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Pier Luigi Ferro, Messe nere sulla Riviera. Gian Piero Lucini e lo scandalo Besson, Utet, Torino 2010.
 
Copertina di ''Messe nere in Riviera'', di Pier Luigi Ferro.

[Saggio storico con tematiche lgbt]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un'interessante ricostruzione storica di uno scandalo del 1907.

Questo saggio affronta lo scandalo scoppiato a Varazze nel 1907 nel collegio dei padri salesiani, quando un ragazzo quattordicenne sconvolse non solo la cittadina ma l'Italia intera (durante una manifestazione sul caso ci scappò anche un morto!) con un diario nel quale registrava strani rituali, definiti "messe nere", comprensivi di allusioni ad atti sessuali tra sacerdoti, monache, e ragazzi e ragazze dei collegi da loro diretti.

Va detto subito a scanso di equivoci che il processo si concluse con la condanna per atti di pedofilia compiuti da due degli imputati (si vedano alle pp. 38-46 le sentenze, fin qui inedite, contro don Luigi Musso ed Edoardo Rola, entrambi latitanti), mentre gli altri la scamparono solo grazie a una norma, presente nel codice penale dell'epoca, che imponeva la chiusura dell'inchiesta se il genitore del minorenne avesse ritirato la querela.
Questa regola era stata prevista per permettere ai ricchi e ai potenti di cavarsi d'impaccio tacitando i genitori con denaro o con minacce, e logicamente non si vede perché gli imputati di questo caso non avrebbero dovuto avvalersene anche loro. Basti solo ricordare che nel medesimo anno Wilhelm von Plueschow tacitò nello stesso modo il padre del ragazzino dodicenne (Ernani Marinelli) che era stato imputato di aver "corrotto". Questa era l'Italia di allora.

Ciò premesso, il diario del ragazzino, tale Alessandro Besson, nato Carlo Marlario (di cui la Storia non ricorda null'altro, essendo sparito nel nulla con la madre subito dopo la conclusione dello scandalo), che viene pubblicato integralmente in questo libro per la prima volta (pp. 118-130) si rivela una creazione letteraria, che sembra uscita pari pari dai (noiosissimi) romanzi anticlericali dell'epoca, specie francesi, nei quali preti e suore celebravano strani riti orgiastici.
Come dimostrarono le risultanze del processo, al fondo dell'azione del ragazzino (che iniziò a scrivere il diario su richiesta della madre, a cui aveva chiesto d'essere tolto dal collegio perché disgustato da quanto vi accadeva) ci furono atti di "molestie" reali e documentate (per altri allievi), tuttavia è interessante vedere come, in un contesto sociale in cui le molestie sessuali contro i minori erano ampiamente sottovalutate (all'esatto opposto di quanto accade oggidì), il ragazzino abbia pensato bene di rendere interessante il proprio memoriale aggiungendoci alla rinfusa azioni che era certo che avrebbero, quelle sì, attratto l'attenzione degli adulti. Quindi nel testo troviamo alla rinfusa improbabili cerimonie pubbliche di oltraggio al re d'Italia e a vari politici assortiti, messe nere, per l'appunto, riti orgiastici e quant'altro.
Tutto questo per il semplice fatto di non poter dire "Mamma, don X mi tocca".


C'è da dire che qui Besson rivelò d'essere meno scemo di quanto la lettura del delirante diario farebbe pensare oggi. Figlio di nessuno (era un trovatello) si trovò ad affrontare la piena potenza di fuoco del partito clericale, che contava su giornali, scuole, politici, denaro, influenze. La Chiesa aveva scelto la linea per cui toccare un sacerdote implicava toccare l'intera istituzione, e Besson la prese in parola: per poterne accusare uno, li accusò tutti. In questo modo, se non altro, ebbe al fianco coloro che sulle molestie sessuali a uno sfigato trovatello non avrebbero avuto nulla da dire, ma a un attacco in grande stile alla Chiesa non sapevano resistere.
Accusato a sua volta, insultato (i giornali clericali lo chiamano apertamente "bastardo"), querelato per diffamazione assieme alla madre (ma sarebbe stato assolto, sia pure con l'escamotage poco onesto della semi-infermità mentale: cfr. la sentenza alle pp. 235-242) si trasformò in un batter d'occhio da vittima, in imputato.

