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Francesco Berni (1498-1535)

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NOTA BENE. Questo testo è un semplice "appunto", condiviso in attesa di trovare il tempo
per curare o farne curare la traduzione, il commento, o entrambe le cose.
 
Da: Carmina [1111[1] 
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5.  
Elegia de puero peste aegrotante
5. 
Elegia su un ragazzo malato di peste.
Ergo te, miserande puer, fata improba, fata 
impia, fata meis inuida deliciis, 
eripuere? meisque oculis tua tristia cernam 
funera, et infelix ipse superstes ero? 
Et potero infelix tantum spectare dolorem, 
et non in lacrymas ire et in exitium?
Dunque, il destino malvagio, il destino empio 
il destino invidioso delle mie gioie, mi ha portato via te, povero ragazzo? 
Vedrò con i miei occhi i tuoi tristi funerali 
e sopravviverò infelice a te? 
Potrò, infelice, assistere a tanto dolore, 
non finire in lacrime e in rovina?
Ergo me miserum illa eadem fata improba, fata 
impia, fata meis inuida deliciis, 
seruauere, tuis superessem ingratus ut annis, 
et desiderio conficerer misero? 
Vt te crudeli consumptum peste uiderem, 
et ferrem tristes munera ad exsequias? 
Te ne rogo positum sine me, mea uita, uidebo, 
nec me eadem absumptum flamma inimica feret?
Dunque, quello stesso destino malvagio, empio, 
invidioso delle mie gioie, salvò me infelice 
che non sono degno di sopravvivere ai tuoi anni, 
e sono abbattuto da un infausto desiderio? 
Come posso vedere te consumato dalla peste crudele, 
e portarti doni alle tristi esequie? 
Come potrò vederti, vita mia, posto sul rogo senza di me, 
e non lanciarmi nella stessa fiamma nemica che ti consuma?
Haud ita mi suadebit amor pietasque dolorque; 
namque simul tecum me illa perire iubent.
Non certo così mi esorteranno l’amore, la pietà e il dolore;  
e infatti mi ordinano di morire insieme con te.
Scilicet hoc scelus admissum purgabimus in te, 
quod tibi supremo in tempore defuimus; 
quod, nimium uitae memores stultique timoris, 
debita amicitiae clausimus officia.
Così riscatterò questa disgrazia caduta su di te,  
poichè non ti sono stato vicino nell’ora estrema;  
poichè, troppo memore della vita e dello stolto timore,  
ho dimenticato gli obblighi dovuti all’amicizia.
Et puto, care puer, sensisti; et saepe timentem 
incusasti: o mi quae satis hiscat humus? 
O mihi quae ueniant pro tali praemia culpa 
digna? meum ueniant in mala cuncta caput.
E penso, caro ragazzo, che te ne sei accorto; 
e spesso hai accusato me che avevo paura: 
”Oh è meglio che per me si apra la terra? 
Oh quali premi degni di tale colpa mi toccheranno? 
Possano giungere tutti i mali sulla mia testa”.
Non ego suppliciis exponi perfidus ultra 
deprecor; aut uitae deprecor exitium, 
quae mihi te uiuo ut fuerat gratissima quondam, 
nunc eadem exstincto tristis et aspera erit.
Io, sleale, prego con suppliche che non soffra oltre; 
o prego che abbia termine la vita,  
che un tempo, quando eri in vita, era stata per me la più cara, 
ora, invece, che sei ormai morto, sarà triste e dura.
Pestis iniqua, proterua, incommoda, pessima pestis, 
pestis auara, bonorum omnium acerba cinis, 
tu ne mei pueri uultus inimica nitentes 
ausa es pallidulis commaculare notis? 
Agnoui certe uitiati signa coloris, 
obscuras gemini luminis esse faces, 
et tamen ignarus causas meditabar inanes: 
non erat ad tantum mens bene docta malum.
Peste ingiusta, sfrontata, molesta, pessima peste,  
peste avida, precoce rovina di tutte le cose buone,  
tu, nemica del volto splendente del mio ragazzo, 
hai osato macchiarlo con pallide macchie?  
Ho ben riconosciuto i segni del colore infetto,  
la luce dei suoi occhi che si oscurava,  
e tuttavia pensavo, ignaro, a cause senza importanza:  
la mia mente non era ben preparata a tanto male.
Tu ne etiam scelus hoc, morienti ingratus abessem, 
tu potuisti, essem ut immemor, efficere? 
O Di, quale malum terris in peste dedistis! 
An ne aliud fors crudelius aut grauius? 
Qua natos patres, nati fugere parentes, 
coniugiique manet non bene firma fides; 
ipsa sibi est odio natura et se fugit ipsam, 
cessat et humanae foedus amicitiae.
E anche tu, ingrato di non essere stato vicino a lui che moriva,  
hai potuto compiere questo misfatto, incurante di come stava?  
O Dei, quale male avete mandato in terra con la peste!  
Forse ce n’era un altro più grave o più crudele?  
Per questa, i padri lasciano i figli, i figli lasciano i genitori,  
e la fedeltà dell coniuge non resta ben salda;  
la natura stessa la odia e la fugge,  
rompe anche il legame di amicizia tra gli uomini.
Quin etiam in sacros pestis mala saeuit amantes, 
et quoque nescio quid pessima iuris habet. 
Illa modo nimium uitae me fecit auarum, 
et memorem pueri non satis esse mei.
Anzi la malvagia peste infierisce sui sacri amanti,  
e non so neppure perché compia questa grandissima ingiustizia.  
Ora essa mi ha reso troppo avido di vita,  
e non abbastanza memore del mio ragazzo.
Tu potuisti, inimica, incommoda, pessima pestis, 
in tam coniunctas ferre manus animas? 
Ergo qui omnia uincis Amor, cui caetera parent, 
unum non potes hoc perdomuisse malum? 
At poteram domuisse ego perditus: una uoluntas 
defuit; una, puer, culpa putanda mea est.
Tu hai potuto, nemica, molesta, pessima peste,  
fare violenza contro due anime unite così strette?  
Dunque, Amore che tutto vinci, a cui ogni cosa obbedisce,  
non puoi soggiogare solo questo male?  
Invece, avrei potuto soggiogarlo io, infelice: solo la volontà  
mi è mancata; solo a me, ragazzo, va imputata la colpa.
Debueram tecum stratis iacuisse sub isdem, 
et conferre tuis oribus ora mea; 
his etiam saeuo de uulnere dira uenena 
exhaurire, et tecum inde perire simul.
Avrei dovuto giacere con te sotto quelle coperte, 
e unire le tue labbra alle mie;  
e con esse anche assorbire dall’orribile piaga i funesti veleni  
e quindi morire insieme con te.
Non ego nunc furiis agitari nempe uiderer, 
attonitusque umbras effugere ante tuas. 
O quibus iratos placem pro crimine manes 
suppliciis, proque impietate mea?
Ora io non sembro affatto sconvolto dai rimorsi, 
e fuggo, attonito, davanti alle tue ombre. 
Oh con quali preghiere placherò le adirate anime dei morti 
per il mio crimine e la mia empietà?
Non mea multiplices ueniant si in crimina mortes, 
crimina multiplici morte queam luere.
Se molteplici morti non troveranno i miei crimini,  
potrei espiare i crimini con una molteplice morte.
Parce puer, quaeso, atque ulcisci desine amantem: 
non decet a cinere et funere saeuitia.
Ti prego, ragazzo, risparmia e cessa di vendicarti dell’amato:  
non si addice alla cenere e al cadavere la crudeltà.
Sic tua non onerosa cubet super ossa sepulti, 
et tibi perpetuo florida uernet humus.
Così non giacerai sepolto sopra le tue pesanti ossa,  
e la terra rinverdirà fiorita su di te in eterno.
 
