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Riflessioni sulla Corte costituzionale e il movimento gay

17/04/2010

Gentile signor Dall'Orto,
Lei non mi conosce. Mi chiamo Stefano F..., 27 anni, e sono figlio di una mamma Agedo...

Seguo da tempo e con interesse il lavoro che lei, anche con sua madre, sta portando avanti e volevo da tempo ringraziarla. Non solo per la grande dignità e il coraggio che avete avuto nella lotta per far emergere dall'oscurità gli affetti e le famiglie di chi veniva visto come un mero individuo sessuale, ma anche per le sue posizioni fuori dal coro, o meglio dall'acquario in cui placidamente sguazzano le associazioni lgbt, almeno per la maggior parte...

Condivido pienamente il suo giudizio sulla sentenza della Corte, ma soprattutto sul solito sterile e deprimente siparietto ideologico cui ha dato vita. 
Qualche tempo fa, non troppo, l'ex presidente di Arcigay dichiarava che gli omosessuali non volevano affatto il matrimonio... forse perché alcuni colleghi del partito in cui militava portavano il cilicio, o forse per non deludere quella parte della popolazione omosessuale che considera monogamia, matrimonio e adozioni un grave errore per il movimento, simboli della sua "normalizzazione" o borghesizzazione. Sono certo che lei conosce molto più e meglio di me tali questioni.

Io ritengo, molto umilmente, che sarebbe giunta per il movimento l'ora di fare un bilancio circa le proprie scelte politiche, strategie comunicative, strade di rivendicazione. 
Non è certo un mistero la profonda crisi rappresentativa dell'associazionismo lgbt tradizionale, lo dimostra il fatto che sono state associazioni giovani e nate fuori dalle trame politico-economico-campanilistiche del movimento ad ottenere la prima pronuncia della Corte sul matrimonio lgbt. 
Lo dimostra purtroppo il fatto che pub, disco, saune e locali vari sono sempre più pieni, mentre i circoli, sempre più vuoti, sembrano occupati da un'oligarchia autoreferenziale, centralistica e indisponibile a mettere in discussione il proprio operato. 

L'attenzione alla spartizione economica della lucrosa fetta del, cosiddetto, divertimento gay sembra prevalere sulla lotta di rivendicazione politica. Gli attriti e le gelosie reciproche, la concorrenza diretta e il disaccordo persino sul Pride (su cui ogni grossa associazione pretende di mettere per prima la firma per poi organizzare la propria festa serale) sono allarmanti segnali di un movimento che preferisce farsi una guerra fratricida per spartirsi piccoli feudi di potere, piuttosto che unirsi per rivendicare serenamente l'uguaglianza.

Un'uguaglianza che non può più e non deve, a mio modesto avviso, partire dalla rivendicazione di una tanto sbandierata quanto incomprensibile identità omosessuale, ma dal diritto costituzionale di ogni persona ad veder riconosciuta la propria dignità, di non essere ostacolata nello sviluppo della propria personalità, di pretendere che la repubblica rimuova gli ostacoli che si frappongono tra un cittadino e la sua cittadinanza.

Noi non dobbiamo chiedere il matrimonio in quanto omosessuali, ma in quanto persone. Dobbiamo piantarla di fare Pride in concorrenza reciproca e privi di senso, con carri pieni di tette e culi, perché la legittimissima provocazione degli anni '60 non provoca più nessuno, ma semmai al contrario rinsalda quello stereotipo che i giornalisti sono lieti di scovare (riprendendo non la maggioranza delle persone ma i 2 o 3 stereotipi che servono loro per parlare di froci).

Mi chiedo e chiedo che orgoglio: ci può essere in un paese in cui non ci sono diritti civili, c'è una fortissima omofobia, e trionfa la doppia morale cattolica: in piedi di fronte all'altare e in ginocchio nel buio del confessionale?... 
Dove sono i nostri amici "etero"? I nostri genitori? I nostri fratelli e sorelle? I nostri colleghi? 

Io penso che la rivoluzione si faccia cominciando con una rivoluzione del pensiero. Penso che si faccia partendo dalla propria vita, dalla propria famiglia, dai propri amici, dai propri colleghi... Un mister gay che, appena eletto, dichiara di non aver fatto coming out non è, forse, quel simbolo di liberazione che fa bene al movimento...

