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Il Gay Pride di Milano mi ha insegnato...
da "Pride" n. 26, agosto 2001, pp. 9-10.

di: Giovanni Dall'Orto

A un mese dal successo del Gay pride milanese proviamo a fare un bilancio e a riflettere su luci ed ombre di questo evento.

Arrivo della manifestazione in Piazza Castello, Milano (foto G. Dall'Orto).


Ce l'abbiamo fatta!
Confesso che un po' di paura l'abbiamo avuta. Il confronto con l'immenso "World Pride" di Roma, con le sue due o trecentomila presenze, era inevitabile.
Se fossimo tornati alle settemila presenze che erano ormai la norma nelle manifestazioni gay pre-World Pride, ciò avrebbe voluto dire che quello di Roma nel 2000 era stato solo un fuoco di paglia irripetibile, e che i gay scendono in piazza solo quando la situazione è talmente nera che perfino gli eterosessuali sono più indignati di loro, e mai prima.

Invece le stime sulle presenze andavano dalle trenta alle cinquantamila persone, e quando siamo arrivati al Castello Sforzesco, alla fine del corteo, a piazzale già pieno, dal palco ci hanno detto che prima d'iniziare il comizio occorreva aspettare la coda del corteo, che era ancora in Piazza Duomo!
Chi conosce Milano capirà da questo solo che non eravamo certo in diecimila.


Ecco il primo elemento di novità di questo Gay Pride nazionale (il primo mai tenuto, in trent'anni di movimento gay, a Milano).
Il World Pride dunque non è stato un fuoco di paglia: ha dato a moltissimi di noi il gusto del trovarci assieme e mostrare che non ci vergogniamo di noi stessi.

Questo elemento era evidentissimo fin dall'inizio: sono arrivato un'ora prima della partenza ed ho capito che avremmo avuto successo da un dettaglio: la gente già presente non era solo allegra: era felice.
Sono ancora moltissimi quelli che ti dicono "non capisco perché dovrei definirmi gay: per me l'omosessualità è tutto fuorché gaia: è una sofferenza". Ma il numero di coloro che sono in grado di ribattere a questa visione perdente della vita è sempre più alto. La reazione a catena può finalmente iniziare, non è più confinata alla cittadella assediata e spaurita del solo movimento di liberazione gay.

Noi non siamo perdenti nati, "sfigati" condannati per nascita all'infelicità. Ed ormai siamo in decine di migliaia, e non più in poche centinaia, a pensarla così.

Il mondo è cambiato, ora può iniziare a cambiare il mondo gay. Alla buon'ora!


Il secondo elemento che m'ha colpito discende dal primo: questo è stato il Pride meno politico a cui abbia mai partecipato. Non c'erano slogan, la gente cantava quando c'era uno dei due o tre camioncini con la musica, poi però calava un silenzio di tomba quando la musica era lontana.
Temo si sia realizzato pienamente, ormai, quel passaggio del Gay Pride da manifestazione politica a festa popolare di piazza che ipotizzavo lo scorso anno.

Manifestante al Pride milaneseE temo che gli organizzatori non se ne siano accorti, perché hanno letto l'iniziativa solo sotto il filtro della politica, e non sono stati capaci di vedere le novità presenti nel cambiamento in corso.
A questo Gay Pride mancavano, per dirne una, i carri sia dei locali sia delle associazioni. Mancava la musica, mancava la festa. E siccome mancavano gli slogan, abbiamo avuto il primo gay pride silenzioso della storia gay.

Di fatto la separazione fra il Gay Pride come manifestazione politica e come festa è già avvenuto. A Verona si sono dati appuntamento gli "antagonisti", i duri e puri per i quali una forte politicizzazione del Pride è importante. C'erano cinquemila persone, ma tutte politicamente motivate.

A Milano queste cinquemila persone c'erano ancora, però erano annegate nelle cinquantamila la cui motivazione politica è più debole, che non sono abituate a gridare slogan ma che ciononostante ci avevano portato una cosa importantissima: la loro presenza e la loro testimonianza di vita, la loro disponibilità ad "esserci".

Toccherà a noi gay "militonti" capire che un certo modo di fare politica è finito, e che se si vuole parlare alla massa del popolo gay, e non solo ai quattro gatti e tre cani del movimento gay, occorre trovare altri linguaggi e altre strategie.