Chiariamo subito che fino a pochi anni fa questa situazione si rivelò tragicamente comune a tutte le vittime di stupro, e non solo i ragazzini "toccati" nei collegi ma anche le donne aggredite con la violenza fisica. L'accusatore, per definizione più debole dell'accusato, finiva sempre sul banco degli imputati. Né con il caso Besson si fece eccezione.
Se fu possibile almeno una condanna, in questo caso, ciò avvenne solo perché l'imputato aveva masturbato bambini in un luogo pubblico (i collegi, assurdamente, non erano considerati tali), lo "stradale da Varazze a Cogoleto", ricadendo così sotto il reato di "atti osceni in luogo pubblico" per il quale si poteva procedere d'ufficio: solo per questo il giudice poté intervenire. E una delle vittime aveva appena nove anni...


Ciò detto, sarebbe un errore leggere questo saggio storico solo alla luce delle attuali polemiche sulla pedofilia dei preti. Sono diverse le leggi, il contesto, la sensibilità.

Il riflesso condizionato dell'istituzione ecclesiastica a "fare muro" e difendere a priori i propri ministri, non è cambiato da allora ad oggi, però oggi non è certo più possibile fare come un giornale clericale dell'epoca, che se la prese con un avvocato per avere accettato di (semplicemente) ascoltare la madre di Besson in merito alle rivelazioni del figlio. Per quella mentalità, la rivelazione di atti sessuali illegali non doveva neppure essere presa in considerazione, se coinvolgeva un prete.
E considerato quanto nella dottrina cattolica sia considerato grave il reato di sollicitatio (per il diritto canonico era uno dei reati per cui la vittima era obbligata a denunciare il fatto all'Inquisizione, in caso contrario le veniva negata l'assoluzione fino a quando non l'avesse fatto) la bizzarria di tale mentalità non può che stridere ancor di più con la feroce sessuofobia di cui diedero prova don Bosco e l'ordine da lui fondato. Non stupisce che le vittime di quei reati si sentissero prese in trappola, tra le fiamme dell'Inferno promesse con entusiasmo dai sacerdoti a chi avesse praticato certi atti, e il loro effettivo comportamento che a quegli atti li costringeva, o anche solo induceva.

In realtà, gli atti effettivamente compiuti nel collegio sono la parte meno interessante di tutto il libro. Gli interrogatori sono stati fatti opportunamente sparire da tempo da una provvida "manina" clericale, ma quel che appare nelle sentenze che ho citato sopra basta e avanza: letto uno di questi atti di vergognosi, furtivi e sporcaccioni atti sessuali, li hai letti tutti. Obbediscono a un copione quasi prefissato. Fondamentalmente, non c'era gran differenza tra le manovre dei pedofili in tonaca e quelle dei pedofili senza tonaca di quel periodo, che ho avuto modo di leggere all'Archivio di Stato di Milano mentre davo una mano ad Enrico Oliari nelle ricerche per il suo saggio L'omo delinquente: vi prevale sempre l'abuso di posizione e di forza, la vittima è sempre scelta perché subordinata o non in grado di reagire (si pensa).

Va altresì notato che questa documentazione degli archivi giudiziari è sempre fortemente partigiana e distorta: solo in casi particolarmente sfortunati, infatti, gli atti compiuti con il consenso della "vittima" e con reciproco godimento finivano all'attenzione della polizia. È così significativo che nel processo di Varazze, per esempio, non si faccia mai menzione delle attività sessuali fra i ragazzi, che da chiunque abbia fatto l'esperienza del collegio sappiamo essere endemiche. Cosa che era peraltro nota anche ai contemporanei dei fatti di Varazze, tanto che fin dal 1898 Giulio Obici e Giovanni Marchesini avevano pubblicato una monografia sul tema (Le "amicizie" di collegio. Ricerche sulle prime manifestazioni dell'amore sessuale, Dante Alighieri, Roma 1898), che fu molto letta e molto citata.

È lo stesso memoriale di Besson a suggerire l'esistenza d'una fittissima trama di pettegolezzi, rivelazioni e ciarle di tema più o meno sessuale fra i ragazzini: non potendo io accettare l'idea che davvero i docenti in tonaca fossero tanto cretini da proclamare in classe e dalla cattedra l'effettuazione delle presunte "Messe nere", come il diario afferma, ci resta da pensare che la circolazione incontrollata di tali voci nel collegio potesse venire solo dagli studenti. With a little help dalla società esterna, ovviamente: non ho idea di che libri o riviste si procurasse sottobanco Besson, ma la definizione stessa di "Messe nere" nel senso di orge era assai comune nella pubblicistica scandalosa dell'epoca: si pensi solo al processo subito nel 1903 da Jacques d'Adelswaerd Fersen (l'"esule di Capri" di Peyrefitte). I giornali titolarono di fantasmagoriche "Messe nere", appunto.


