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Massimo Mongai, Il gioco degli immortali, "Urania" n. 1372, 10/10/1999.
 
Copertina di ''Il gioco degli immortali'', di Massimo Mongai.

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Tutto qui???

Vediamo se indovino.

Un signor Mongai partecipa quasi per gioco al "Premio Urania" con Memorie di un cuoco d'astronave, un gioiellino che lo catapulta al suo esordio fra i migliori scrittori di fantascienza italiani, e inaspettatamente lo vince.
Ed il suo libro ha pure successo commerciale, guarda un po'.

Un editore che non nominerò pensa allora di battere il ferro finch'è caldo, e vuole un secondo romanzo da pubblicare quanto prima, o almeno prima che il pubblico, sempre volubile, dimentichi il suo nome.
Mongai - che come ha dimostrato negli anni a venire, è lentissimo a scrivere - ha altri pistambrilli per la testa e butta giù un qualcosa tanto per far felice quell'editore, ma senza crederci più di tanto. Oppure, fruga spasmodicamente in fondo ai cassetti, e ci ritrova un tema scritto in terza media.
E fu così in questo modo che nacque Il gioco degli immortali...


Almeno, io me l'immagino così, la genesi di un'opera tanto inferiore a quella d'esordio, al punto da non sembrare neppure frutto dello stesso autore.

Si tratta fondamentalmente d'una rimasticatura in formato bigino del Ciclo del mondo del fiume di Philip José Farmer, portata avanti senza particolare originalità, che è stata innestata sull'abusato cliché fantascientifico del "ti svegli in un mondo alieno, senza sapere chi tu sia e cosa si voglia da te".

Mongai porta il suo protagonista a spasso per questo mondo alieno, che si scopre essere usato da una razza aliena per un gioco che contrappone un pugno d'immortali (se muoiono, vengono ricostruiti e ricominciano daccapo) e immense masse umane.

Esattamente come nel Ciclo del fiume metà dell'interesse del protagonista è focalizzato sulla scoperta dell'identità degli "dèi" che lo hanno resuscitato, fino alla scoperta (divertente) della loro identità.

Ci sono invenzioni graziose in più punti (molto inquietante, per esempio, il monolito-mondo autosufficiente in cui s'è asserragliata una immortale ormai paranoide), ma per il resto da un lato manca l'umorismo scoppiettante che caratterizza gli altri libri di Mongai, dall'altro lo svolgimento è abbastanza piatto e prevedibile.

Ed anche se il finale non è malaccio, arrivati all'ultima pagina la reazione è spontanea: "Ma è tutto qui?".

In ogni caso il libro ha almeno un vantaggio innegabile: chi fosse curioso di leggerlo lo può scaricare gratuitamente presso il "Progetto Manuzio".


 
 
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