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UN AVO POCO PRESENTABILE:

PIER LUIGI FARNESE (1503-1547)
 
di: Giovanni Dall'Orto

Ritratto di Pier Luigi Farnese, da una medaglia del 1545
Profilo di Pier Luigi Farnese, da una medaglia del 1545.


Sfogliando l'"album di famiglia" degli omosessuali celebri del passato vi si trovano sia figure positive che figure negative, cosa perfettamente logica se si pensa, come io penso, che gli omosessuali sono esseri umani assolutamente uguali agli altri, tanto nei pregi quanto nei difetti.

Non desta perciò sorpresa trovare nel nostro "album" anche la vicenda di Pier Luigi Farnese (1503-1547), duca di Castro, e poi primo duca di Parma e Piacenza.

Era figlio naturale (legittimato) di Alessandro Farnese (1468-1549), che nel 1534 divenne papa col nome di Paolo III.

Lo stemma della famiglia Farnese

Prese parte alle guerre che infuriavano in Italia nel Cinquecento, partecipando, fra vari fatti d'arme, anche al Sacco di Roma (1527). L'elezione del padre al papato gli garantì sempre nuovi onori: fu successivamente nominato duca di Castro, Gonfaloniere (capo della milizie) della Chiesa, marchese di Novara.

Il capolavoro "nepotistico" del padre fu però lo scandaloso distacco di Parma e Piacenza dallo Stato della Chiesa e la loro concessione in signoria personale, col titolo di ducato, al figlio e ai suoi discendenti. Ebbe così inizio la dinastia dei Farnese di Parma (che rimasero sul trono anche dopo che i nobili locali, in combutta con l'imperatore Carlo V, assassinarono Pier Luigi), che durò fino al 1731.
Ilario Spolverini - Paolo II nomina il figlio Pierluigi duca di Piacenza e Parma
Ilario Spolverini - Paolo III nomina il figlio Pierluigi Farnese duca di Piacenza e Parma.

Pierluigi fu un personaggio che del potere fece un uso non più spregiudicato o immorale di tanti suoi contemporanei, ma che ebbe il dono di farsi molti nemici, i quali furono lieti di tramandarci aneddoti sulla sua arroganza e immoralità, rinfacciandogli i rapporti omosessuali e in particolare lo stupro che fu accusato d'aver commesso nel 1537 a Fano ai danni del giovane vescovo Cosimo Gheri.

Oggi Pierluigi è noto, al massimo, per il bel ritratto che ne fece nel 1543 Tiziano, oggi al Museo di Capodimonte di Napoli. Ma per molto tempo il suo nome fu, in Italia e perfino all'estero [1] quello del lussurioso perpetratore dello stupro di Fano, di cui parlerò fra poco. 
Il fatto fu usato nelle polemiche religiose tra protestanti e cattolici, essendo Pierluigi figlio di papa: "i luterani ne gioirono, dicendo che i cattolici avevan trovato 'un nuovo modo per martirizzare i santi'" [2].

Suo padre non si faceva illusione a proposito dei suoi gusti. Già nel 1535 papa Paolo III aveva fatto scrivere allo scandaloso figliuolo una lettera, rimproverandogli gli amori con ragazzi:

<Il papa> havendo adunque ritrovato che ha menato seco [portato con sé] quelli giovanetti, delli quali li parlò alla partita [partenza] sua per Perugia, n'ha preso tanto fastidio che non lo potrei mai esprimere, dolendosene per tre cause, l'uno per servitio di Dio, che parendoli che fino che persevera in simile error sia impossibile che li [le] possa succeder ben cosa che lo voglia; l'altra per honor della casa <Farnese>, e la terza per il poco conto che quello [lei] mostra far delli comandamenti di Sua Beatitudine, havendoglilo detto tante volte et in diversi propositi proibito.
Vorrà adunque rimandarli indietro, perché andando in corte dell'Imperator che tanto aborrisce simil vitio, è certissimo che non li potrà portar se non grandissima infamia et dishonore, non sol appresso a Sua Maestà, ma etiam [anche] delli altri grandi [3].