Il caso di Varazze fu una specie di psicodramma politico collettivo, in cui tanto i preti quanto gli anticlericali agirono senza il minimo riguardo per i fatti, e soprattutto per i diritti dei minori coinvolti, che divennero rapidamente ostaggi dei due partiti in conflitto.

L'autore ha scelto una prospettiva piuttosto curiosa nell'affrontare l'evento, presentandolo fin dal sottotitolo come il pretesto da cui un letterato che fu piuttosto celebre a quell'epoca e di cui è in corso la riscoperta, Gian Pietro Lucini, intendeva trarre un instant-book (che non vide mai la luce perché Lucini "perse il treno" dell'attualità e si mosse quando ormai il pallone si stava sgonfiando).
È proprio fra le sue carte che è stata trovata la copia superstite del diario di Besson, assieme a una nutrita documentazione che ha permesso a Ferro di scatenare ad ampio raggio le sue ulteriori ricerche d'archivio.

Devo dire che trovo alquanto bizzarra questa prospettiva, dato che inevitabilmente, per poter parlare di Lucini, occorre prima ricostruire lo scandalo (cosa che non era mai stata fatta prima, se si eccettua un capitolo nel già citato Omo delinquente di Enrico Oliari), ed alla fine il libro parla più dello scandalo che di Lucini.
Tuttavia non è difficile capire come Ferro abbia fatto di necessità virtù: il mercato editoriale e il mondo accademico italiano sono stati, fino ad oggi, ostinatamente chiusi alle ricerche sulla storia della sessualità, per cui contrabbandare uno studio storico su un fatto di costume come se fosse un'innocua indagine letteraria su un poeta del XX secolo è stata certamente una mossa scaltra, e non una bizzarria.

Ferro ha potuto così con agio ricostruire non solo gli eventi stessi, ma anche la spropositata reazione politica che lo scandalo suscitò, andando e infilarsi nelle polemiche fra clericali (che il capo del governo, Giolitti, stava in quel periodo corteggiando in chiave anti-socialista, con una manovra che avrebbe finito per essere coronata dal successo) ed anticlericali, che volevano evitare quella resa al clericalismo che invece sarebbe stata la fatale conseguenza delle manovre giolittiane, e che tanto avrebbe pesato sulla storia successiva della povera Italia.

Ferro ricostruisce con diligenza e grande professionalità sia la dimensione politica sia quella letteraria dell'avvenimento, e di questo non si può fare altro che rendergli merito.
Tuttavia, a causa del taglio prescelto, trascura proprio il dato centrale, ossia la rilevanza per la storia della sessualità in Italia, che continua a rimanere tabù.
Per questo motivo Ferro, pur inciampando nei nomi di Eulenburg e di Fersen (p. 163) non parrebbe interessato più di tanto al fatto che il 1907 fu un anno clou nel dibattito/scontro sull'omosessualità, inanellando una serie di scandali che sconvolerso l'Europa, di cui lo scandalo di Varazze fu solo uno dei tanti episodi.
La mamma di tutti questi scandali è quello Moltke-Eulenburg, che avrebbe avuto conseguenze durature sulla politica internazionale della Germania e avuto un ruolo nello scoppio della prima guerra mondiale. Ma possiamo citare anche lo scandalo e il processo che portò alla condanna di Wilhelm von Plueschow e del suo assistente Vincenzo Galdi, questo scandalo di Varazze e quelli di Alassio e Fossano.

La mia interpretazione è che in queste "ondate di marea" (un'altra delle quali si verificò nel 1902) la risacca risucchiasse via lo strato di omertà e reticenze, con le quali la società copriva le realtà omosessuali, che altrimenti erano sì note a tutti ma che erano letteralmente ne-fande, ossia tali che il solo parlarne era colpito da sanzione sociale.
Il ritirarsi della marea metteva provvisoriamente a nudo ciò che aveva coperto fino a quel momento, portandolo al livello della "parlabilità", tanto che in questi periodi la nostra documentazione storica diventa straordinariamente ricca, salvo poi ricadere di botto nella "congiura del silenzio".
Ferro stesso segnala per esempio (p. 64) come, a strascico di questo scandalo, la stampa abbia parlato (fortunatamente, con maggiore sobrietà) anche di altri scandali omosessual-pedofili nei collegi di Alassio e di Fossano.

