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Oltre la visibilità: la "fosforescenza" gay
[Inedito a stampa; già sul sito "Mondo Queer", 26/12/1999]

di: Giovanni Dall'Orto


[Nota del luglio 2004: questo articolo fu scritto nel 1999, cioè prima del World Pride del 2000, che fu il momento del cambiamento che auspicavo in queste righe. Per molti versi questo pezzo è [a parte le conclusioni] superato, dopo il World Pride: 300.000 persone in piazza hanno messo a tacere per sempre la pretesa secondo cui i gay non sono un gruppo sociale. Fu una lezione di visibilità per centinaia di migliaia di partecipanti, e per milioni di persone che seguirono il dibattito: dopo il World Pride, per la generazione più giovane l'importanza della visibilità è molto più scontata di quanto non lo fosse nel 1999.
Prima, chi sosteneva l'importanza della visibilità giocava in difesa, oggi è chi si ostina a negare l'importanza della visibilità ad essere in difficoltà. Moltissimi gay oggi non negano più che sia una cosa importantissima  (il World Pride lo ha (di)mostrato in modo indiscutibile); al massimo si limitano a negare che sia possibile per loro stessi...
Come si vede, c'è ancora molta strada da fare. Ma (ri)leggendo oggi questo articolo si nota che almeno un pezzo di strada è stato fatto].


Sui giornali delle settimane scorse [del 1999] abbiamo letto vari attacchi alle proposte di legge contro la discriminazione dei gay.

Chi conosce il mondo gay ha letto con una certa sorpresa, se non divertimento, gli editoriali omofobi che presentavano una losca lobby omosessuale compatta, numerosa, aggressiva, con idee chiare.
Tutti i gay sanno che la realtà è l'esatto contrario: quella gay è una comunità divisa, sparuta, dalle idee confuse, più dedita agli scontri interni che allo scontro con i suoi veri nemici.

Ma al di là dei sorrisi per tanta ingenuità è pericoloso non cogliere questo segnale: fino a pochissimo tempo fa la lotta antiomosessuale s'è svolta con la tattica opposta: negando l'esistenza d'una comunità omosessuale con identità propria, negando l'esistenza degli omosessuali come gruppo sociale, negando l'esistenza d'una "questione" e d'un "problema" omosessuale.

Chi ha partecipato in passato alle battaglie contro l'Aids ricorderà immediatamente gli anni in cui il problema numero uno era l'atteggiamento di amministratori pubblici disposti a riconoscere i gay come singoli individui, ma non come gruppo, "categoria" o lobby che dir si voglia, di solito nascondendosi dietro l'alibi di non volerlo fare per non "ghettizzarli". Da qui il rifiuto di riconoscere che le persone omosessuali potessero avere linguaggi, valori, comportamenti diversi da quelli della popolazione generale, da qui il rifiuto di campagne rivolte specificamente ai gay.
Da qui mille altri problemi..
.
Questa strategia non è stata abbandonata, sia chiaro: per esempio ha circolato molto in questo periodo la tesi secondo cui una legge antidiscriminazione contro i gay sarebbe superflua: tanto la protezione da discriminazione basata sul sesso è già prevista dalla Costituzione. Chi l'ha detto (Guiglia su "il Giornale", Montanelli su "Oggi", Liverani sull'"Avvenire") ha mentito sapendo di mentire, dato che la giurisprudenza ha già chiarito che nella Costituzione e nelle leggi italiane "sesso" indica il genere, cioè la differenza fra maschio e femmina, e non la tendenza, cioè la differenza tra omo/bi/transessuali ed eterosessuali.

È però nuovo, e preoccupante, che accanto a questo ferrovecchio dell'omofobia sia apparso un altro argomento nuovo di zecca, che prende atto del fatto che l'omosessualità non può più essere combattuta e repressa a livello di individui.
E così ecco lo spettro della massa/plebaglia/lobby gay ben organizzata, bene armata, ideologicamente compatta, pronta a dar l'assalto alla società "normale", e ben decisa a discriminare gli indifesi eterosessuali.

