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Dibattito Fregnani-Dall'Orto su Giacomo Leopardi e l'omosessualità:
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"MA PERCHE' INSOZZARE LA SUA MEMORIA?"

Appunti sull'opportunità di fare storia gay e sulle difficoltà da superare in questo campo.

di Giovanni Dall'Orto
 
 
   "si è costretti a ridurre ad elemento secondario, ad ammettere a mala pena, facendo di tutto per togliergli ogni importanza, l'amore di Saffo per le amiche. Ma per Saffo l'amore era tutto.

   Così (...) per "salvare" Saffo si finisce per perderla, se non intenderla è un perderla".

   (Gennaro Perrotta, Saffo e Pindaro, D'Anna, Messina-Firenze 1967, p. 40).

   Ha ragione Angelo Fregnani a sostenere che il mio studio sull'omosessualità del Leopardi risente del pubblico per cui è stato scritto. E meno male: sarei un pessimo giornalista se scrivessi fregandomene del pubblico a cui mi rivolgo. Anche se su quel "un po' troppo" ci sarebbe da ridire, ma glissons.

   Il punto è che Angelo ha più ragione di quel che pensi, nel senso che mi chiedo quanto possa capire un pubblico eterosessuale di molti dettagli che, parlando ad un pubblico gay, ho potuto dare per scontati, mentre invece per gli eterosessuali che in maggioranza leggeranno ora l'articolo sono tutto fuorché scontati.

   Vogliamo fare un esempio? Prenderò il povero Angelo stesso come cavia, laddove parlando dell'attendibilità della tesi che sostengo nel testo afferma: "Io mi limiterò a osservare che, secondo me, nella poesia leopardiana non c'è assolutamente traccia di omosessualità".

   Ebbene, noi omosessuali sappiamo che la massima parte delle persone omosessuali vive una doppia vita, nascondendo ciò che è, e che i poeti (scrittori, registi, attori, cantanti, uomini politici...) che abbiamo vista la sera prima nel bar gay (dove magari hanno insistito affinché andassimo a letto con loro) li troviamo il giorno dopo in TV a fianco della loro "fidanzata", leggendo magari le ultime poesie deliranti d'amore scritte per lei. Confessandoci poi la sera stessa nel medesimo bar che l'ispiratore è in realtà il figlio del portinaio, "ma sai, ho dovuto cambiare il sesso del personaggio per non compromettermi".

   Al di là dell'aneddotica spicciola (sto cercando di sdrammatizzare buttandola sul ridere) ciò che voglio fare osservare è che a Fregnani (come di solito a tutti gli eterosessuali) è sfuggito un punto fondamentale: nessun poeta italiano del XIX secolo parla di omosessualità nelle sue poesie (se non per insultare o ridicolizzare i sodomiti, come fa qualche scrittore di satire). Nessuno. (Chi pensa che io qui esageri faccia allora la prova: elenchi per favore, diciamo, appena cinque poeti che lo fanno. Se ci riesce, mi scriva, per favore: avrei proprio curiosità di conoscere quei nomi).

   Il tema omosessuale era infatti, è stato, e purtroppo per molti scrittori gay è tuttora, un tabù. E aspettarsi che chiunque dipenda economicamente da un padre come quello di Leopardi, sia suddito dello Stato della Chiesa e viva nel XIX secolo si metta a scrivere poesie d'amore per maschietti è una cosa che può venire in mente solo ad una persona che, essendo eterosessuale, non si rende conto di cosa sia la condizione omosessuale, cioè menzogna, doppia vita, falsità, doppio gioco, inganno.


   Ecco perché, e qui siamo finalmente arrivati al Leopardi, non ha senso la pretesa di fare ricerca storica sui personaggi gay con gli stessi strumenti che si usano per i personaggi etero. Gli amori eterosessuali vengono di solito sanciti davanti a Dio e alla società con una cerimonia apposita, e rammentati con l'uso di un gioiello indossato sulla mano sinistra 24 ore al giorno, o al limite esibiti come "conquiste". Gli amori omosessuali vengono al contrario nascosti, occultati, falsificati, censurati. Molti omosessuali passano metà della loro vita a creare depistaggi affinché non si "pensi" che loro possano essere...