Io ho l'impressione che gli stessi padri salesiani di Varazze siano stati presi di sorpresa dal fenomeno, dato che non posso pensare che un ordine spregiudicato e realista come il loro non avesse coscienza del fatto che un certo livello di attività sessuali nei collegi era ineliminabile, un "rumore di fondo" dovuto alla stessa natura del collegio, che segregava e concentrava centinaia di ragazzini nell'età del risveglio della sessualità. In fondo, l'ossessione maniacale di don Bosco verso le "cattive compagnie" che portano a macchiare la "purezza" è un riconoscimento in negativo della gravità del "problema"
Né è pensabile che non lo sapessero i loro genitori, che dai collegi erano passati a loro volta: la letteratura memoriale dell'Ottocento trabocca di amori collegiali, e non di tipo casto. È quindi ovvio che tutti "sapevano", sia fra i sacerdoti che fra i genitori che, ovviamente, fra i ragazzi: ma l'accordo tacito per cui certe cose si fanno ma non si dicono (Si fa, ma non dice è anche il titolo di una canzonetta d'anteguerra) di non parlarne venne meno all'improvviso, sulla (contro)onda del 1907, rendendo per breve tempo dicibile l'indicibile. La gazzarra mediatica su Varazze si colloca proprio in questa fessura nella "congiura del silenzio".


La gazzarra non si concluse affatto con la piena assoluzione dei salesiani, come scrissero e tuttora scrivono i cattolici che rievocano l'episodio di Varazze, bensì con due condanne e una serie di remissioni di querela. I due Besson furono a loro volta querelati per diffamazione, e assolti (per una sorta d'"incapacità d'intendere e di volere") e a questo punto i salesiani alzarono la posta querelando a raffica tutti i ragazzi i cui genitori avevano ritirato la denuncia (mai fidarsi dei preti!) ma il tribunale dichiarò irricevibili le tardivissime querele. La mia impressione è che il tribunale in questo modo intendesse sanzionare una specie di "pari e patta, e finiamola qui": i due Besson erano ormai espatriati perché la vita per loro era diventata impossibile, il collegio aveva riaperto già pochi giorni dopo i fattacci, i preti pedofili condannati erano contumaci, e tutti erano stufi del fanatico accanimento dimostrato dagli uni e dagli altri.

Prevedibilmente, nulla fu fatto per porre rimedio alle violenze sessuali da parte dei sacerdoti e dei loro assistenti ai danni dei ragazzini, a parte sostituire gli insegnanti condannati e fuggiti (e ci sarebbe mancato altro), e solo al giorno d'oggi alla Chiesa viene chiesto il conto di questo atteggiamento che è, purtroppo, una tradizione secolare.
Ma invece di prendersela con la Chiesa, bisognerebbe chiedersi perché alla società andasse bene che ciò avvenisse visto che, insisto, la società non poteva non sapere.
Bisognerebbe chiedersi per quale motivo il padre di Ernani Marinelli si lasciasse comprare per ritirare la denuncia ai danni di Plueschow (che fu poi condannato per prossenetismo e produzione di foto pornografiche, ma non per quell'atto). Per quale motivi i genitori di Varazze abbiano messo i loro figli daccapo nelle mani di coloro che non avevano visto e non avevano sentito i maneggi di don Luigi Musso (e anche se non aveva mai celebrato nessuna "Messa nera", non era comunque una colpa da poco, per dei responsabili!).
O se vogliamo proseguire, per quale motivo i genitori di allora fossero tanto tranquilli e paciosi nell'affidare figli ultraminorenni a personaggi notoriamente omosessuali, come quelli del quindicenne Nino Cesarini che nel 1904 andò a vivere con Jacques d'Adelswärd-Fersen a Capri dopo che costui aveva dovuto fuggire da Parigi proprio a seguito del processo delle Messe Nere. E se perfino Lucini (p. 163) nella sua polemica contro i salesiani di Varazze appena tre anni dopo citava "le orgie di Capri dei De' Fersen", è possibile che i genitori di Cesarini non avessero proprio nulla da eccepire?

La mia risposta è che: la sessualità dei minori non importava. Per la società d'anteguerra, a differenza di quanto avviene oggi, era un dato di fatto che i bambini e i ragazzini avevano pulsioni sessuali. Mica per altro i collegi (tutti, anche quelli laici) erano gestiti come mini-lager, con lo scopo dichiarato d'impedire che certe cosacce avvenissero. Ma la sessualità all'epoca era un privilegio, a cui il bambino, in quanto essere di seconda categoria, non aveva il diritto. Punto.
Con questa logica, era dato per scontato che cercasse in qualche modo, in qualsiasi modo, di sfogarla, e ciò era perfettamente ok per la società fin tanto che il minore rimaneva lontano dalle donne, e dal rischio di introdurre "bastardi" in famiglia, con tutte le spiacevoli conseguenze finanziarie, matrimoniali, sociali e politiche che ciò poteva causare.
In parole povere, l'omosessualità fra e dei minori era considerata un male... minore. Un male, per carità, ma ineliminabile, parte inscindibile della natura umana.