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6.  
De sanitate eiusdem pueri.
6. 
Sulla guarigione del medesimo ragazzo.
Gaudete, o lepidi mei sodales, 
Victori optime, tuque Carnesecca, 
et profundite tota gaudiorum 
semina interioribus medullis, 
risu et murmure et omnibus cachinnis.
Gioite, miei cari amici, 
ottimo Vittorio e tu, Carnesecca, 
e sprizzate gioia da tutti i pori, 
..... 
con il sorriso, il chiasso e ogni tipo di risata.
Gaudete et reliqui mei sodales 
quos gaudere bonis decet sodalis: 
meus nam puer ille conualescit, 
ille, inquam, puer, ille conualescit 
cui nos carmina maesta dixeramus 
nuper, quem mala febris occuparat 
et contagia pestilentiarum;
Gioite, anche tutti gli altri miei amici, 
che è bene rallegrarsi del bene degli amici: 
infatti quel mio ragazzo è guarito, 
lui, dico, proprio quel ragazzo 
a cui avevo dedicato di recente tristi poesie, 
che era stato colpito da una brutta febbre 
e dal contagio della peste;
ille, inquam, e manibus tenebricosis 
Orci et pallidulis nimis tenebris 
uitae ad lumina restitutus almae est.
lui, dico, è stato restituito, alla viva luce della vita 
dalle tenebrose mani della Morte 
e dalle profonde tenebre che fanno impallidire.
Gaudete, o lepidi mei sodales, 
quos gaudere bonis decet sodalis.
Gioite, cari miei amici, 
che è bene rallegrarsi del bene degli amici.
 