Sia gli slogan che la musica muovono i corpi: sta a noi capire volta per volta cosa usare per farlo.

A mio parere, se vogliamo manifestazioni di massa, se davvero vogliamo i bagni di folla che finora vedevamo con invidia all'estero e mai in Italia, occorre cambiare linguaggio e puntare di più, nel Gay Pride, sulla festa.

I momenti per fare politica, oggi, sono altri, e la sfida per noi è proprio capire quali.
Nascondere la testa sotto la sabbia per non vederlo, non servirà a nulla.


Ragazzo dei Centri Sociali alla manifestazione (foto G. Dall'Orto).Un terzo elemento che mi ha colpito è la partecipazione di eterosessuali, a cominciare da quella di entrambi i miei genitori. C'erano molte famigliole coi bambini, e questo mi ha allargato il cuore.

Per decenni abbiamo lottato disperatamente per fare capire agli etero che noi esistevamo, che eravamo il loro vicino di casa, il collega di lavoro, il figlio o il padre…

I gay italiani sono stati troppo vili per decenni, sono "usciti fuori" troppo poco, si sono fatti vedere troppo poco dalla società. Ed oggi è stata la società a venire da noi e a farsi vedere!

Le mamme-e-papà coi bimbi in carrozzina ci hanno dato una lezione di visibilità, cioè di assenza di paranoia e di paure assurde, che molti di noi devono ancora imparare, purtroppo.
Loro che non sono gay non avevano paura a farsi vedere lì, mentre molti di noi sì.

Vergogniamoci e impariamo da loro.


Questo allargamento del senso del Gay Pride ha portato al quarto punto che mi ha colpito: il tentativo di cooptazione da parte dei partiti politici. Cominciamo ad essere tanti, e quindi elettoralmente interessanti.

L'arrembaggio ai gay è stato ben visibile alla fine del corteo, quando gli organizzatori hanno dovuto chiedere più e più volte di sgombrare il palco. L'arrembaggio allo spazio-comizietto era tale che il palco rischiava di non reggere. È dovuta intervenire addirittura la Digos per sloggiare i più recalcitranti. E vedere la fila di tutti gli aspiranti oratori schierati sul palco in puro stile sovietico di epoca brezneviana non mi ha dato certo "buone vibrazioni".

Certo, era politicamente giusto e sensato, oltre che umanamente prevedibile, che venisse portata all'incasso la cambiale dell'elezione di ben tre rappresentanti gay, da parte dei partiti che avevano reso possibile il "miracolo".
Ma su quel palco si è stra-parlato di G8 e di disoccupazione, di Berlusconi-boia, di aborto e clandestini, di opposizione al Governo Berlusconi e di antifascismo.
L'unico tema trascurato sono stati i gay, con l'eccezione di due o tre interventi, non a caso i più applauditi. E ciò mi ha fatto incazzare, perché questo significa "scipparci" il Gay Pride.

Merchandising in salsa gay: magliette con slogan gay (foto G. Dall'Orto)Credo che coloro che descrivevano i gay come il movimento "antagonista" per eccellenza abbiano preso un abbaglio.
Tuonare contro la commercializzazione del mondo gay quando la metà dei presenti è griffatissima significa avere decisamente perso il contatto con la realtà.

Il fatto che qualcuno sperasse di reclutare al proprio partito i cinquantamila del 23 giugno tuonando contro i locali che "commercializzano" il nostro mondo è la dimostrazione del fatto che su quel palco c'era gente che non si rendeva conto di nulla, neppure del fatto che stava parlando a un pubblico composto per nove decimi di frequentatori di locali.

Invece di apprezzare questa novità, di analizzarla e chiedersi che significato avesse per il movimento di liberazione gay, ha scelto di cancellarla (e di cancellare il proprio uditorio, che ha "votato coi piedi" andandosene… a prepararsi per la festa nei locali!).