Io credo che sia l'ora di fare una serena autocritica. L'ora di chiedersi perché in Italia non si è fatto nulla per far entrare i gender studies in ambito accademico. Perché un premio di tesi sul genere viene assegnato ad una tesi che si chiama: Studio di un gruppo di lesbiche in Toscana, titolo che sembra vicino ad alcune teorie sull'isolazionismo culturale e che sembra coevo agli studi di Margaret Mead sulle culture di gruppo.

Io credo che sia il momento di chiedersi se è giusto che ai Pride prenda la parola una persona che urla: "Il Papa è frocio" piuttosto di urlare: "Il Papa e la chiesa sono vergognosamente omofobi, quindi faremo causa ai signori cardinali che offendono la nostra dignità di persone".

Penso allo shock culturale che avrebbe un Pride stile anni 30... con le trans e le drag in bellissimi costumi d'epoca, i figaccioni nelle sensuali uniformi naziste, e molti altri dietro il filo spinato con triangoli rosa e neri e divise a strisce. Non sarebbe forse un messaggio forte e d'impatto? Non sarebbe un modo molto serio ma anche molto ironico di pretendere dignità? Come farebbe la stampa di regime a trovare il solito dissenso retorico e ipocrita sul costume degenerato dei gay?

Sarebbe l'ora di abbandonare tutte le trasmissioni Rai che censurano un cittadino perché ha un'opinione sul pensiero e la politica del Papa e di chiedere che fine ha fatto il pluralismo... ma forse la mia è solo un'utopia che ho voluto condividere con lei per la stima e il rispetto che le porgo.

mi scuso per il disturbo e lo stile affannoso, la ringrazio molto e la saluto, 

Stefano F.

Caro Stefano,

sono d'accordo con te sulle analisi politiche. Poi però, quando si passa alle proposte, qualche perplessità il tuo punto di vista me lo lascia.

Cosa vuol dire infatti che "Noi non dobbiamo chiedere il matrimonio in quanto omosessuali, ma in quanto persone"? Dunque, se lo chiediamo in quanto omosessuali, ammettiamo che gli omosessuali persone non lo sono? Proprio come affermano i nostri nemici? Bisogna fare molta attenzione, quando si ragiona, a chiedersi se slogan scintillanti che ci appaiono molto "avanzati" non siano per caso farina del sacco dei nostri nemici.
Noi il matrimonio lo chiediamo in quanto omosessuali perché in quanto omosessuali noi siamo persone. Punto.
Insomma, non proprio tutti i punti che ti lasciano perplesso nel movimento gay sono privi di motivazioni...


Lo stesso dicasi per il Pride. Concordo con te sul fatto che l'insopportabile rissa perpetua per strapparsi i clienti alle feste danzanti finali. Ma al solito ci troviamo a discutere su cosa debba essere, o non essere, il Pride.

Ora, io non lo so cosa debba essere. Non mi interessa mettermi la gonna, e neppure andare in giro nudo per la città. Ma all'idea di pubblicare dei dress codes, come qualcuno va proponendo da anni di fare, mi viene l'orticaria. Di sicuro so cosa non deve essere un Pride: un'occasione per irreggimentare la gente. Una manifestazione in cui tutti vestono sobriamente di sacco e camminano compunti e senza dare scandalo non è un Pride: è una processione della confraternita della Buona Morte.

Mi sgolo da anni per fare capire che il problema coi Pride non è dato dalle dieci trans brasiliane che vengono ad esibire nude le tette di silicone che tanto sono costate alle loro finanze. Dopo tutto sono dieci su centomila, e i Pride è loro come nostro.
Il problema sono i giornalisti che si piazzano solo davanti a quelle dieci, e non riprendono null'altro che quello.
Ora, visto che questo fenomeno ha ragioni politiche ben precise (dare un'immagina baracconesca del Pride, oscurando completamente i contenuti politici di rivendicazione), credo che gli organizzatori dovrebbero porsi il problema.
Con un servizio stampa più efficiente di quelli raffazzonati fino ad oggi. E con un briciolo di servizio d'ordine che blocchi quei due o tre, che non mancano mai ogni anno, che vengono al Pride solo per togliersi le mutande di dosso.

Non va fatto per reprimere, ma perché (1) smutandarsi per strada è un reato, e qui o si opta per la disobbedienza civile (e se lo si fa, ci sto anche io, però prima mi si spiega perché e per ottenere cosa devo farmi arrestare per smutandamento) e ci si fa arrestare tutti, oppure non si capisce a cosa ci serva il fatto che venga commesso, e (2) il nudismo è una causa nobile e interessante, ma il nostro è un Gay Pride. Siamo in piazza in quanto gay, non in quanto persone (daccapo!). Quindi se i nudisti desiderano organizzare manifestazioni loro, possono chiederci di aderire e senz'altro molti di noi aderiranno, però loro si facciano le loro manifestazioni, perché questa è la nostra, e porta avanti le nostre rivendicazioni e non quelle degli altri. Come avviene per qualsiasi altra manifestazione.