   Fatica inutile, lo sappiamo. Prima o poi qualcosa trapela (chi legge queste righe pensi ai suoi colleghi di lavoro, amici, conoscenti, di cui tutti "sanno", ma che imperterriti continuano a recitare la patetica commedia dell'eterosessuale di ferro). Ma trapela sotto forma di insulto, di allusione, di insinuazione, di pettegolezzo, o peggio di processo, di scandalo, di rovina.


   Ma, si obbietterà, che importanza ha andare a riesumare certe cose? Cosa ci importa sapere che Leopardi fosse o no gay? A noi interessa la sua poesia (lo stesso Angelo è un po' di questa idea, anche se solo fino ad un certo punto, se no non mi avrebbe proposto di mettere in rete il mio articolo).

   La mia risposta a questa obiezione è: avete proprio ragione.

   Che importanza ha sapere se Leopardi fosse gay o no? Quello che conta è la sua poesia. Dunque, se certi documenti lasciano trapelare la sua omosessualità, che importanza ha? Perché scandalizzarsene? Quello che conta è la sua poesia, no? La amate forse meno? Vi ripugnerebbe, se sapeste che il suo autore era "frocio"? Vi dà fastidio leggere di Silvia, sapendo che forse era un senhal di qualche giovanotto? Andiamo, siamo seri. Quel che ci interessa è la poesia di Leopardi, non la sua vicenda biografica.

   Il fatto che un autore sia o no omosessuale è del tutto irrilevante. Dunque discutere dell'omosessualità di Leopardi non è né fuori luogo, né inopportuno, né assurdo: solo irrilevante. Infatti la sua poesia resta quello che era anche se Leopardi era omosessuale.


   Ma, mi si dirà (me lo si dice sempre!), tu non hai dimostrato che egli fosse omosessuale.

   O bella, e perché avrei dovuto? Siete voi in grado di dimostrare che io sia omosessuale? Sì è vero, io vi ho detto di esserlo, ma chi vi assicura che non mentissi? Mi avete mai colto sul fatto? Mi avete mai visto "in azione"? Ed anche se lo aveste fatto, come facevate a garantire che non si trattasse di una debolezza momentanea, o di un'esperienza fatta tanto per provare, o di una fase transitoria?

   A proposito: siete voi in grado di dimostrare di essere eterosessuali? E non sto scherzando. Voi potete dirmi di esserlo, ma io so che potreste mentire: milioni di omosessuali, ogni giorno, in ogni momento, lo fanno. Potete voi dimostrare di non essere fra quelli?

   Insomma, per dirlo in altro modo: è ora di capire che dal punto di vista della metodologia storica non ha senso il vecchio, ottuso partito preso di considerare chiunque eterosessuale fino a prova (MOLTO cogente) contraria. L'eterosessualità presunta di un personaggio storica va dimostrata, tanto quanto la sua omosessualità. E ciò vale anche per il Leopardi: è chi ritiene che egli non fosse omosessuale che ha l'onere, e l'onore, della prova. A fare pensare che proprio eterosessuale Leopardi non fosse basta una sola delle lettere che egli scrisse a Ranieri, e che provocavano la febbre al suo destinatario ancora decenni dopo l'evento, e che soprattutto farebbero impallidire qualunque genitore che ne vedesse scivolare una dal diario scolastico del figlio. E Leopardi ne scrisse due dozzine di quelle lettere, non una sola. Scusate se è poco.


   Vorrei aggiungere una constatazione a mio parere importante, ma spesso trascurata. Se per un personaggio mancano, misteriosamente, notizie di qualunque tipo sulla sua vita sessuale e su quella affettiva (se si tolgono lettere d'ardente amore per un suo amico, l'innamoramento per il giovinetto fratello di "Aspasia", varie visite notturne di sconosciuti nella notte... ovviamente), non sarà lecito né supporre che fosse eterosessuale "fino a prova contraria", né che fosse casto "fino prova contraria". Infatti alcune scelte sessuali vengono occultate agli storici, altre no, e certi spazi vuoti, certe assenza di documenti, certe mancanze di dati, per lo storico avvertito sono assai eloquenti... se si vuole capire, ovviamente. Oppure voi che leggete tenete l'elenco di tutte le vostre relazioni extraconiugali e di tutti i vostri atti sessuali a disposizione degli storici futuri? Siamo seri una buona volta, via.