Il quinto punto che mi ha colpito è conseguenza immediata del precedente: la povertà e scarsità di analisi politica che il movimento ha offerto nei comizietti finali.
Ormai ogni partito (con in aggiunta i Centri sociali) ha la sua commissioncina gay, come una volta aveva la commissione femminile, ed ognuno ci presenta precucinata la sua lettura del mondo gay.
Dove di gay c'è poco o nulla, perché ci sono sempre questioni "più importanti" di cui parlare "prima": vecchia storia, vecchia questione, vecchia tentazione che si ripete ad ogni generazione di militanti.
L'omosessualità, chissà perché, non è mai una questione importante al punto di esserlo più di certe altre. Nonostante ci sia gente che si uccide o viene uccisa per questa "poco importante" questione...

Cercare, come hanno fatto in parecchi, di annettersi il Gay Pride come manifestazione anti-Berlusconi (pur avendo il patrocinio della Provincia, in mano a Forza Italia), è idiota. Se Berlusconi avesse perso le elezioni noi non avremmo forse fatto il Gay Pride? È palese che noi non eravamo lì per quello, e quindi mi ha dato fastidio che i politici gay, salvo un paio di eccezioni, fossero persi nel loro mondo di zucchero filato e non capissero questa banalità.
I problemi dei gay in quanto gay sono la famiglia, la religione, la polizia, la visibilità, l'autoaccettazione, temi che su quel palco quasi non hanno avuto diritto di cittadinanza, schiacciati fra G8 ed extracomunitari.
L'apparenza inganna

Osservate queste due foto di Piazza Duomo di Milano, e l'immagine che danno del "Pride". 
La prima ne documenta l'aspetto d'imponente manifestazione di massa. 
L'altra punta sul "colore" e documenta come per certi giornali, gay e travestiti siano la stessa cosa.
Ogni anno la stesa storia: su decine di migliaia di persone, solo quelle travestite hanno gli onori della cronaca, per poter dare dei gay la solita immagine stereotipata. 
Ebbene, la prima foto viene dal conservatore "Corriere della sera", l'altra da "L'Unità", quotidiano diessino.
Palesemente, di fronte a "incidenti" come questo, diventa più difficile sostenere che la sinistra ci capisce sempre e la destra mai. La sinistra si sforza di più della destra di capirci, ma per riuscirci ("L'Unità" insegna) di strada da fare ne ha ancora molta...

Io ho votato Rifondazione e sono contentissimo di averlo fatto, ma non ero lì contro Berlusconi o il G8: ero lì per i gay e i loro diritti. Punto.
L'analisi tranchante per cui c'è una sinistra buona che ci capisce e una destra cattiva che ci opprime è semplicemente falsa: anche il centrosinistra ha una collezione di omofobi da fare paura, e il "sinistro" sindaco di Roma Rutelli al World Pride è stato semplicemente vergognoso.

I gay funzionari di partito portano l'acqua al loro mulino, e fanno gli interessi del loro partito prima di quelli dei gay. E fanno bene. Ma io sono un militante gay, non un funzionario di partito, e pongo gli interessi dei gay prima di quelli dei partiti.
Quindi affermo che lo spettacolo presentatoci, il 23, dal palco, è un vicolo cieco: nessuna legge pro gay potrà essere approvato senza il voto di una parte dello schieramento di centrodestra (quello "laico").

Il cambiamento del costume sociale in Italia è sempre avvenuto con questa regola: laici di destra e sinistra contro clericali di destra e di sinistra, e mai con la regola del destra-contro-sinistra.
Lo si è visto con il divorzio (1970), con la riforma del diritto di famiglia (1975), con l'aborto (1978)...

È più probabile che voti per i diritti dei gay l'onorevole Mussolini, con quel cognome!, che la marmaglia cattolica del centrosinistra, che ha già firmato la proposta di legge di dare personalità giuridica all'embrione.

Parlare di una lotta della sinistra contro la destra, e non di clericali contro laici, è utile ai maneggi dei partiti, ma non ai gay.


Ma qui sono arrivato ben oltre al semplice commento al 23 giugno: mi fermo perché qui il dibattito tocca al movimento gay, e non certo a me da solo.

Mi basti aver fatto il mio mestiere segnalando queste novità, che promettono notevoli sviluppi, sia positivi sia forse negativi, in un mondo caratterizzato fino ad oggi dall'immobilismo e dalla stagnazione.
Arrivederci al prossimo Gay Pride!


[Per una critica del Gay Pride di Milano del 2001 si veda anche il mio articolo: Possiamo migliorare].


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