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Domenico Tempio (1750-1821)

Ritratto di Domenico Tempio
Domenico Tempio.

Il Padre Siccia [1]

 

Interlocutori[2]
  • Padre Siccia
  • Pipuzzo 
Camera del Padre Siccia con porta chiusa

Padre Siccia
Sentimi…

Pipuzzo
A questo prezzo
ascoltarvi non posso [3].

Padre Siccia 
Io ti scongiuro
per quel ch’ài di più caro, anima mia,
compiàcimi.

Pipuzzo
Di che?

Padre Siccia
Che tu m’ascolti,
che mi lasci parlar: sì, questo almeno
concedimi, e dipoi
dimmi, libero sei, quel che mi voi.

Pipuzzo
Lo permetto, ma prima
àprasi quella porta.

Padre Siccia 
E l'esser chiusa
qual'ombra ti darà?

Pipuzzo
Camera è questa
di monaco: noi soli,
voi frate, io giovinetto,
e non volete che mi dia sospetto?

Padre Siccia 
Quanto sei scrupoloso! Io non approvo
cotanta [4]-austerità.

Pipuzzo
Sensi-[5]
son questi, che voi saggio Maestro,
m'insegnasti finor.

Padre Siccia 
Si, lo confesso,
ma usarli ancor con me, quest'è un eccesso.
Orsù, siedi per poco,
ed attento mi ascolta [6].
Ah! Perché mai
t'arrossisci nel viso
e stupito mi guardi? Hai tu si puoche
prove di me, che dir ti possa mai
cose di tuo spiacer-[7]? Sentimi, e quieta
il commosso tuo spirto, e lieto attendi [8]
a quanto io ti dirò… Dimmi (ti è noto,
negar nol puoi) se ti ricordi… Ah parmi 
ieri, e pur son tre lustri! [9]
quando su queste braccia
mi crescesti bambin?

Pipuzzo
Tutto rammento.
E mi sembra pur or: sugl’occhi ho ancora
quanti teneri baci
m’imprimeste sul viso
con quei tumidi labbri, ed ogni bacio
rammento ancor, ch’era sì lungo e greve
ch’io mi sentiva il fiato
dai polmoni tirar: rammento ancora
le carezze, e la mano
che in braccio mi tenea, sempre del mio culo
le natiche a palpar…
 

Un frate confessa un adolescente. Incisione tardo-settecentesca.
Un frate confessa un adolescente. Incisione tardo-settecentesca.

Padre Siccia
Ah per la gioia
mi sento morir! Godo che tutto
rammenti a parte a parte.

Pipuzzo
E ben, per questo [10]?

Padre Siccia
Sentimi, figlio, e lascia dirmi il resto.
Già ti rammenti adunque
quai principii ha il mio amor; sin dalle fasce
conobbi ed ammirai
queste belle sembianze. E forse errai?
(lo accarezza)

Pipuzzo
Ma, padre mio, che giova,
ridirlo, se lo so?

Padre Siccia 
Scrupoli? Addio, (s'alza)
non parlo più. Così finir la lite
dovea, io lo previdi.

Pipuzzo
E via, seguite.

Padre Siccia
Crescesti, e così fino (siede)
così amabile e grato,
ch’io, se lo vuoi saper, sera e mattino
aveva tentazion per quel tondino;
e ottener lo potea; tanta in quel tempo
sopra il tuo cor d’autorità tenea.
Ma la tua nol permise
tenera età, ma che poteva allora
se fraschettino insano
di latte ti fetea la bocca e l’ano? 

Or mentre in questo stato
tempo aspetto miglior, ecco a lasciarti
costretto io parto. Ah chi ridirti allora
potrebbe il mio dolor? In queste arrivo
etnee contrade, e qui il soggiorno ho fisso [11].
Qui chi può dirti quanto
ho sofferto sinor? La rete stendo
su i migliori, e li prendo. Io della preda
contento esulto; non sapea meschino
il nuovo stil di questi
ingrati bardassoni-[12]. Al primo aspetto
affabili ed amici
li trovo, me gli accosto, e poi, secondo
il mio costume usato,
m’insinuo a puoco a puoco: 
qual son mi svelo, non trovai durezze
anzi proclività: navigo in porto,
dicea tra me. Così la mente io pasco
di future speranze. Ardo frattanto
di libidine ognor; un detto, un cenno
or dubbio ed or palese
dimostro; or colla mano
palpo, accarezzo, insisto: anzi di loro
me ne stuzzica ognun, m’istiga. Allora
replico i colpi, e m’abbandono. Indegni!
Potresti mai supporti
nel vederli sì affabili ed umani,
poi nel miglior scapparmi dalle mani?

Senza profitto adunque
buggiaron mi divulgo, e da per tutto-[13]
va la garrula fama
ripetendo il mio nome: e nasce a ognuno
di vedermi il prurito,
e son da tutti dimostrato a dito.

Miser, che far potea? Fu mia ventura
l'esser monaco allor, che di lor baie
alzando al teschio toso
la duplice cuculla
chiudea l’orecchie e non sentiva nulla [14].

Quindi, escluso da lor, volgo la mente
all’infima plebaglia. Il mio costume,
o la necessità fosse, o il desio,
con poch’esca vi arriva,
e tirai ognor dei buoni pesci a riva.

