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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Ottima conclusione del ciclo di Eymerich.
Degna conclusione per il ciclo dell'inquisitore Eymerich, nella quale Evangelisti ha creato un nuovo genere del tutto originale mescolando romanzo storico, fantascienza, horror ed esoterismo.
Forse
la formula iniziava ad essere un po' ripetitiva, forse Evangelisti era
stanco di ripercorrere sempre lo stesso sentiero, o forse sono stati i
problemi di salute di cui si è parlato in Rete, e che gli han fatto
temere per un momento che questo potesse essere in assoluto il suo ultimo
romanzo... fatto sta che questo è il suggello del ciclo.
Peraltro,
assolutamente non indegno delle opere precedenti.
Questa volta la parte storica si svolge soprattutto in Sicilia, nel periodo che precede la definitiva conquista aragonese dell'isola e la sua unificazione con il Regno di Napoli sotto la stessa corona.
La ricostruzione storica di questo periodo è di assoluto fascino, anche per i non velati paralleli che l'autore traccia fra la classe dirigente dell'epoca (totalmente priva di qualsivoglia "senso dello Stato") e quella attuale. Ovviamente non è questo l'argomento del romanzo, ma è divertente lo stesso godersi la sottotrama di critica politica occultata nella trama.
La formula della vicenda è quella abituale di tutti i romanzi del ciclo. Eventi che si svolgono in un futuro lontano (fra oltre mille anni) e decisamente distopico (la Terra è, letteralmente, un manicomio), influiscono sulla Sicilia del 1372, nella quale si manifestano con insistenza stranissimi eventi allucinatorii.
A contrastarli
sarà inviato il solito inquisitore Eymerich, l'unico fra tutti a
mantenere il sangue freddo (anche se per il motivo sbagliato: è
troppo fanatico per accettare la realtà degli eventi "diabolici"
a cui assiste). Ed a lui toccherà sciogliere la trama.
Nella
quale, peraltro, gioca un ruolo inatteso, dato che la sua presenza non
si limita alla Terra del XIV secolo, ma ha forse trovato un modo per manifestarsi,
ed imporsi, anche sulla Luna del XXXI. E con questo si spiegano, infine,
certi inspiegabili fenomeni dei nove romanzi precedenti. Occhio infatti
al finale, che è la chiave di tutto.
Non
è possibile entrare in maggiori dettagli nella trama senza privare
del piacere della lettura, dato che ogni singolo dettaglio s'inserisce
in una catena d'indizi che, accumulandosi a poco a poco, s'incastrano infine
l'uno nell'altro e portano al disvelamento finale.
Basterà
allora accennare al fatto che questo volume segue la formula collaudata
nei precedenti, senza trascurare nessuno degli elementi che ne hanno decretato
il successo.
Il solo elemento un po' anomalo sta nella scelta, rimandata fino a questo momento, di svelarci a poco a poco l'infanzia di Eymerich e la costruzione del suo carattere sottile, spietato, fanatico, nemico di qualsiasi emozione, e di qualsiasi pietà.
Ovviamente ciascuno avrà i suoi motivi per apprezzare il romanzo: a me personalmente è piaciuto in particolar modo l'affresco vivissimo della Sicilia baronale del XIV secolo, popolata da personaggi (fra i quali spicca una vivace Eleonora d'Arborea in viaggio diplomatico, alla ricerca d'alleati contro il comune nemico aragonese) destinati ad essere schiacciati o sottomessi nel 1420 dalla conquista dei re catalani, ma che nel 1372 erano al culmine del loro potere, anzi strapotere.
Meno interessante per me è invece risultato l'usuale tuffo nel mondo dell'esoterismo, con l'intervento di lamie (una della quali ha rubato ad Eymerich stesso il seme necessario a renderlo padre, dandogli una discendenza durata fino al XXXI secolo), urobori, larvae, e quant'altro abbia mai escogitato questa bizzarra branca dello scibile umano.
Al solito, la capacità straordinaria di Evangelisti sta nel riuscire a fondere in un impasto omogeneo, in cui appaiono altrettanto plausibili e credibili, fatti storici realmente accaduti, vicende romanzesche di pura invenzione, eventi di schietta fantascienza (con tanto di dislocazioni spazio-temporali, alle quali Eymerich reagisce senza batter ciglio: meschini trucchetti di Satana, nient'altro), e fantasie esoteriche. Queste ultime ci porteranno anche nel Castel dell'Ovo a Napoli, dando a Evangelisti occasione per altri sapidi ritrattini dell'Italia del XIV secolo, sia pure un po' più superficiali di quelli riservati alla realtà siciliana.
Personalmente
giudico questo romanzo all'altezza dei precedenti e in nessun modo deludente.
Prendo atto del fatto che qualche raro recensore possa averlo trovato deludente,
ma forse in questo caso il difetto stava più in attese irrealistiche
da parte di questi recensori che nelle qualità del romanzo.
Rex
tremendae maiestatis è infatti, dal punto di vista qualitativo,
perfettamente in linea con il resto della produzione di questo ciclo, anche
se, dovendo indicare il capolavoro della serie io indicherei Cherudek
più che questo romanzo. Che però di sicuro non collocherei
neppure in coda, come qualche recensore un po' faziosetto ha voluto fare.
A mio parere vale quindi pienamente l'acquisto e la lettura.