Possiamo rifarlo
da "Pride" n. 16, ottobre 2000, pp. 20-21.
di: Giovanni Dall'Orto
Una parte delle incertezze in cui si dibatte il movimento gay oggi è dovuta al fatto che è finita una fase della sua evoluzione. Il World Pride ha però mostrato che la nuova, terza fase, è già partita.
Una riflessione.
Massimiliano Colombi, presidente dell'Arcigay di Milano, legge
dei risultati insperati del World Pride, il giorno dopo.
Quando il movimento gay nacque, nel 1972, l'obiettivo più urgente era spiegare alla società che esisteva un "problema omosessuale".
Per gli italiani di allora gli omosessuali erano o viziosi e delinquenti da reprimere, oppure malati da compatire. Sentendo parlare di "diritti civili" di queste persone reagivano come faremmo noi oggi a sentir parlare dei diritti civili dei sequestratori di persone...
La prima fase del neonato movimento si concentrò perciò nell'aprire gli occhi alla società sul fatto che esisteva un problema che riguardava i cittadini gay, che non erano né malati né delinquenti. E che avevano il diritto di parlare dei loro problemi: oggi si fatica a capire quale censura esistesse sul tema gay: il fatto stesso di parlarne era considerato "contrario al comune senso del pudore"! La provocazione e lo scandalo furono perciò usati a piene mani per obbligare i giornalisti recalcitranti a parlare dei gay.
Questa "prima fase" fu combattuta da un nucleo molto preparato e coraggioso, ma anche spaventosamente piccolo (un solo dato: "Lambda", la rivista "nonna" di "Pride", vendeva nel 1980 circa 500 copie ogni due mesi, al confronto delle 50.000 copie al mese tirate oggi complessivamente dalle cinque riviste gay italiane).
Eppure, nonostante le difficoltà, alla fine del decennio la società italiana s'era rassegnata all'esistenza d'una "minoranza omosessuale", i mass-media avevano iniziato a parlarne… e il movimento gay era in crisi! I collettivi che si scioglievano, vivacchiavano, nessuno rimpiazzava i militanti che se ne andavano, il fermento sbolliva anno dopo anno.
Perché? Ma proprio perché bisognava cambiare obiettivi dopo che quelli vecchi erano stati raggiunti; eppure troppi militanti (specie i leader) s'erano adagiati nei rituali ormai familiari, senza badare al fatto che i tempi erano ormai cambiati.
La situazione si sbloccò solo con la nascita e affermazione dell'Arcigay, nel 1980-1982: un movimento meno "d'avanguardia" di quello precedente, ma anche, proprio per questo, molto più "di massa".
Dopo qualche anno d'incertezza, con lo scoppio nel 1985 della crisi dell'Aids (che fu letteralmente la fine di un'epoca… e fisicamente anche di una generazione di gay, purtroppo), i fatti dimostrarono che la politica dell'Arcigay era vincente.
Si aprì così allora la seconda fase, caratterizzata dalla necessità di sfruttare le aperture conquistate nella fase precedente.
Per fare un solo esempio, prima del 1985 era inconcepibile che un "frocio" andasse a parlare in TV. L'Aids però concluse il processo di "sdoganamento" dei gay: dapprima come folcloristici esponenti degli esotici "gruppi a rischio"; poi come i ben più seri protagonisti di un dibattito sociale di grande urgenza.
Questa seconda fase, che è appena terminata, s'è giocata su tre punti.
Ma chiedere cosa?
Non sono un guru e quindi, banalmente, non lo so.
La decisione di cosa sia più urgente e importante per il mondo gay spetta al mondo gay stesso, e vedremo nei prossimi anni come si svilupperà il dibattito.
Tuttavia anche senza essere un mago non è difficile vedere in che direzione stia andando il mondo gay.
La società gli chiede una presenza molto più capillare: ad esempio non ci sono abbastanza gay per andare in tutte le scuole che propongono dibattiti sulla tematica gaylesbica...
Nel bel mezzo di questa evoluzione è arrivato come un fulmine il World Pride, ed ha segnato uno spartiacque simbolico, funzionando come una luce che ha svelando ciò che nascondeva il buio in cui ci trovavamo.
Il World Pride ha dimostrato che calare le braghe è una mossa vincente solo nelle dark, e non anche sul terreno politico...
Se avessimo seguito chi consigliava sottomissione, non avremmo ottenuto nulla. Al contrario mostrandoci fieri di essere quel che siamo, abbiamo meritato anche la solidarietà degli etero (una buona metà dei manifestanti non era gay), senza la quale noi che siamo solo una minoranza non otterremo mai l'approvazione di nessuna legge a favore dei nostri diritti civili.
Il mondo etero però per parlare con noi si aspetta di trovarsi di fonte a gay che sanno di essere tali (hanno cioè un'identità gay), non si vergognano di essere tali (hanno cioè la fierezza gay), e ovviamente nel trattare con loro non nascondono di essere quel che sono (hanno cioè la visibilità).
Queste tre saranno quindi le parole d'ordine minimali della terza fase.
Nella nuova fase, semplicemente, non ci sarà più posto per chi non si riconosce in questo "programma minimo", perché i nostri interlocutori non capiscono i cavilli per non farlo dato che loro, gli etero, hanno sia identità che fierezza che visibilità. E vai a spiegar loro perché un gay militante deve vergognarsi d'essere gay!
Per finire una postilla. Il World Pride ha finalmente riportato l'Italia alla condizione di "Paese normale": infatti le 200.000 presenze che ci hanno fatto sognare sono la cifra normale dei gay pride di tutte le grandi capitali europee.
Era semmai la presenza di 10.000 persone ai gay pride italiani precedenti ad essere un'eccezione. Il fatto che queste 200.000 persone ci fossero, finalmente, mostra da sola che s'è sbloccata una situazione, una fase, che non riusciva ad evolvere.
Il World Pride è stato insomma lo scatto d'una molla che da troppo tempo accumulava energia senza riuscire ad esprimerla. Ha finalmente creato il sentimento del: "L'abbiamo fatto una volta, possiamo rifarlo".
In questi giorni la ministra Bellillo ci sta offrendo un progettino di legge sulle coppie ridicolo e striminzito, e solo perché 200.000 persone iniziano ad avere un peso perfino per un governo di pseudo-sinistra come il nostro, attento solo ai bisogni del Papa.
L'offerta della Bellillo è troppo poco, e troppo tardi. Eppure, se ci danno un contentino solo quando siamo in duecentomila, allora occorre arrivare al milione per essere davvero ascoltati...
Non sarà facile, ci vorrà tempo ma… "l'abbiamo fatto una volta, possiamo rifarlo".
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