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Per la "castina" gay, tempo scaduto.
[Dal sito Gay.tv, 2/5/2008]

di: Giovanni Dall'Orto
 

Manifestino satirico anti-Rutelli, fotografato all'Eur il 12 aprile 2008. Foto Giovanni Dall'Orto.


Con la sconfitta di Rutelli si conclude l'orgia di batoste elettorali che la genialità politica della Casta PD e Arcobaleno ha inflitto al popolo di sinistra italiano, ed anche a se stessa.
Possiamo finalmente cercare di valutare, a bocce ormai ferme, cosa abbia significato, per noi gay, questa tornata elettorale.

Di particolare interesse è stata proprio la sconfitta di Rutelli. Va infatti chiarito che a Roma non è stato Alemanno a vincere: è stato Rutelli a perdere. (Un mio amico ha spiritosamente sintetizzato così: "Abbiamo perso perché la sola presunta "scelta" concessa era tra il Pastore tedesco e il mastino Alemanno"...).
Ben 55.000 elettori che hanno scelto il candidato di centrosinistra Zingaretti (il quale ha vinto il ballottaggio) in provincia di Roma non se la sono sentita di votare per l'iper-clericale Rutelli (il quale si chiede in piena prima pagina di "Repubblica" del 29 aprile "Perché hanno votato Zingaretti e non me?"- ma allora è proprio "dde coccio"!).
Alla fine un abisso, un baratro, una voragine di ben 7 punti percentuali ha separato il 53,66% di Alemanno dal 46,34% di Rutelli.
Rutelli ha letteralmente dilapidato un vantaggio di decine di punti, quello del suo predecessore Veltroni alla passata tornata elettorale.
Basta o meno tutto questo per affermare che l'elettorato ha voluto dire di no alla candidatura di Rutelli nel solo modo consentito da questo sistema bipolarista?

Il fatto che tale esito non fosse inevitabile lo rivela peraltro il caso di Vicenza, città da sempre "bianca" e leghista, dove il centrosinistra il ballottaggio l'ha "sorprendentemente" vinto, in controtendenza col resto del Paese. Cos'aveva di diverso Vicenza dalla altre città? Be', il banale fatto che, dando per scontata la sconfitta, la Casta aveva incautamente proposto un candidato che si oppone all'ampliamento della base militare americana. E ciò ha clamorosamente ribaltato i pronostici. Della serie: il PD vince quando dà agli elettori ciò che essi chiedono, cioè proposte "di sinistra", tuttavia riesce a farlo solo per sbaglio. Non si sa se ridere o piangere.


Il caso di Vicenza dimostra insomma che un candidato di centrosinistra, se vuole vincere, non può presentarsi con un programma di destra come ha fatto Rutelli, e meno che mai con un atteggiamento sfacciatamente clericale.
Rutelli era il candidato nominato da Ruini (che è l'altro grande sconfitto da queste elezioni: al di là degli ossequi esteriori ora chi governa non ha più bisogno dei voti telecomandati da lui per comandare, e lo sa: ricordiamocelo negli anni a venire), mai sottoposto al rito tanto pubblicizzato delle "primarie", ovviamente per paura che fosse trombato dalla "base". Che così è stata obbligata a trombarlo nelle "secondarie", che poi sarebbero le elezioni.

Il 29 aprile il giornale-fiancheggiatore del PD, "La Repubblica", ha dedicato una pagina intera ad una crisi isterica di Ezio Mauro, che fra insulti improperi e minacce dà la colpa della sconfitta... indovinate a chi mai? Ma ovviamente alla perfida "sinistra radicale", sempre lei (la quale non fa parte del PD, nel caso qualcuno non lo ricordasse, tant'è che è sempre stata il principale bersaglio di tutta la carriera politica di Francesco Rutelli)... definendo il verdetto delle urne:

"un voto, bisogna dirlo con chiarezza e subito, del tutto ideologico, che viene in gran parte dalla sinistra radicale, così convinta dalla tesi autoassolutoria che vede nel Pd la colpa della sua scomparsa dal Parlamento, da far pagare al Pd la battaglia di Roma, lavorando contro Rutelli.
Per questi cannibali fratricidi, grillisti e antagonisti, Rutelli era il bersaglio ideale, come anche per qualche estremista del Pd: troppo cattolico, importatore della Binetti, amico dei vescovi, come se la scommessa fondativa e perenne del Pd non fosse quella di tenere insieme, a sinistra, cattolici ed ex comunisti."
Insomma, le colpe sono sempre degli altri, il PD ha sempre ragione come Mussolini ed è infallibile come il papa, e sono semmai gli elettori ad avere sempre torto se non votano per il candidato che secondo Ezio Mauro è quello "giusto".

