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LA "TOLLERANZA REPRESSIVA" DELL'OMOSESSUALITÀ.

Quando un atteggiamento legale diviene tradizione.

Sezione 1-2 di 13
 
di: Giovanni Dall'Orto 
[1]

La copertina di ''Omosessuali e Stato'' (Cassero, Bologna 1988).



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Indice del presente saggio:

1. Premessa
2. La codificazione preunitaria
3. La natura del controllo sociale religioso: cattolicesimo e calvinismo
4. "Riesce più utile l'ignoranza del vizio"
5. Il "patto sociale" fra lo Stato italiano e gli omosessuali
6. La repressione sabota la "doppia vita"
7. Il fascismo e il codice Rocco
8. Fascismo e omosessuali: riassunto d'una ricerca d'archivio
9. Tradizione o "continuismo"?
10. Tentativi d'introduzione di leggi antiomosessuali nel codice penale italiano
11. E oggi?
12. Interrogativi sul futuro
13. Conclusione


I1. Premessa

l tema che mi è stato assegnato, l'evoluzione storica dell'atteggiamento dello Stato italiano nei confronti dell'omosessualità, può forse apparire un po' arido. 
Contrariamente alle apparenze, invece, si tratta di una questione d'estrema importanza per chi vuole capire (e combattere) la posizione odierna dello Stato nei confronti degli omosessuali.

Perché faccio questa affermazione? Ma perché in Italia esiste da quasi due secoli una tradizione giuridica mai messa in discussione (nemmeno durante il fascismo), tramandata di generazione in generazione dall'inizio dell'Ottocento ad oggi, che è tuttora assai viva.

Lo stesso codice penale attualmente in vigore in Italia (il "Codice Rocco", approvato nel 1930), è nato all'interno di una tradizione legislativa consolidata: quella del Code Napoléon, cioè del codice penale imposto da Napoleone a tutte le nazioni da lui conquistate o controllate.

Questo nuovo codice, benché costituisse sotto molti punti di vista una "restaurazione", per molti altri era figlio legittimo della Rivoluzione francese. Il suo modo di trattare dei comportamenti sessuali "devianti" è fra questi ultimi: l'omosessualità in quanto tale non è infatti neanche nominata.
È una decisione davvero "rivoluzionaria", e contrasta con l'atteggiamento prevalente nel resto del mondo occidentale, dove la pratica omosessuale era ancora un crimine punibile con la morte.[2].
.
Ovviamente una decisione così audace non nacque dal nulla: al contrario fece tesoro di un lungo dibattito sull'inumanità della condanna capitale contro i sodomiti (e non solo), sviluppatosi fra gli illuministi a partire da Montesquieu e Beccaria.[3].


2. La codificazione preunitaria

Furono pochi gli stati italiani che dopo la caduta di Napoleone seppero rinunciare a uno strumento così adatto ai tempi come il "suo" codice penale. In molti casi esso rimase "provvisoriamente" in vigore, con le ovvie modifiche necessarie ai nuovi padroni; in altri costituì il modello su cui fu ricalcato un nuovo codice penale. 
Solo i Savoia e il Papa ebbero il coraggio (e la follia reazionaria) di abolirlo completamente e richiamare in vigore, in blocco, la legislazione pre-rivoluzionaria.

Questa circostanza spiega perché l'omosessualità in quanto tale non costituisse un reato per quasi tutti i codici penali italiani pre-unitari, con la sola eccezione di quello austro-ungarico (che era in vigore nel Lombardo-Veneto) e di quello del Regno di Sardegna.[4].

Questa "eccezione" ebbe comunque un'importanza notevole, perché il codice penale del Regno di Sardegna fu esteso nel 1860 al resto dell'Italia appena unificata. Il famigerato articolo 425, che puniva gli atti omosessuali su querela di parte o in caso di "scandalo", entrò così in vigore anche nelle altre province del neonato Regno.

Ci fu però un'eccezione molto significativa: al momento di promulgare il "nuovo" codice nell'ex-Regno delle due Sicilie, l'art. 425, assieme a pochi altri, fu abrogato [5].
È questo un sintomo del disagio con cui le bigotte disposizione legislative sarde sull'omosessualità venivano accolte nel resto d'Italia. 
Si tratta anche di un implicito riconoscimento degli effetti devastanti che una legge repressiva avrebbe avuto sui costumi del Sud Italia, dove una fase di comportamento omosessuale veniva data implicitamente per scontata nella vita di ogni individuo. 
Fu insomma una prima, silenziosa ammissione della diversità fra le due "culture" dell'omosessualità, quella mediterranea e quella nordica, esistenti anche oggi in Italia.

Di fatto si giunse comunque a un paradosso: la pratica omosessuale fra adulti consenzienti poteva costituire un reato a Torino, Milano, Cagliari o Ancona, ma non a Firenze, Napoli, Bari o Palermo. Una situazione decisamente anomala.

Quando però venne il momento, dopo interminabili discussioni, di promulgare il primo codice penale veramente "italiano" (il codice Zanardelli, del 1889), il contrasto fra le due disposizioni legislative fu risolto una volta di più secondo la tradizione del codice napoleonico. Quello omosessuale ritornò così ad essere un comportamento che, se compiuto fra adulti consenzienti in privato, non era preso in considerazione dalle leggi.
 

L'Italia in una mappa del 1855
L'Italia in una mappa del 1855

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L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.
Note

[1] Originariamente edito in: Arci gay nazionale (a cura di), Omosessuali e Stato, Cassero, Bologna 1988, pp. 37-57, che proponeva gli atti d'un convegno di studi dell'Arcigay sulla legislazione italiana, tenuto a Roma il 20 giugno 1986. 
La trascrizione del mio intervento è stata rivista e notevolmente accresciuta nell'agosto/settembre 1987. Da qui l'anacronismo dei riferimenti a fatti e testi successivi al giugno 1986.

[2] Si noti come nei Paesi di tradizione anglosassone la pena di morte sia sopravvissuta più a lungo: ancora nei primi decenni dell'Ottocento si registrano in Gran Bretagna esecuzioni capitali per buggery
(Si veda al proposito Louis Crompton, Byron and Greek love, University of California press, Berkeley e Los Angeles 1985, e la ricca bibliografia ivi citata).

Ciò dovrebbe metterci in guardia (specie in campo storico) contro l'abitudine di applicare al mondo del "codice napoleonico" conclusioni tratte da studi sul mondo anglosassone, come fanno allegramente gli adepti della "Queer theory" e del "costruzionismo storico", senza tener conto della diversità delle tradizioni giuridiche e sociali.

[3] Charles de Montesquieu, Lo spirito delle leggi (1748), varie edizioni, libro XII, cap. 6.

Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (1764) varie edizioni, capitolo: "Delitti di difficile soluzione: l'àttica venere".

Voltaire, Prix de la justice et de l'humanité (1777), article XIX ("De la sodomie"), in: Oeuvres complètes, Aux bureaux du siècle, Paris 1869, tomo V.

[4] Si veda al proposito la bibliografia in breve sui codici penali preunitari, facendo clic qui

[5] Si veda in proposito la Relazione luogotenziale presentata a S.A.R. il principe luogotenente dalla commissione per gli studii legislativi istituita con decreto del 6 febbraio 1861
L'ho consultata in: Vincenzo Cosentino, Breve commentario al codice penale italiano, Sarracino, Napoli 1866, alle pp. III-XVII. 
Vi si motivano le ragioni politiche di questa scelta.


Originariamente edito in Arci gay nazionale (a cura di), Omosessuali e Stato, Cassero, Bologna 1988, pp. 37-57.
Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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