Come vedi, insomma, a volerci ragionare gli strumenti per venirne a capo senza ridurci alla processione della Confraternita della Buona Morte li abbiamo.
L'unico problema è che per usarli dovremmo voler darci da fare, lavorare... ed è quello che molto non vogliono fare...


Devo comunque dire che nella generazione più giovane vedo atteggiamenti di maggiore impegno politico ed attivismo. E' finito il tempo della "X Generation", la generazione venuta dopo la mia, quella dei trenta-quarantenni cresciuti a miti thatcheriani, mitologie di business ed iper-liberismo spinto.

Io li giudico irrecuperabili, perché sono figli un "pensiero unico" che non ammette la possibilità di altri pensieri. Oggi come oggi, dopo il fallimento della loro visione del mondo, possono solo o insistere contro ogni evidenza e ragionevolezza, rendendosi patetici, oppure ammettere di avere sbagliato tutto, e a 40/45 anni non è per niente facile. Qualcuno ce la farà, ma la massa di loro scivolerà nel cinismo e nel nichilismo ("se non era vero ciò in cui credevo io, allora nulla è vero!") che leggi nei commenti dei lettori su un sito come Notiziegay.com, che è il portabandiera di questa generazione che ha fallito.

Invece tra i ventenni (non solo quelli gay, chiaro), che realisticamente vedono davanti a sé solo un futuro di precariato e incertezze, e che ai miti neoliberisti e neocon non credono più, la voglia di buttare all'aria il piatto è ogni anno maggiore. Quindi io credo che il piatto stia per saltare, nella società, ma anche nel mondo gay.


L'elezione di Paolo Patanè e Luca Trentini ai vertici di Arcigay, con una maggioranza trionfale, è a mio parere un segnale di tale voglia di cambiamento. Poi nessuno di loro due è Gesù e quindi non avremo nessun miracolo, da loro, ma ultimamente sono ottimista, certo molto più ottimista di tre o quattro anni fa.

Inoltre la nascita, come tu stesso segnali, di realtà come Rete Lenford, offre finalmente alternative e stimoli anche alle balene arenate come Arcigay. Che se non si muoveranno per tornare in acqua, semplicemente, moriranno soffocate. Lasciando uno spazio ecologico a disposizione dei nuovi arrivati.
Quindi sono ottimista.

Ciao.

G. Dall'Orto.



 
Oltre i limiti e le barriere

27/4/2010

Gentile Giovanni,
grazie per la sua risposta.

Volevo solo precisare che con la frase "Noi non dobbiamo chiedere il matrimonio in quanto omosessuali ma in quanto persone" non volevo assolutamente negare il valore dell'orientamento sessuale... ma credo che l'identità di ogni individuo sia estremamente complessa e ridurla al mero orientamento sessuale mi pare limitante. 

So bene che a livello storico, nel contesto occidentale, la costruzione di un "soggetto omosessuale" è stato un passo indispensabile e necessario a demedicalizzare il termine e costruire una cultura a servizio di un gruppo sociale organizzato. 
Sono grato a questa mobilitazione che dai pionieri dell'800 ad oggi ci ha permesso di costruire una comunità cui poter aderire e degli spazi (sociali, culturali e politici) di rivendicazione effettiva.
Tuttavia il concetto d'identità omosessuale oggi mi sembra un po' problematico. 
Lo dico alla luce di studi storici, antropologici e sociali che testimoniano e documentano l'esistere di rapporti, relazioni e "matrimoni" o patti sociali tra persone dello stesso sesso in ogni epoca storica e in moltissime culture (dai "2 spiriti" dei popoli precoloniali americani alle società dell'Africa subsahariana). 
Ora il paradosso è che presso queste culture o nella nostra, se si pensa all'Atene del V secolo (anche se solo per gli uomini, visto il substrato maschilista... ma c'era Saffo...) le persone che amavano le persone dello stesso sesso vivevano serenamente e liberamente i propri rapporti senza dover assumere per questo una specifica etichetta identitaria.