Lo "stupro di Fano"

Questo era dunque l'individuo che fece mormorare tutta Italia per lo stupro di cui fu accusato nel 1537, ai danni del giovane vescovo di Fano, Cosimo Gheri (1513-1537), che oltre tutto morì poco dopo il fatto. 
La vicenda è celebre nella descrizione che ne fece Benedetto Varchi (1503-1565):

In quell'anno medesimo nacque un caso, del quale io non mi ricordo aver udito né letto (...) il più esecrabile. (...) 
Era messer Cosimo Gheri da Pistoia vescovo di Fano d'età d'anni ventiquattro (...) quando il signor Pier Luigi da Farnese (il quale eb<b>ro della sua fortuna, e sicuro per l'indulgenza del padre di non dover esser non che gastigato, ripreso [non castigato, ma neppure sgridato, NdR], andava per le terre della Chiesa stuprando, o per amore o per forza, quanti giovani gli venivano veduti, che gli piacessero) si partì dalla città d'Ancona per andare a Fano, dove era governatore un frate (...).

Costui, sentita la venuta di Pier Luigi, e volendo incontrarlo, richiese il vescovo, che volesse andare di compagnia a onorare il figliuolo del pontefice, e gonfaloniere di santa Chiesa; il che egli fece, ancoraché mal volentieri il facesse.

La prima cosa della quale domandò Pier Luigi il [al] vescovo, fu, ma con parole proprie e oscenissime secondo l'usanza sua, il quale era scostumatissimo, "come egli si sollazzasse e desse buon tempo con quelle belle donne di Fano". Il vescovo, il qual non era meno accorto che buono, essendogli paruta questa domanda quello ch'ella era, e da chi fatta l'aveva, rispose modestamente, benché alquanto sdegnato, "ciò non essere uficio suo" [la cosa non era il suo compito], e per cavarlo di quel ragionamento soggiunse: "Vostra eccellenza farebbe un gran benefizio a questa sua città, la quale è tutta in parte [divisa in fazioni], s'ella mediante la prudenza e autorità sua la riunisse e pacificasse".

Pier Luigi il giorno di poi, avendo dato l'ordine di quello che fare intendeva, mandò (quasi volesse riconciliare i fanesi) a chiamar prima il governatore, e poi il vescovo. Il governatore, tosto che vedde arrivato il vescovo, uscì di camera, e Pier Luigi cominciò, palpando e stazzonando il vescovo, a voler fare i più disonesti atti che con femmine far si possano; e perché il vescovo, tutto che fosse di poca e debolissima complessione (...) si difendeva gagliardamente non pur [solo] da lui, il quale, essendo pieno di malfranzese [sifilide], non si reggeva a pena in piè, ma da altri suoi satelliti [dipendenti], i quali brigavano di tenerlo fermo, lo fece legare (...).

Non solo li tennero i pugnali ignudi alla gola, minacciandolo continuamente, se si muoveva, di scannarlo, ma anco gli diedero [lo colpirono] parte colle punte e parte co' pomi, di maniera che vi rimasero i segni [4].

Il vescovo Gheri morì (a sentire il Varchi, a causa del trauma) quaranta giorni dopo

Sulla verità o meno di questo racconto sono stati spesi, nel secolo scorso, se non fiumi almeno torrenti d'inchiostro [5].


I "capricci" del duca.

Vero o no che sia il racconto, è comunque assodato che Pier Luigi era capace di tali delitti, come rivela un documento privato, una lettera inviata da Marco Bracci (sec. XV-1551), cancelliere dell'ambasciatore fiorentino a Roma, a Pier Francesco Del Riccio (segretario mediceo), in data 14/1/1540:

Venendo triumfante il Rev. Ferrara [il cardinale Ippolito II d'Este] qua, et essendo d'un paese che produce assai belli figlioli, fra li altri sua servitori ne menò con seco uno, che alli occhi del nostro Ill.mo S.r Duca di Castro, li era et è piaciuto extremamente, di modo ch'el povero servitore non trovava posa, <avendo> diliberato Sua Ex<cellen>tia sfogare questo suo appetito disiderato.