Questa visione ideologica è tanto caricaturale che non so quanti eterosessuali stessi le avranno creduto. Ma ciò non toglie il fatto nuovo: la percezione dell'omosessuale nella società è cambiata. Gli omosessuali sono ormai percepiti sempre più come gruppo sociale: un gruppo discriminato e portatore di "nuovi diritti" per una parte della popolazione, una pericolosa "quinta colonna" al lavoro per minare la società per un'altra parte della popolazione, o una massa amorfa di chiassose macchiette con strane pretese per i più... ma comunque sia: un gruppo sociale.



Questa evoluzione colpisce ancora di più in quanto l'unica parte della società italiana che non sembra disposta a vedere la realtà gay in questo modo è proprio il mondo gay, a iniziare dal movimento stesso di liberazione omosessuale.
Manifestante a Como - 22-5-2004
Manifestante a Como - 22-5-2004

Non è la prima volta che esprimo l'opinione secondo cui il movimento gay che conosciamo appartiene ad una fase ormai superata, e ciò solo per il fatto che ha già realizzato da tempo gli obiettivi che si era prefisso. Per questa ragione ha bisogno di "andare oltre" i vecchi obiettivi, senza attardarsi a ripetere battaglie, slogan, modi di pensare e perfino modi di organizzarsi che sono stati utili in passato ma ora non lo sono più.

Il modello di movimento gay che abbiamo conosciuto fino ad oggi funziona (e questo senza la minima differenza tra gruppi, sia che si tratti di Arcigay,di Mario Mieli, di ex-Cobagal, di Arcilesbica...) sul modello di una "base" che concede amplissima delega a un ristrettissimo numero di individui, che sono i soli a possedere ciò che manca alla massima parte del mondo gay: la visibilità.

Questa "base" è dispostissima ad avere poca voce in capitolo nella gestione delle cose, in cambio però del "diritto" a non doversi mai esporre in prima persona, a disinteressarsi delle battaglie pubbliche (fatto salvo il diritto di mugugnare che "a vedersi in giro sono sempre le stesse quattro facce e uffa che pizza").

Questo patto tacito ha creato una struttura che tende ad autoperpetuarsi, sia pure inconsciamente, cosicché nei gruppi gay, con pochissime, troppo poche eccezioni, sono maggiormente apprezzati i soci che partecipano senza pretendere iniziative che costringerebbero gli altri soci a "venir fuori", accontentandosi d'un uso "ricreativo" e "dopolavoristico" del circolo politico stesso.
Ciò comporta anche l'allontanamento dei "mestatori" che "pretendono" una maggiore visibilità, in questo modo impoverendo il movimento gay proprio di coloro che dovrebbero esserne, in futuro, le "punte di lancia".


In effetti, se analizziamo cosa accomuni tutti i gruppi gaylesbotrans italiani, nella loro variegata diversità troviamo un solo punto in comune: sono tutti strutturati in modo da funzionare in modo che un piccolissimo nucleo visibile gestisca l'attività pubblica, permettendo a una grossa, molto grossa maggioranza di frequentare il circolo in modo "velato", senza fare il coming out neppure in famiglia.
Questa è un'anomalia solo italiana, dato che in tutto il resto dell'Occidente il movimento gay è il fulcro della battaglia della visibilità gay, dell'identità gay e della fierezza gay, mentre sono i locali commerciali ad offrire rifugio anche ai "velati".

Peggio: in Italia alcuni locali commerciali (pochi) sono ormai, sul piano dei punti "fondamentali" del mondo gay come appunto visibilità, fierezza e identità gay, più avanti di alcuni circoli "politici" gay.
Se le cose continuano ad andare avanti così, oggi come oggi farà più per la "causa" gay un bar gay con vetrina sulla strada di quanto faccia un circolo "politico" nascosto in una cantina e senza targhetta sul citofono perché "non si sa mai".
Dunque: c'è qualcosa che non va.