   Mi fermo qui. Anche perché non mi interessa dimostrare cosa sia io o cosa siano gli altri. Ognuno è quel che gli pare, o meglio, ognuno dovrebbe avere il diritto di essere quel che gli pare (se non fa del male ad altri), e se vivessimo in una società in cui non esiste il preconcetto e la violenza contro il "diverso" ognuno potrebbe farlo senza remore.

   Ma Leopardi, ancor meno di me (che grazie all'evoluzione della società e della mentalità posso ormai, e per fortuna, scrivere tranquillamente queste righe senza essere messo alla berlina, né arrestato, né processato come sarebbe accaduto solo pochi decenni fa per "oscenità") non viveva in una società di questo tipo.

   E allora, se davvero ci interessa la poesia di Leopardi, proviamo a chiederci una buona volta (è un esercizio che non farebbe male al cervello, ogni tanto) cosa essa voglia dire.

   Se lette in un certo modo, certe poesie che esprimono l'infelicità, il senso di isolamento "cosmico" del Leopardi assumono tutt'altro significato: quello che ogni omosessuale relegato in un paesino di provincia, credendosi "unico al mondo" conosce troppo bene. Se vi interessa, esistono decine e decine di romanzi gay, ma anche di poesie, che descrivono proprio questa situazione, che è un "topos" letterario comunissimo nella letteratura omosessuale.

   Queste poesie, lette in tale ottica, assumerebbero alfine un significato (non ho detto "IL" significato, sia chiaro: ogni vera opera d'arte ha, e deve avere, più piani possibili di lettura); un significato che oggi non hanno, al punto che per "spiegare" la percezione del mondo di Leopardi si è dovuto fare del povero Monaldo un mostro, mentre egli non era né peggio né diverso da tanti altri nobili dell'epoca, e che tanto bestia o gonzo non doveva poi essere, se permise al figlio di essere ciò che fu grazie a una biblioteca sulla cui raffinatezza nessuno ha mai discusso.

   C'è stato bisogno di creare il "mostro" Monaldo per "spiegare": Leopardi era infelice per colpa sua. Ma poi, non bastando Monaldo, si è dovuto aggiunge il fatto che era tubercoloso, gobbo, e poi gli puzzava l'alito e aveva tre occhi e sette nasi... Si è detto, si è scritto di tutto per "spiegare" il pessimismo leopardiano. E lo si è fatto ad onta del fatto che il dato biografico sia irrilevante, irrilevantissimo e che "solo la poesia interessa".

   La verità è che il dato biografico conta eccome: sappiamo noi quante Pallavicino cadute da cavallo e quante aspasie e quante silvie (rimembrate ancor?) ci siamo sciroppati, volenti o nolenti, a scuola... e guai se non lo avessimo fatto! Non si può leggere Leopardi senza sapere chi fosse, da che secolo venisse, quale fosse la sua formazione culturale.

   Non si può leggere Leopardi come se fosse uno scrittore Barocco né il Marino come se e fosse uno scrittore Romantico: ad ognuno il suo.

   Il dato biografico conta, e molto, e se gli italiani, a partire da Croce (quello steso Croce che sconsigliò la pubblicazione dei Neoplatonici, l'opera omosessuale di Settembrini, dimostrando che per lui il dato biografico contava, eccome), hanno rinunciato a capire il contesto da cui nacque la loro stessa letteratura (per paura di quello che avrebbero potuto scoprirvi di "scandaloso" e "non inquadrato", non ingessato, non "ideale"), questo non è affar mio, né colpa mia.



 
E se tutte queste argomentazioni non avessero ancora convinto, voglio chiudere con una domanda.

   E se l'idea dell'omosessualità del Leopardi desse fastidio perché la lettura delle sue poesie fa emergere quanto poco diversi siano i "diversi", quanto loro amino, odino, sperino, soffrano esattamente come gli altri? Quanto i loro sentimenti si rispecchino in quelli del lettore eterosessuale, che invece pretende, presume e dà per scontato di essere molto molto diverso (cioè molto molto migliore, superiore, molto più morale e più giusto) da qualunque "frocio" di questo mondo?

   In fondo è così. Come l'ebreo di Malta, anch'io, se mi pungete, sanguino, anch'io sono fatto di carne ed ossa come voi. Anche Leopardi. Per chi ci tiene ad essere a tutti i costi "diverso" questa è un'idea insopportabile.

   Peccato per lui/lei.

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