"Gli dei accecano coloro che vogliono fare andare in rovina", dicevano gli antichi.
In effetti, con intellettuali di riferimento come questi a sinistra, perfino un rottame del fascio come Alemanno non deve fare alcuna fatica per mandare in rovina il centrosinistra italiano. Gli è sufficiente stare fermo e lasciare fare tutto a loro...



 
Manifesto che ricorda la condanna subita da Rutelli quando era sindaco
Manifestino contro Rutelli. Roma, Eur, 12 aprile 2008. Foto Giovanni Dall'Orto.

In questo desolante contesto copre poco la fogliolina di fico concessa alla dignità di "Repubblica" nella pagina a fianco al paginone di Mauro, dove un Michele Serra decisamente mogio, in un francobollo angusto di spazio, cerca di ragionare:

"Massimo rispetto per il “cattolico rinato” Rutelli, le scelte personali in materia di fede non si discutono per principio. Tra l'altro, è stato un buon sindaco e lo sarebbe stato ancora.

Ma evidentemente, almeno a sinistra, c'è un prezzo politico da pagare alla percepibile vaghezza con la quale ci si batte, e spesso non ci si batte, per i diritti civili, la laicità dello Stato e della politica.

Rutelli, anche nel corso della lunga e non dimenticata vicenda dei Dico e del referendum sulla fecondazione assistita, ha dato la netta impressione di non tenere in gran conto le opinioni dei laici.

Quando si va a votare, non è solo il clamore per i vari “allarmi sicurezza” a muovere le mani degli elettori. Esiste anche una spinta ideale (oggi si preferisce dire: identitaria).

Esiste anche la politica.

Il centrosinistra ha perduto Roma per ragioni politiche".

Ben detto.


Proviamo allora a dare un occhio a tali ragioni politiche, anche perché una di esse (sia pure non la numero uno, OK) è proprio l'irrisolta questione omosessuale, come lo stesso Serra onestamente riconosce alludendo al tradimento della promessa fatta sui Pacs dai DS.

In politica la "questione omosessuale" riguarda la domanda su fino a che punto la maggioranza abbia il diritto di limitare la libertà delle minoranze per il puro e semplice fatto di essere tale.
In Italia poi questa domanda è strettamente collegata ad un'altra:  fino a che punto una minoranza religiosa (i cattolici) abbia il diritto di tenere in ostaggio la maggioranza dei cittadini, ai quali non è mai consentito dire la loro su nessuna questione che stia a cuore a tale minoranza.
Insomma, la "questione omosessuale" riguarda il significato stesso delle parole "diritti civili", che stanno a cuore a tutti i cittadini, quelli di destra inclusi, e non solo agli omosessuali.

Quanto la questione omosessuale sia stata (nel suo  piccolo) dirimente, lo dimostra l'ansia con cui gli intellettuali di destra hanno scatenato subito dopo il primo turno delle elezioni una battaglia sul tema: "La sinistra ha perso perché si è ostinata a fare gli interessi dei finocchi e dei negri invece che quelli della ggente". Ho già risposto altrove per confutare questa tesi, per cui mi limito ad osservare che la prontezza con cui essa è stata propalata mostra che i vincitori sanno che la irrisolta "questione omosessuale" è una mina innescata (da loro) che adesso rischia di scoppiare in faccia a loro. E quindi cercano di mettere la mani avanti dicendo che non esiste nessuna questione omosessuale, che i problemi sono altri, e che quindi loro non devono risolvere proprio nulla...

Ovviamente sperare che noi, i diretti interessati, li lasceremo cullarsi per cinque anni in tale stronzata propagandistica è pura fantascienza. Adesso che è finita la logica del "non sparare sugli amici", perfino gli iper-codardi dirigenti lgbt della "castina" italiana saranno costretti a muovere il culo.


E qui siamo arrivati alla parte più interessante del problema: la parte che toccherà  a noi.

Mi spiace doverlo dire con franchezza, perché so di rischiare di essere frainteso, ma quanto è accaduto non sarebbe potuto accadere senza corresponsabilità di molti esponenti del movimento lgbt italiano.