Provò con imbasciate e mezzani di vedere se e' poteva ridurre [piegare] il giovane alla sua voglia, e veduta l'obstinatione del giovane, <il> quale non dubitando intervenissi [accadesse] a lui com'è intervenuto a molti e quasi alla più parte, et forse informato et advertito del tutto, non ha volsuto consentire, di modo che intrata sua Ex.tia (spinto dal furore di Cupido) in gran collera, si diliberò in ogni evento [decise ad ogni costo] di haverlo, et a<p>postato [pedinato] chi il praticava [lo frequentava] in casa di non so chi servitore, insieme con certi sua fidati, li dette la battaglia alla casa [assaltò la casa], et così entrato, il buon giovane, veduto non haveva rimedio, si lassò calare da una fenestra, et così scampò la furia per quella volta.

Veduto il buon duca che e' non li venia fatta quella volta né alchuna fiata se l'havesse dicto [non ci sarebbe mai riuscito se lo avesse raccontato], et così dandoli la caccia, si fuggì il povero figliolo in casa di certi merchanti genovesi, dove che havendo ancora la caccia drieto, prese per expediente [decisione] più presto voler morire di cascata, che come il povero vescovo di Fano, e così di nuovo eripuit fugam [si diede alla fuga], e si gettò a terra di [da] un'alta finestra, e scampato il pericolo tornò a casa mezzo morto.

Et di nuovo sapendo il comandamento, che haveva ordinato a circa 40 persone che lo pigliassino, et li fusse condotto per forza, lo conferì [rivelò] al cardinale suo, <il> quale lho ha mandato in Lombardia per le poste; e certo n'è stato biasimato, che [perché] doveva pur far compiacere un tanto Signore, se Cupido lho haveva preso, e non far che sia ito allo stato per [da] disperato [6].

Si noti che per la morale dei potenti del tempo il vescovo che non aveva permesso al Farnese di sfogare il suo "capriccio" era da biasimare, e non certo da approvare che per aver difeso il ragazzo "plebeo" che a quel capriccio non voleva assoggettarsi!


Pasquino e Pierluigi Farnese

Stando così le cose non ci stupiremo di scoprire che le pasquinate misero alla berlina più e più volte Pierluigi per i suoi gusti omosessuali. Il poeta satirico Niccolò Franco (1515-1570), autore di molte di queste pasquinate [7], coniò addirittura il verbo "pierluigiare", per dire "sodomizzare a forza"!

Come esempio di tale produzione satirica cito una pasquinata sul viaggio a Bologna che Pierluigi fece nel 1543. Gli interlocutori sono le "statue parlanti" di Pasquino e Marforio:

M.: Dimmi, Pasquin, e non aver vergogna,
n'è gito [andato] a starsi in questi mesi
il bugiaron [sodomita], stroppiato [storpiato] Pier Loisi 
da le podagre, il cancaro e la rogna?

P.: Egli n'è andato a sonar la zampogna,
et far fracasso de' culi bolognesi,
sì come è costumato [abitudine] in quei paesi;
e se nel giorno il fa, la notte il sogna.

M.: Come possibil sia, s'ha tanto male,
n'in piè regger si puote e tien la mano
che par proprio un rastel [rastrello] da lavorare?

P.: Non ha magnato in tutto l'animale:
fassi far alli paggi il roffiano
con vederli l'un l'altro bugiarare [sodomizzare];

né gli basta ciò fare:
presta lo sputo e vuol veder l'intrata
quando più gente c'è e più brigata! [8]
 

La statua parlante di Marforio, Musei capitolini di Roma (foto G. Dall'Orto).
La "statua parlante" di Marforio, Musei capitolini, Roma. 
(Foto G. Dall'Orto).