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9.  
Angelo Diuitio. [1523]
9. 
Ad Angelo Divizi da Bibbiena.
Ergo ego te, ante alios unum quem semper amaui, 
unum quem petii toto animo atque anima, 
cui mea deuotis mens dedita sensibus uni 
iampridem a teneris seruiit unguiculis, 
cogor in extremas abiturus linquere terras, 
et triste infelix mittor in exsilium?
Dunque io, che ho sempre amato solo te più degli altri, 
che ho desiderato solo te con tutta la mente e l’anima, 
che ho dedicato solo a te il mio pensiero con sentimenti devoti 
già fin dal tempo dell’infanzia, 
sono costretto a lasciarti andare verso terre lontane 
e sono mandato, infelice, in un triste esilio?
Nec tamen id merui; nisi amor facit ipse nocentem 
et titulus culpae est perdite amasse meae.
Ma io non merito questo; a meno che l’amore in sé mi renda colpevole 
E il nome della mia colpa sia aver amato perdutamente.
Odissem! hinc certi sceleris, puto, praemia ferrem, 
nec caris miser auellerer ex oculis. 
Ibo equidem quocumque ferent tua iussa, libensque, 
ut placeam, caris auferar ex oculis.
Almeno ti odiassi! Penso che trarrei vantaggio da questa sicura disgrazia, 
E non dovrei staccarmi, infelice, dai tuoi cari occhi. 
Quanto a me, andrò dovunque mi porteranno i tuoi ordini, e volentieri, 
come desideri tu, starò lontano dai tuoi cari occhi.
Perpetiar quicquid crudele et quicquid acerbum est: 
sed certe uestra est haec amor inuidia.
Sopporterò qualunque cosa crudele e dura: 
ma certamente questa tua ostilità è amore. 

[Nota, da fare: Del Berni abbiamo tre sonetti, datati 23 gennaio 1523, scritti al Divizi nella stessa occasione: l'esilio in un'abbazia abruzzese per punirlo di una colpa di tipo omosessuale.