Intendiamoci: se la massa dei soci è a favore della "velataggine", un movimento gay che esprime posizioni da "velate" è solo un movimento democratico, e nient'altro.
Ma è perfettamente democratica anche una campagna d'opinione (che oggi manca), da parte di coloro che sanno che la "velataggine" è un vicolo cieco, per convincere gli altri gay di questo fatto, in modo che i favorevoli alla visibilità diventino infine maggioranza e il dibattito possa smuoversi dalla sabbie mobili in cui ristagna da troppi anni.


Ho accennato al fatto che ogni nuova realtà sociale, gay e non, tende fatalmente ad autoperpetuarsi, anche quando l'elemento di "novità" che conteneva all'inizio è ormai svanito.
Ebbene: un movimento gay aperto anche ai non-"militonti", cioè al gay della strada, al gay che aveva da condividere più paure e timori che certezze e sogni rivoluzionari, è stato a suo tempo una grossa novità. Grazie ad esso è stato possibile per la fase attuale del movimento gay prendere il posto di quella precedente. Da un movimento di cinquecento persone "dure e pure" si è passati ad un movimento di venti o trentamila persone forse molto meno politicizzate, ma che per la prima volta nella storia gay italiana sono "massa".
Solo questo ha permesso di radunare [nel 1998] ben diecimila persone per un gay pride nazionale a Roma: un numero ridicolo se fossimo stati in Germania, ma inaudito per la storia italiana.

Questa struttura ha permesso di dimostrare a noi stessi e alla società eterosessuale che gli omosessuali non sono un pugno di eccentrici sparsi, bensì una massa, con esigenze sociali.

Ma proprio perché la società ha infine preso atto di tale dato, occorre andare oltre, occorre rispondere in modo adeguato alle domande che ci fa. Se abbiamo insistito per vent'anni a dire che i gay "sono dappertutto", adesso la società si guarda intorno per cercarli... e non ne vede. Perché sono "dappertutto" sì, ma velati, velatissimi.
Ed ogni omosessuale velato è in realtà un eterosessuale dichiarato: dunque non è.
Dunque non ha problemi come gay.
Dunque non ha diritti.
Dunque conferma il fatto che le richieste del movimento gay sono un bluff, sono "superflue", appunto, come ci siamo sentiti ripetere in queste settimane.
 

Ragazzino che osserva travestito al Gay Pride di Como (1999)
Un bambino osserva perplesso Margot vestita da sposa 
al Gay Pride di Como, 22-5-1999 [foto Dall'Orto].

È arrivato il momento in cui il mondo con cui hanno trattato i nostri portavoce chiede di "vedere" il bluff. Occorrono le unioni civili perché migliaia di coppie gay le chiedono? Bene, vediamo questa coppie. Un sito Internet (http://www.unionicivili.org [nel 2004 non esiste più, NdA]) si vanta con comunicati stampa d'aver raccolto in una settimana l'adesione di ben 250 coppie che spasimano per l'unione civile? Bene, corro a leggere i nomi di queste coppie pioniere... ma ahimè, no, non posso leggerli: i nomi sono segreti. Segreti? Ma allora esistono davvero, o no?

No, non sto insinuando che non esistano; dico solo che se in nostri avversari mettessero in dubbio che esistono avrebbero tutto il diritto di farlo. A proclamarsi vincitore della partita senza mostrare le carte sono buoni tutti...
A questo livello renderebbe politicamente di più avere solo dieci coppie, ma dichiarate, cioè che appaiano a viso aperto a dire le loro ragioni, piuttosto che vantare il sostengo d'una coorte di diecimila fantasmi che popolano solo il mondo delle ombre.

Eppure gli organizzatori del sito sopra citato, a segnale di quanto la "velataggine" sia ormai connaturata al mondo gay, non hanno neppure offerto la scelta fra il rendere pubblici i nomi o tenerli segreti. Hanno dato per scontato che le unioni civili o saranno occulte, o non saranno.
Mentre le unioni civili che chiediamo, in quanto atto pubblico analogamente al matrimonio, o saranno pubbliche o non saranno unioni civili.