È vero che ogni contesto sociale va valutato secondo la propria cultura ma mi pare che la sessualizzazione-sessuofobia del '900 derivi da un certo scientismo medico e psicanalitico, che ha creato ed imposto degli idealtipi per separa le persone a gruppi. La bisessualità universale di Freud e quella sperimentale del rapporto Kinsey mi sembrano più convincenti.

Con questo non voglio affatto negare che esistano omosessuali o eterosessuali puri, per così dire (io stesso finora ho sempre provato attrazione per gli uomini e avuto relazioni esclusivemente col sesso maschile) ma penso che sarebbe culturalmente stimolante superare un po' la nostra ossessiva identificazione sessuale col genere e con l'orientamento. 
Credo che buona parte del maschilismo e dell'omofobia s'annidano dietro al tabù sessuale, istituzionalizzato dal potere civile e soprattutto religioso.
Penso che sarebbe più bello, ma questo è solo il mio sogno, poter vivere in un mondo in cui tutti, in quanto persone e negli infiniti, personali e intimi modi di esserlo, possiamo sentirci liberi, uguali, non discriminati e riconosciuti nei propri posizionamenti identitari (qualunque essi siano e qualsiasi nome vogliamo attribuire loro). 
Sarebbe bello non dover dire io sto con Fabrizio perché sono gay ma semplicemente io sto con Fabrizio perché lo amo. Punto. 
A prescindere dal dover per forza assumere un connotato culturale "omosessuale", nato appena nell'800.

Rileggendo queste righe mi rendo conto di non essere stato affatto chiaro e me ne scuso, sono discorsi molto complessi e delicati... ma a volte temo che le lettere che s'aggiungono al nostro pluralissimo acronimo fungano più da barriera che da ponte tra punti di vista diversi in realtà sempre più fluide e multiculturali.

Mi spaventa un certo separatismo che serpeggia tra lesbiche e gay, tra femministe e postfemministe, tra queer e omosessuali, tra transessuali e transgender e tutti gli altri e mi spaventano soprattutto le madri di tutte le dicotomie: donammo (maschio-femmina), etero-gay. Sono dicotomie che odio perché disegnano confini invalicabili reificando l'identità come fosse un monolite statico. Io preferisco il movimento alla stasi e la relazione, anzi le relazioni alla cesura, e non condivido le teorie sul relativismo culturale quando segnano mura tra popoli e società diversi o, come nel nostro caso, tra persone in uno stesso contesto.

Mi piacerebbe che per abbattere il pensiero unico si potesse costruire un fronte di rivendicazione ampio il più possibile che raccolga coloro che vengono marginalizzati e stigmatizzati in quanto donne, in quanto etnicamente diversi, in quanto ragazzi che amano ragazzi o ragazze che amano ragazze, persone che non si riconosco nella codificazione sessuale attribuita loro da un timbro dell'anagrafe. 
Un movimento nuovo che raccolga tutti coloro che rivendicano l'uguaglianza a partire dal diritto alla diversità ma che sono disposti a spogliarsi della differenza intesa come separazione... se invece continuiamo a chiuderci in piccoli recinti, a dividere le nostre bandiere in pezzetti non avremo mai la forza necessaria a rivoluzionare l'attuale sistema di ingiustizie e disuguaglianza.

Quanto al pride, Lei ha ragione e la ringrazio perché la sua analisi mi ha dato modo di riflettere molto. 

Spero di non annoiarla troppo e di essere riuscito a chiarire il mio, sempre parziale, punto di vista sull'uguaglianza e sull'identità.

Ancora grazie per l'attenzione che le assicuro non è così comune trovare in altri interlocutori nel movimento.

Buona giornata 
Stefano F.

Gentile Stefano, la ringrazio per la sua replica.

Purtroppo noi non dissentiamo solo su dettagli, ma proprio nelle categorie di lettura della realtà.
Che nel suo caso partono palesemente dai dogmi della cosiddetta queer theory, della quale si dà il caso io sia un accanito oppositore. Perché? Perché sono contrario a tutti i dogmi. E perché la queer theory dice cose estremametne conservatrici con un linguaggio che pretende d'essere molto innovatore e liberatorio.

A iniziare dal "pericolo" dell'assunzione di etichette identitarie, magari basato, per nobilitarlo, sul mito di un'antichità greca, o di un favoloso "altrove" precoloniale, che per motivi non meglio specificati sarebbero stati "liberi" da identità  omosessuali ed eterosessuali (il che è semplicemente falso, come lo è il mito della presunta "invenzione" ottocentesca dell'omosessuale).
Cosa pensi io delle identità omosessuali l'ho scritto da molti anni, e spesso ripetuto, e ancora ripetuto, e ripetuto di nuovo, quindi mi scuserà se la rimando a quanto ho già scritto.