 
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10.  
Angelo Diuitio. [1523]
10. 
Ad Angelo Divizi da Bibbiena.
Si qua fides usquam mortalibus, Angele, habenda est 
pro pietate animi et moribus ingenuis, 
dum sibi conscia mens nihil aut fecisse maligne 
aut dixisse ullo in tempore se meminit,
Se i mortali devono mai avere qualche fiducia, Angelo,  
per la pietà d’animo e i nobili costumi,  
mentre la mente in piena coscienza ricorda  
di non aver detto o fatto nulla di male in nessun tempo,
Sed sanctam coluisse fidem, sed foedera sancta 
aeruasse, et sanctas semper amicitias; 
debetur certe nobis haec plurima apud te 
pro pietate animi et moribus ingenuis.
ma anzi di aver praticato una sacra fede, rispettato i sacri precetti 
e sempre le sacre amicizie (seruasse?);  
dovresti darmene certamente moltissima, 
per la pietà d’animo e i nobili costumi.
Nam quod perditus ante malo flagrauerim amore, 
et fuerim toto infamia nota foro, 
pro quo te caruisse, diuque ingratus abesse 
debueram, et tristes extimuisse minas, 
crede mihi, fuit id fortunae crimen iniquae, 
non morum aut animi non satis ingenui; 
fortunae omnipotentis, apertum in corpora nostra 
inque animos late quae gerit imperium, 
mergens fortia colla profundo uortice amoris, 
et torquens caecis corda cupidinibus.
Infatti, quando arsi perdutamente di un amore maligno, 
fui bollato d’infamia in tutta la corte, 
per cui dovevo stare senza te, starti lontano, infelice, a lungo, 
e temere serie minacce, 
credimi, questo fu colpa di una sorte ingiusta, 
di un animo e di costumi non abbastanza nobili; 
della sorte onnipotente che ha potere chiaro 
sui nostri corpi e ampio sui nostri animi, 
mentre affonda forti colli nel profondo gorgo dell’amore,  
e tormenta i cuori con cieche passioni. 
Quae licet oblitumque hominum oblitumque Deorum 
extremam prorsus me ingerit in rabiem, 
nulla tamen rabies fuit aut uis effera tanti, 
quae tete nostro auelleret ex animo; 
te quem longus amor media in praecordia fixum 
iussit in aeternos usque manere dies; 
cuius amorem nulla iniuria temporis unquam 
aut hominum nostro e pectore dissoluet, 
quidquid erit posthac, quaecumque hominumque Deumque 
Fortunaeue in me dictaque factaque sint.
Anche se esse, che macchiarono gli uomini e gli dei, 
mi gettano proprio nella rabbia estrema, 
tuttavia non ci fu nessuna rabbia o forza tanto furiosa, 
che potesse togliere proprio te dal mio cuore; 
te che hai fatto sì che un lungo amore rimanesse fisso 
in mezzo al cuore per l’eternità; 
il cui amore non potrà mai essere staccato dal mio animo 
da nessuna offesa del tempo o degli uomini, 
qualunque cosa succederà d’ora in poi, qualunque cosa sia fatta o detta contro di me 
dagli uomini, dagli dei o dalla sorte.
Quare si hactenus insano labefactus amore 
admisisse in te noxam aliquam potui, 
pro qua te caruisse, diuque ingratus abesse 
debuerim, et tristes extimuisse minas, 
ignosces; etenim post longa incommoda, longa 
supplicia et longi dedecus exsilii, 
denique post demptam per saeua piacula labem, 
si qua erat, irarum desinere usque decet;
Perciò, se finora, sconvolto da un insano amore, 
ho potuto comettere verso di te qualche errore, 
per cui dovrei stare senza te, starti lontano, infelice, a lungo, 
e temere serie minacce, 
lo sai; e infatti dopo lunghe difficoltà, lunghi supplizi 
e il disonore di un lungo esilio, 
e infine, dopo aver tolto l’onta (se mai ce n’era una) 
con duri sacrifici, conviene che si abbandonino per sempre i moti d’ira;
et mihi reddere te, et uiuacem exstinguere curam, 
quae pectus tristi torquet amaritie; 
ne forte Adriacas si unquam uesanus in undas 
deferar, heu uestris naufragus ex oculis, 
aut terra ignota iaceam neglectus, et exsul, 
et matutinis praeda data alitibus, 
dicaris miserae mortis tu causa fuisse, 
et tua sit nostri funeris inuidia.
che io ritorni a te, e che plachi l’affanno ancora vivo, 
che ti tormenta il cuore con triste amarezza; 
affinchè, se per caso, impazzito, mi gettassi nelle onde dell’Adriatico, 
oh naufrago ai vostri occhi, 
o dovessi giacere in una terra sconosciuta, abbandonato ed esule, 
dato in pasto agli uccelli del mattino, 
non si dica che sei stato causa di una morte infelice, 
e non sia tuo l’odio per la mia morte.
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L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

Note 

[1] Il testo da: Francesco Berni, Carmina, come a suo tempo pubblicato online dal defunto sito "Poeti d'Italia in lingua latina", che riproduceva l'edizione a cura di M. Scorsone, ______, _____ 1995. 

La traduzione dal latino, inedita, è di Pierluigi Gallucci, che ringrazio per il l'aiuto. 

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