A sostegno di questa mia lettura sta l'incredibile inciso nella relazione dei due periti, favorevole ai salesiani di Varazze, che giudicando non attendibile il diario di Besson, non esclusero tuttavia "il sospetto di qualche fatto reale di corruzione come sempre ne avvengono in tutti i collegi" (p. 220).
Si noti: avvengono "sempre", e in "tutti" i collegi.
Dunque, lo si sapeva benissimo. Ma lo si considerava inevitabile, e di scarso motivo d'allarme.


Di tutto questo il libro di Ferro non discute, dato che il taglio che si è dato nell'impostare l'opera glielo impedisce.
Tuttavia se non altro Ferro fornisce diligentemente i dati a partire dai quali ho basato queste mie considerazioni, e bisogna essergliene grati, dato che praticamente tutto ciò che pubblica è stato fin qui inedito dopo il 1907.

Quando, alla buon'ora, anche le altre tessere del mosaico della storia della sessualità dell'Italia post-unitaria saranno state collocate al loro posto, questo volume di Ferro risulterà senz'altro uno dei pilastri su cui fondare ulteriori ricerche ed ipotesi, vista la serietà e l'acribia del lavoro di riscostruzione svolto. Per il momento, però, non era negli obiettivi dell'autore andare oltre la raccolta ed esposizione del materiale documentario, se non per quanto gli servisse per chiarire il rapporto fra eventi e scritti di Lucini ad essi dedicati. Ed alla fin fine ciò risulta comunque utile, dato che Lucini ne scrisse molto, al punto da diventare anch'egli "fonte primaria" per le ricerche degli storici futuri.
I quali saranno certo grati all'instancabile Ferro per il fatto di aver ripubblicato in una serie di ricche appendici ai vari capitoli molti documenti, da articoli di giornale a sentenze, a "lettere aperte" di Lucini sull'evento con le risposte che scatenarono, fino all'esilarante poema "A Varazze".

Il quale, iniziato con un panegirico liricissimo della cittadina colmo d'immagini ricercate e preziose, esplode all'improvviso nella satira nella parte finale:

"Salve chierici dotti ed ameni
che insegnate la Storia d'Italia
sul testo di don Bosco e i latinetti,
discorrendo socraticamente lungo i giardinetti
e le soffici arene del mare,
oh, quanto prone, profumate e care
al commento morale e impersonato
dal filosofo nuovo all'intontito Batillo provinciale.
(...)
Bella e arguta città di Liguria
dove ciascuno, impune,
dà noja al suo vicino con metodo sapiente
e n'è annojato reciprocamente" (pp. 203-204).


Resta il fatto che dopo aver letto le fantasmagorie del diario di Besson si rimane turbati dal pensiero che si vorrebbe che certe follie fossero relegate al passato, mentre invece si ripropongono anche al giorno d'oggi. Basterebbe leggere i deliranti verbali del processo dell'asilo di Rignano per chiedersi come sia possibile che un pubblico ministero abbia potuto credere a quelle che sono palesemente fantasie di bambini. E quando dico "fantasie" non penso alla dichiarazione di un bambino che dice che il maestro lo tocca (prima di dire che mente, indagare è un dovere, morale prima che legale). Penso a quelle di un caso che ho conosciuto di persona, in cui un maestro s'è fatto due anni di arresti domiciliari, salvo poi essere assolto, perché un bambino aveva dichiarato che costui si nascondeva nella tazza del wc travestito da Mastro Lindo e ne usciva a sorpresa per toccargli il pisellino. Due anni per scoprire che non è fisicamente possibile nascondersi dentro la tazza d'un wc?

Siamo una società che da un lato non ha ascoltato per secoli i bambini (e le donne!) che denunciavano le violenze che subivano, facendo imputati delle vittime, e che dall'altro ha perso la testa relativamente alla sessualità minorile inventandosi "messe nere" pedofile che nulla hanno ad invidiare a quelle di Besson. Il caso dei "bambini di Satana" montato dalla stampa a Bologna a partire dal nulla, di cui ha trattato il libro Lasciate che i bimbi, da questo punto di vista, è emblematico.

E non consola pensare che oggi i preti e le suore costituiscano una buona percentuale delle vittime innocenti della "caccia alle streghe" che proprio loro hanno scatenato e delle bubbole omofobiche che hanno sparso per decenni. Una persona innocente, accusata di reati che non ha commesso, è comunque una vittima che va difesa. Anche quando è "causa del suo mal".
Ma questo è già un altro discorso.


 
 
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