Delle sue affermazioni storiche penso invece che siano semplicemente infondate e non corroborate affatto dai (molti) documenti storici che ho letto, però qui non abbiamo il modo e lo spazio di metterci a discutere sul perché.
Anche qui la invito a voler sfogliare qualche documento storico fra quelli che ho messo online nel mio sito. Non so se si convincerà della giustezza dei miei commenti che li accompagnano, ma quale che sia il risultato, in ogni caso non posso cercare di convincere personalmente, per email, tre milioni di persone omosessuali italiane, una per una... Mi spiace. Quel che posso fare attraverso il mio sito provo a farlo, per il resto... non sono Gesù e i miracoli non li faccio.


Quanto a ciò che lei definisce "la nostra ossessiva identificazione sessuale col genere e con l'orientamento", auspicandone il superamento, devo confessarle che essa è semmai per me la base stessa della mia identità e integrità personale in quanto essere umano sessuato.

Come ho avuto modo di scrivere, "non esistono gerarchie nell'essere". Io non smetto di essere persona quando dico d'essere gay, e non smetto d'essere frocio neppure quando mi lavo i denti.
L'idea che sta alla base del suo concetto di "superamento" è in effetti un'idea reazionaria, che postula gerarchie precise nei modi d'essere, alcuni dei quali superiori, altri inferiori: "Essere persona è meglio che essere soltanto gay", ed "essere soltanto gay è meno che essere persona".
Mi spiace, non m'importa con quanti fiocchetti progressisti venga incartata quest'idea reazionaria, a me importa solo che quel che mi dice quest'idea, alla fine, è che essere gay è inferiore.

Specie quando verifico cosa intendano per "essere persona" gli eterosessuali, e scopro che nessuno di loro si sogna  minimamente di scindere la propria eterosessualità dal suo "essere persona".
Se quindi solo i gay sono ossessionati da questa "rivoluzionario" obiettivo, e contro il loro stesso interesse, il sospetto che non si tratti di un'idea loro, bensì di un'idea insinuata e coltivata dalla società omofoba, non solo lo nutrirò, ma anzi lo considererò come più che un semplice sospetto...


Lo stesso dicasi della sua paura della sottolineatura delle differenze di genere. Che per certi aspetti sono fondate biologicamente, addirittura (è solo la valutazione che se ne dà ad avere una base esclusivamente sociale, convenzionale, relativa, però ciò detto un uomo non è una donna e una donna non solo non è, ma non ha nessun dovere di essere, un uomo).
Il suo tentativo di negarlo serve solo a negare, alla lunga, l'oppressione delle donne: le differenze fra donne ed uomini sono artificiali, inesistenti, basta allargare la mente per vederle sparire.
No che non basta, invece. Una donna che deve allattare un neonato è oggettivamente svantaggiata nel mantenimento o nella ricerca di un posto di lavoro. E il semplice fatto che un giorno potrebbe doverlo fare, la danneggia nella carriera. E così via.
Altro che artificiali, altro che inesistenti. Sono veri "soffitti di vetro" che devono essere riconosciuti, se vogliamo costruire "discriminazioni positive" per controbilanciare quelle negative già esistenti.
Troppo comodo gridare "liberi tutti! Da oggi qualsiasi donna, se lo vuole, può diventare presidentessa dell'Arabia Saudita!". No che non può: questa "genialata" serve solo a poter dire, dopo qualche tempo, con aria compunta, "Se nessuna donna è mai diventata presidentessa dell'Arabia saudita è forse perché le donne di quel paese non lo vogliono veramente, non lo vogliono abbastanza, oppure forse non sono all'altezza del compito"... In altre parole, perché sono inferiori...
"Non sono io ad essere misogino, sono le donne ad essere troppo effeminate"...


E così via.
Per farla breve, il mio punto di vista è che dietro alcune delle sue affermazioni, sotto una vernice progressista, si nasconda un nucleo conservatore e perfino, a tratti, omofobo.

Nucleo che lei, ne sono certo, non ha affatto assorbito intenzionalmente. Questo nucleo è semmai entrato in lei veicolato dalle parole d'ordine progressiste e rivoluzionarie del dogma della queer theory.
Ma proprio per questo mi pare valga la pena di sottolineare quanto io trovo d'inaccettabile nelle sue affermazioni.