E in occasione del medesimo viaggio un libello, sempre attribuito a "Pasquino", così sghignazzava:

Appresso direte a' bolognesi che s'armino [mettano armature per difendere i] e' culi perché viene alla volta loro il Duca di Castro appositivamente, macello di forami [ani], che havendo loro il proverbio di culo bolognese [9] porteranno pericolo che sua Excellentia non ne voglia assaggiar qualche rubbio [unità di misura antica, NdR]; et assaggiandogli con quel pestellone [membro virile], buona notte, a' bufoli gli raccomando [10].
Insomma, la fama di Pierluigi fra i contemporanei non era buona, anzi,
"pareva che arrecasse gran vergogna a quel santo padre per la vita dissoluta tenuta da lui nella corruzione dei giovanetti, nel quale vizio era tenuto [ritenuto] confitto [incancrenito], ché publicamente teneva degli uomini salariati per tutte le terre d'Italia acciocché gli procacciassino qualche bel giovane[11].
Questo fu dunque, nella fama dei contemporanei, Pierluigi Farnese. Non stupisce perciò che quando fu assassinato nel 1547 a Piacenza da una congiura di nobili, una pasquinata latina che immaginava l'arrivo di Pierluigi nell'aldilà così concludesse:
Vuoi che te lo dica? Quando dalle rive italiane venne a quelle dell'oltretomba
Plutone [12] cominciò a temere per le sue natiche [13]



Parma nel 1544. Inciosione da _Cosmographica _di Sebastian Muenster
Parma nel 1544. 
Incisione da Cosmographica di Sebastian Muenster

La fama "sulfurea" dopo la morte

Dopo la morte di Pier Luigi, la sua fama di sodomita fu utilizzata nel XVI secolo dai polemisti protestanti (per esempio Sleidan-[14]); una volta spentasi questa polemica fu poi la volta degli storici "patriottici" italiani, che nel XIX secolo si diedero a lungo battaglia gli uni affermando che le accuse di omosessualità erano frutto delle calunnie protestanti, gli altri riesumando documenti anche di parte cattolica che testimoniavano del gusto del Farnese per i maschi [15].

Tutto questo dibattito risvegliò l'interesse per questa figura, ammantata da un fascino "sulfureo" che piacque alla fantasia morbosa del Decadentismo: a riprova di ciò sta la scelta, quale pseudonimo, del nome del Farnese (nella grafia francese antica) da parte d'un celebre scrittore erotico francese: Pierre Louys.

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.

Note
[1] Si veda per esempio Diego Hurtado de Mendoza (1503-1575), Dialogo entre Caronte y el ánima de Pedro Luís Farnesio [1547]. In: Biblioteca de autores españoles, Rivadeneyra, Madrid 1871, vol. 36, pp. 1-7.

[2] Mario Masini e Giuseppe Portigliotti, Attraverso il Rinascimento: Pier Luigi Farnese, "Archivio di antropologia criminale", XXXVIII 1917, pp. 177-192, a p. 190. 
Di Giuseppe Portigliotti vedi anche, sul Farnese e lo stupro di Fano, Porpore pugnali etère, Treves, Milano 1925, pp. 95-112.

[3] Lettera di Mons. Ricalcati del 17 ottobre 1535, da: Masini e Portigliotti, Op. cit., pp. 185-186.

[4].Benedetto Varchi, Storia fiorentina, Le Monnier, Firenze 1858, vol. 2, pp. 268-270.

[5] Fra gli innocentisti segnalo Raffaello Massignan, Pier Luigi Farnese e il vescovo di Fano,  "Atti e memoria della R. deputazione di storia patria per le provincie delle Marche", n.s. II 1905, pp. 249-304, (prezioso per meticolosità ed erudizione), e Gaetano Capasso, Il primo viaggio di Pier Luigi Farnese, gonfaloniere della Chiesa, negli Stati pontifici (1537), "Archivio storico per le provincie parmensi", I 1892, pp. 151-194, che alle pp. 166-179 cita gli autori che ne hanno parlato fin lì e infine assolve il Farnese dall'accusa.
Lo confuta però Alessandro Luzio, Un pronostico satirico di Pietro Aretino (1534), Istituto italiano di arti grafiche, Bergamo 1900, pp. 150-152. 
"Colpevolista" anche Ireneo Affò (1741-1797), Vita di Pierluigi Farnese, Giusti, Milano 1821, pp. 22-27.

[6] Da: L. Ferrai, Della supposta calunnia del Vergerio contro il Duca di Castro, "Archivio storico per Trieste, l'Istria e il Trentino", I 1881-1882, pp. 300-312, alle pp. 310-311.

[7] Vedile in: Niccolò Franco, Rime contro Pietro Aretino [1541], Carabba, Lanciano 1916.