A quanto appena detto s'aggiunge un altro elemento che sta emergendo con chiarezza. La contrapposizione fra movimento gay da un lato e mondo dei locali gay commerciali dall'altra, molto cara a una parte dei circoli gay, è stupida è futile, come dimostra il fatto che poi i circoli gay più accanitamente ostili ai locali vivono dei proventi della gestione d'un locale gay.

La realtà è che oggi la distinzione non corre più come un tempo fra circoli (buoni) e locali (cattivi), bensì fra realtà che favoriscono la visibilità l'identità e la fierezza gay (siano essi locali, circoli o semplici gruppi di amici) e quelli che non la favoriscono, e spesso - peggio - terrorizzano il nuovo arrivato per dissuaderlo dal coming out.
Troppi circoli politici gay oggi accolgono i nuovi arrivati con un'accoglienza solo intimistica, surrogato di confessione cattolica, senza chiedere di mettersi in discussione sui temi della visibilità, del coming out, dell'accettazione di sé. Ciò perché le persone che accolgono sono esse stesse per lo più "velate", e non hanno risolto loro, in prima persona, tali problemi.

Troppi circoli politici gay affidano ormai la preparazione di chi farà accoglienza a psicologi, psichiatri, psicoanalisti - cioè i preti laici che tradizionalmente sono stati e sono usati per reprimere gli omosessuali - anziché a persone che abbiano fatto un percorso chiaro di autoaccettazione con cui sia possibile, per il nuovo arrivato, confrontarsi. Affidandosi agli "sciamani" i circoli dichiarano a priori, senza accorgersene, che i problemi del gay che arriva a un circolo sono problemi psicologici, di turbe magari psichiatriche, di turbe di evoluzione mentale: problemi individuali, comunque, non certo sociali, non certo politici. Se stai male è perché sei squilibrato, e non perché vivi in una società squilibrata.

In questo modo la dimensione sociale dell'oppressione dei gay sparisce, inghiottita dall'assurda impostazione per cui a chi accoglie i nuovi arrivati si chiede di sapere la differenza tra fase orale e fase anale secondo Freud, ma non di conoscere la storia del movimento gay.
Il risultato è scontato: lunghe psicoanalisi, e nessun coming out.
Così in certe città frequentare il movimento gay è addirittura controproducente per l'acquisizione d'una chiara e serena identità gay.


Come possa questo movimento gay sostenere in piazza, oggi o domani, una legge per le unioni civili o contro le discriminazioni è un mistero che va al di là della mia capacità di comprensione.
Palesemente questo è un vicolo cieco. Questo movimento è già fallimentare oggi: non perché non abbia mai avuto un senso, ma perché ha finito di averne - perché ha già ottenuto quel che chiedeva. I nostri interlocutori ci chiedono ora una tipologia di omosessuale che il movimento gay oggi non è in grado di offrire. E se non lo troveranno qui, andranno a cercarlo altrove.

Al Gay Pride di Como, 22-5-1999.
Al Gay Pride di Como, 22-5-1999 [foto Dall'Orto].


Quale "altrove" io non lo so: non sono un veggente. Ma anche se non so leggere il futuro, conosco il passato e vivo il presente.

L'epoca della semplice, banale visibilità (che pure è una conquista al di là della portata del 90% dei gay italiani) è già tramontata: oggi ci viene chiesta la... fosforescenza. Cioè la presenza visibile nella società sempre: anche quando i riflettori sono spenti, anche al buio, pena la liquidazione delle nostre richieste come "irrilevanti".
O i gay divengono una componente visibile della società italiana, cioè visibile al di fuori del "Maurizio Costanzo show", o divengono una non-entità che ha solo non-problemi.

Il futuro, piaccia o no, è già cominciato. Il treno si sta formando, e ci saliranno solo quei gruppi e individui che sapranno cogliere la sfida della "fosforescenza gay".

Di tutti gli altri ci ricorderemo con simpatia fra vent'anni nei libri di storia del movimento gay, come ci ricordiamo dei dinosauri visitando i musei di storia naturale, e niente più.



Tratto dal sito: "Mondo Queer", 26/12/1999. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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