Voglio essere chiaro: non si tratta di sparare critiche ad personam, quasi che fra noi abbiamo avuto delle persone "cattive" che ora andranno punite per la loro "cattiveria". Anche perché, tanto per essere jena come mio solito, io fatico a trovare chi sarebbero mai le persone "buone". Di certo non coloro che non hanno mai mosso un dito in vita loro ma che criticano di continuo. Dovendo scegliere fra questi sedicenti "buoni" e i presunti "cattivi", io non esito a scegliere i secondi.

In altre parole il problema esiste, è concreto, ma non consiste nel fatto che abbiamo avuto tizi "cattivi" come leader.
Il risultato elettorale è infatti a mio parere un giudizio finale su un modo di pensare, un'idea, un'ipotesi di lavoro, chiamatela come volete.
Mi importa solo chiarire che non è un problema morale relativo alla "cattiveria" di alcune persone, bensì dei programmi e dell'atteggiamento politico di queste persone. Troppi di noi infatti avevano puntato su una politica del movimento gay che vedeva nell'alleanza con le forze "moderate" di sinistra un modo per ottenere ciò che rivendicavamo.
Il bilancio? Uno zero talmente sconvolgente, che non solo non abbiamo ottenuto nulla noi a furia di essere tanto moderati, ma hanno perso tutto anche coloro che negandoci i nostri diritti credevano di essere furbi e di riconquistare il potere attirando fantomatici voti da destra...


Esaminando, col senno di poi, i limiti di questa strategia, i punti che secondo me vanno ora cambiati con urgenza sono i seguenti:

Sto parlando insomma qui di leader gay divenuti con gli anni membri di una castina infinitamente più vicina ai partiti e ai loro interessi che a coloro che dichiarano di rappresentarte.
Sono proprio costoro che hanno impedito - con troppe poche eccezioni, che hanno infatti pagato col seggio la loro eresia - di porre la questione delle leggi antidiscriminazione, delle Unioni civili, della laicità (Vladimir Luxuria che vota a favore dell'esenzione dall'Ici per la "povera" Chiesa cattolica? Si può fare... tant'è che lo ha fatto), insomma di arrivare ad una prospettiva tale da permetterci di portare a casa almeno qualche briciola.

Ogni volta infatti che qualcuno rischia di ottenere qualcosa, viene comprato. In due modi: o con un finanziamento a pioggia al suo gruppo, o con una carica, a volte del tutto immaginaria, come l'esilarante presidenza della "Commissione per i diritti dei gay" con la quale Sergio Lo Giudice è stato "ricompensato" per gli anni durante i quali ha presieduto Arcigay nel modo più indolore possibile verso il suo partito, i Ds.
Questa nomina è peraltro arrivata solo... il 14 marzo 2008, cioè a Camere già bell'e che sciolte.
Dimostrando che a vendere l'anima al diavolo si finisce per essere, come si suol dire, cornuti e mazziati.


Concludendo.
Nel corso di questo intervento ho fatto nomi e cognomi. A mio parere era necessario: continuare a parlare genericamente di "dirigenti" (come ho già fatto in passato) era solo un ciurlare nel manico.
Tuttavia lo ripeto, qui non si tratta di una questione personale. Non credo infatti che se avessimo avuto altri dirigenti ma la stessa mentalità le cose sarebbero andate altrimenti.
Lo so che mi ripeto, ma per me è un punto importante: quello che si è rivelato fallimentare, qui, è un certo modo di fare politica gay, un certo atteggiamento verso la partitocrazia, e non un certo gruppetto di persone. La mia convinzione è infatti che invertendo l'ordine delle regine il risultato non cambia, quindi l'auspicato cambiamento non può limitarsi a cambiare qualche trono a qualche culo. Va cambiata una concezione del "far politica", nella sua intierezza.

Del resto, una volta svanita la prospettiva dei cadreghini (qui per i prossimi cinque anni non c'è trippa per checche, bimbi belli!) e preso atto del fatto che una sconfitta così sonora richiede un ripensamento radicale, e magari anche un bel congresso straordinario Arcigay, credo che la strada sia sgombra da parecchi equivoci.
E magari anche aperta a una nuova generazione di leader più coraggiosi, meno motivati dal solo miraggio del cadreghino, e quindi meno pronti a svenderci per il miraggio di una carica politica... o per i classici trenta denari.

Non che ci conti (la natura umana è quella che è)... ma almeno sperarci non costa nulla.


Tratto da: gay.tv

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