[8] Valerio Marucci et all. (curr.), Pasquinate romane del Cinquecento, Salerno, Roma 1983, p. 642. 
Altre accuse di sodomia nelle paquinate  alle pp. 438 ("che le donne non son da quel chiavate,/ e le carne de' maschi lacerate") e 458-459 (il Farnese "guidò la tresca / di Sodoma e Gomora").

Per gli attacchi ai Farnese nelle pasquinate, e le accuse di sodomia a Pierluigi, vedi anche: Abd-El-Kader Salza, Pasquiniana, "Giornale storico della letteratura italiana", XLIII 1904, capitolo: "I Farnesi al tribunale di Maestro Pasquino", pp. 193-243, alle pp. 198-229 (specie 217-229), e di recente Claudio Rendina, Pasquino, statua parlante, Newton Compton, Roma 1996, pp. 159-162.

[9] Un proverbio dell'epoca magnificava: "cazzo mantovano, potta [= figa] ferrarese e cul bolognese".

[10] Giuseppe Sanesi, Un libello e una pasquinata di Pietro Aretino, "Giornale storico della letteratura italiana", XXVI 1895, pp. 176-194, a p. 190.

[11] Bernardo Segni (1504-1558), Istorie fiorentine [1527-1555], Barbera, Firenze 1857, pp. 454-455, a p. 454.

[12] Re pagano dell'Oltretomba.

[13] Vis dicam? Ex italis stygias ut venit ad horas,/ incoepit natibus Pluto timere suis. Da: Luzio, Op. cit., p. 152.

[14] Johannes Sleidan (pseud. di Johannes Philippi o Philipson, 1506-1555), Commentarii, ò vero historie [1555], s.e., s.l. 1557, libro XXI, p. 753.

[15] Per ulteriori documenti in proposito:

-- John Bale, Acta romanorum pontificum, s.e., s.l. 1560, VII 166, p. 505 e 509-510 (riprende da Sleidan e Vergerio);

-- Giovanni Della Casa  (apocrifo), Dissertatio Joannis Casae archiep. Beneventani adversus Paulum Vergerium, in: Giovanni Della Casa, Opere, Pisanello, Venezia, 5 tomi, tomo 4°, pp. 232-233;

-- Henri Estienne (1528-1598), Apologie pour Hérodote [1566], Liseux, Paris 1879, e in ristampa anastatica Slatkine, Genève 1969, libro I 13 (pp. 174-178);

-- Nicolò Franco (1515-1570), Priapea [1541], Carabba, Lanciano 1916, p. 56;

-- Jacques-Auguste de Thou (1553-1617), Jacobi Augusti Thuani Historiarum sui temporis libri CXXXVIII, de la Rouiere, Genevae 1626-1630, liber IV, tomus 1, p. 130c, sub anno 1547, ripreso in:
-- (Anonimo), De principatibus Italiae tractatus vary (sic), Elzevier, Lugduni Batavorum 1631 (editio secunda), cap. IX (De Parmae et Placentiae duce"), p. 303.

Interessanti, ma di nessun aiuto per chiarire la vicenda, le ultime lettere di Cosimo Gheri   (1513-1537) a Lodovico Beccadelli [1537], in: Abd-El-Kader Salza, Pasquiniana, "Giornale storico della letteratura italiana", XLIII 1904, pp. 223-225.

Di seconda mano e giusto giusto divulgativo Marcel Romain (pseud.), Le forme colpevoli dell’amore, il Pensiero, Firenze s.d. (ma 1915), pp. 81-87.

Infine, non ho ancora potuto consultare: Johann Schelhorn (sec. XVI), Apologia pro Petro Paulo Vergerio (...), Gaumian, Ulm & Memmingae 1754. 
 
 
 
 
 


Una prima versione di questo scritto è stata edita con lo pseudonimo "Virginio Mazzelli" su "Babilonia" n. 162, gennaio 1998, pp. 26-27. La presente riscrittura ingloba anche la voce scritta per il Who's who in gay and lesbian history (a cura di Robert Aldrich e Garry Wotherspoon), vol. 1, ad vocem. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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