Io dei limiti non ho paura. Le barriere le voglio e le esigo.
Voglio che la porta della mia camera da letto sia una barriera invalicabile a preti, polizie e psichiatri tutti.
Voglio, pretendo, esigo questo confine e questa barriera.
Il suo mondo "senza barriere" non mi pare affatto un'utopia bensì un incubo.
Un mondo senza confini è un mondo in cui il confine fra lei e le sue idee e me e le mie non esiste. E se mi concede, rivendico il diritto di essere me stesso e non, obbligatoriamente, lei. Mi piace essere me e non lei, esigo il rispetto della barriera fra me e lei e no, non mi sento affatto in colpa per questo, anzi...

Rivendico il diritto alla privacy, voglio che ci sia attorno a me un filo spinato elettrificato e le torrette con su le guardie che sparano a chi la vuole violare.
E così via, e così via.

Il suo mondo senza limiti e barriere, glielo assicuro, non mi attrae affatto. Perché dietro le spalle della sua sincerità e della sua buona volontà vedo già spiare i volti di coloro che, per il mio bene, sapendo meglio di me cosa è bene per me, vogliono "aiutarmi" ad "uscire dai miei limiti", aprendomi alle loro Verità superiori, alle loro identità superiori, smantellando le barriere, i limiti e i confini... che però guarda caso fino ad oggi avevano protetto la mia identità "diversa", ed orgogliosa di essere tale.


Ecco perché il movimento a cui lei aspira a me non interessa. A lei appare come una meravigliosa con-fusione fra diverse diversità, a me invece pare solo una marmellata con così tanti sapori che alla fine non ne se ne percepisce più alcuno.
Io non sono fra coloro "che sono disposti a spogliarsi della differenza intesa come separazione". Io dalla differenza (e se necessaria per mantenerla viva, anche dalla separazione) non ho alcuna volontà di spogliarmi. Se lo facessi, sarei l'unico nudo e al freddo in un mondo di persone vestite, e non vedo perché dovrei farlo. Frocio sì, cretino no.

La cooperazione, le alleanze, sono possibili solo partendo dal rispetto della diversità assoluta che ogni essere umano incarna, quella che fa dire a ciascuno di noi "Io sono io".
Lei mira alla fusione degli "io" degli esseri umani? Ovviamente rispetto le sue idee e la sua aspirazione, lei mi conceda solo di obiettare che dal mio personale punto di vista quest'aspirazione è la base del totalitarismo.
Lo ripeto, rispetto il suo diritto a pensarla in questo modo, non mi piace però se lei cerca di spacciar questa sua aspirazione (per me) totalitaria, per lotta al "pensiero unico". A mio modo di vedere semmai questa è la matrice, la madre del pensiero unico.

Solo rispettando e valorizzando le differenze, e quindi le differenti identità, sarà possibile schiacciare le subdole sirene del pensiero unico, che ci vorrebbero tutti omologati in un'unica marmellata senza sapore in nome della rinuncia ai "limiti" alle "barriere" e agli "steccati".
Tutti assieme nella stessa mostarda, tutti al sapore di mostarda, nessuno in grado di sapere quale sia il proprio sapore...
No grazie! A me la diversità altrui non fa paura.
Ecco perché non ho paura di cercare di insegnare agli altri a non avere paura della mia...


Arrivato alla fine, mi scuso con lei per la durezza della mia replica.
Ho usato questo tono privo di giri di parole ed ipocrisie perché penso che lei sia in buona fede e sincero. Se non lo avessi pensato, non avrei "sprecato" il mio tempo e mi sarei limitato a farle notare che alle cose che mi dice ho già dato risposta da almeno vent'anni, invitandola a leggere il mio sito, buonasera e tanti saluti.

Ho risposto in questo modo diretto anche perché penso che forse questa mia provocazione potrebbe essere uno stimolo a rivedere criticamente alcune delle certezze che lei butta sul tavolo, e che non sono solo sue, ma anzi sono fin troppo diffuse in certi ambienti del mondo lgbt...
In altre parole, parlavo a lei, ma solo perché suocera intendesse...


Nella sua prima mail lei mi lodava per le mie posizioni "fuori dal coro". Forse non s'immaginava che avrebbe dovuto subire un vaglio delle sue stesse mail da un'ottica decisamente "fuori dal coro".
Non so dire se ora come ora lei ne sarà contento.
Temo di no.
Me ne dispiaccio, ma non posso farci nulla... mi viene spontaneo farlo...
"Io non sono cattivo... è che mi disegnano così"...
 

I miei migliori saluti.

Giovanni Dall'Orto

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