esistenza comincia dal dì che il suo nudo si espone nella vetrina della strada principale e stampato sulle cartoline illustrate intraprende la sua diffusione nel mondo. Allora è una rapida ascensione verso la ricchezza e l'amore, perchè, sia uomo o donna, il ricco straniero che ha posto l'occhio sul ragazzo, ne fa un gran signore e se lo porta via. Si direbbe che i forestieri non abbiano altra preoccupazione, svernando su questa collina odorosa, che quella di comprar bene tra gli efebi in fiore, e ciò che dovrebbe meravigliare ma che qui è cosa comune è la disinvoltura con cui il plebeo dalle forme fidiache passa dalla modesta vita allo sfarzo del Palace, quasi che il passaggio fosse una predestinazione. Indubbiamente il sangue di questi efebi non deve essere di qualità scadente se si pensa che la loro origine è la più /p. 63/ pura Grecia, se si pensa che mai alcuna tribù di barbari ha osato metter piede quassù. Infatti l'uno è il ritratto dell'altro, e dànno vita eterna a un tipo inconfondibile. La nuova esistenza dell'efebo non è più spensierata come la precedente, anzi quasi sempre è poco felice. Non passa molto che il dissidio scoppia tra i due: spesso il povero si stanca della ricchezza e si lascia vincere dalla nostalgia della campagna nativa, o il ricco non vede più nella bellezza dell'efebo che un capriccio già soddisfatto e tramontato. Così avviene che l'uno e l'altro si dividono, e ciascuno riprende la sua vita. L'efebo ritorna alla natura che a lui riappare come l'autentica ricchezza della sua vita. (...) /p. 64/ Gli adolescenti di Taormina sono quelli che maggiormente esercitano fascino presso i forestieri, fino a innestarsi nella loro vita, e questi ultimi si insinuano nella vita di quelli fino a fargli dimenticare l'origine. Già da secoli Taormina vive a contatto con l'aristocrazia di tutto il mondo, che passa di qui non senza lasciare le sue tracce. Perciò i ragazzi sono belli e distinti, anche se nati e cresciuti nelle stalle: le fanciulle sono dolcissime ed armoniose: il mito di Taormina non è altro, ciò avviene da secoli. Efebi e stranieri occupano i tavoli dei dancings pomeridiani. Una dolcezza singolare è regina di questi locali semibui. Taormina non ama che il caldo dei caloriferi, la luce tenue della luna; trova la sua naturalezza nell'artificio, il suo splendore nel crudo inverno, la magnificenza esteriore dimostra nella intimità occulta. Perciò la sua stagione si chiude all'inizio dell'estate, quando si inizia a Capri e ad Amalfi. Allora i grandi alberghi procedono ai restauri mentre i ragazzi sonnecchiano all'ombra degli ulivi, sorpresi dall'obiettivo di Gloeden[4]. (…)
/p. 192/ (...) Biagino piange, si dispera, ha perduto la padronanza di sè a tal punto da sentirsi soffocare nella cella come in una gabbia. (...) La fotografia dello stupendo nudo di Biagino, eseguita tempo addietro da Gloeden, è alla parete, e fa da significativo contrasto tra la floridezza passata e la miseria fisica presente dell'ambizioso mulattiere. |
Note
[1] Il testo è stato scansito da: Antonio Aniante [pseud. di Antonio Rapisarda], Ultime notti di Taormina,
Treves, Milano 1930. Ho inserito qualche "acapo" per una migliore
leggibilità. L'opera fu tradotta in francese e pubblicata a puntate nel
1934 come Fleurs de cactus sul periodico "La République". L'interesse
di questo romanzo nasce dal fatto che l'autore è un giornalista, nelle
buone grazie del regime fascista ma affascinato da Gloeden, a cui aveva dedicato l'anno prima un ritratto ricco di simpatia e ammirazione. Uscito in pieno regime fascista, il libro non osa alludere a una relazione omosessuale fra Goldmann e Biagino, che al massimo spalma creme sul corpo del padrone. Tuttavia le allusioni al modo in cui Biagino s'è effeminato e infiacchito, per influenza degli stranieri, richiamano gli stereotipi dell'epoca sull'omosessualità. Biagino,
benché "fanciullo", ha una robusta attività (etero)sessuale prima con
la governante di Goldmann, Marietta, e poi con una ricca turista
francese, Marta, che lo sfiancherà con le sue vampiresche pretese
sessuali. Totalmente diverso è il destino della sorella di Biagino, Brigida (anche lei adolescente e modella dei fotografi), sedotta da un turista, che rimasta incinta "perde l'onore" (p. 219), e fugge a Catania, "città pericolosa per le ragazze inesperte" (p. 225), dove è implicito che il suo destino sarà la prostituzione. C'è
nella sorte diversa di questi personaggi tutta una morale, che vede la
relazione omosessuale dei maschi adolescenti come poco più che una
"ragazzata", destinata a dissiparsi al raggiungimento della maturità,
laddove lo stesso comportamento da parte d'una femmina è foriero di
conseguenze drammatiche, ed è quindi giudicato con tutt'altra severità. [2] Nel
romanzo è un artista e libertino, occupato a sedurre quante più donne
possibile. Marta è la ricca turista straniera che abita all'hotel
"Palace" (il celebre "San Domenico") assieme al marito, Bruno, che si
ammala, lasciandole campo libero nelle sue avventure.
[3] Trovo
interessante quest'allusione al commercio di cartoline illustrate con
ritratti di "tipi taorminesi", a cui aveva partecipato anche Gloeden, e
che evidentemente nel 1930 era ancora in voga. Un'ulteriore allusione a
questo commercio è a p. 62.
[4] L'affermazione
è errata. Sappiamo che Gloeden seguiva la moda di "fare la stagione",
trascorrendo a Taormina i mesi freddi, e in patria quelli caldi.
L'analisi dei fiori che appaiono nelle sue foto dimostra che egli
fotografava tra febbraio a maggio.
Tuttavia quando Aniante scrisse queste righe, Gloeden aveva ormai cessato l'attività, quindi il romanziere può aver lavorato di fantasia.
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