Un frutto, un pomo, un fico, o noce dura
io v’impiegava, ma con molta usura.
Fra cotanta abbondanza
lieto io vivea quasi in mio centro, e il cazzo
altro d’allor non feo
che pascersi ogni dì, di cul plebeo.

Pipuzzo
Voi m’avete confusa 
la mente, o Padre Siccia,
il pelo a tanto orror già mi s’arriccia [15].

Padre Siccia
Come? T’arriccia il pel? Forse che udisti
draghi, leoni colle fauci orrende
venirti a divorar? Oh se sapessi
ciò che al mondo si fa, ti sembrerebbe
questo ch’or ti spaventa
o niente affatto, o pure
leggerissimo mal. A chi si ruba?
Chi mai s’uccide-[16]? A cui
la fama si detrae? Eh via confessa,
persuàditi, o figlio,
regola da più grande il tuo consiglio [17].

Pipuzzo
Terminate il discorso.

Padre Siccia
Ecco che visto
o notato vi son. Si sa per tutto
la mia tresca lasciva, e quanto io futto,
questo fu un nuovo inciampo 
per me: che nol sapesse
il mio Provincial [18] temo e pavento.

Né invan; poiché l’udìo
da penna monacal: volea ridurmi [19].
in paese lontano. Io, frapponendo
amici e protettor, lo sedo a patto
ch’io più non praticassi
l’usate porcherie (così chiamando
l’innocente piacer). D’allora in poi
mi son vissuto oscuro,
spargendo sempre la midolla al muro [20].

Ma eccoti gli effetti
del provvido destin, ch’ebbe pietate
di me: venisti tu. Ah così bello!
Fuor d’ogni mia speranza
sorpreso ti mirai, che, allor Pipuzzo
giunse al mio naso del tuo culo il puzzo.

Queste fur le cagioni
per cui sempre geloso
t’ho guardato finor; come preziosa
gemma ti custodii, ch’altri non voglia
rapirmela di man. D’insidie occulte
t’ho scampato e difeso. Io t’insegnai
come evitar dovresti
dei compagni malvagi
le pratiche funeste, 
e conservarti in queste
illibato il tuo cuor, come guardarti
dai lupi frappatori [21],
i quali tutto il giorno
biechi e maligni ti si fanno intorno.

Vedesti il mio gran zel: fuggi, ti ho detto,
fuggi ciascun di lor, Pipuzzo amato,
per farti cibo del mio sol palato [22].
 

Prete e giovane. Incisione tardo-settecentesca
Prete e giovane. Incisione tardo-settecentesca.

Pipuzzo
A chi? Siete in error.

Padre Siccia
Sarebbe questo
per me forse un delitto
di lesa maestà?

Pipuzzo
Non lo farei, a costo di morir.

Padre Siccia
Codesta ammiro
tua gran severità: ma tu non sai
che maggiormente innamorar mi fai?

Pipuzzo
Ed io…

Padre Siccia
Che mal vi fosse [23]?

Pipuzzo
E ad usar m’indurreste
cotanta oscenità, né arrossireste?

Padre Siccia
E che perciò [24]?

Pipuzzo
Io nel pensarvi solo
gelo d’orror

Padre Siccia
L’apprensione, o figlio,
ingrandisce gli oggetti, e dove mai
non fur, nascer li fa. Uno sfogo onesto
fra dei teneri amici
chi mai lo proibì? Siam orsi o lupi
o selvatiche belve?
E pur entro le selve ancor s’annida
genio, amore e piacer, e tu non vuoi,
e ti fa orror perché si trova in noi [25]?

Pipuzzo
Se questo è ver, perché l’andare al tondo [26]
vietano le leggi, e lo detesta il mondo?

Padre Siccia
Sempliciotto che sei, né fino ad ora
ti sei avveduto ancor che in apparenza
si vuol così ma che spiando addentro
frate non troverai, né sacerdote
che al cul non scioglierà supplici note.

Pipuzzo
E si pecca sì franco? È un simil fallo
empio, atroce e nefando…

Padre Siccia
Oh che follia!
Taci, perché non sai la Teologia.

Questa sì bella usanza
da Sodoma abbruciata 
fu sodomia chiamata: 
ma perché sia peccato
io non capisco ancor.

Sì: l’adulterio è tale
che sia dal ciel punito,
la fede coniugale
viene a tradirsi allor [27].

Sta il gran peccato espresso
nell’accoppiarsi insieme
diversità di sesso [28];
ma se si sparge il seme
tra l’uomo e l’uomo istesso,
che ciò non <sia> permesso
portami un argomento,
una ragione, ed io
questo cular desio
discaccerò dal cor.

Pipuzzo
< (Fra sé) > (Quali scosse son queste
per la coscienza mia! Io a poco a poco
comincio a vacillar). E ben si voglia
lecito un tale eccesso,
ma una legge poi
ei non si fa per obbligar pur noi [29]?

Padre Siccia
Ecco la legge: io già ti ho colto in punto
che non puoi replicar. Dell’amicizia
legge più santa e giusta
forse si dà? Si può trovar nel mondo
vincolo più tenace
della vera amistà? Questa ti astringe
questa lo vuol, che le dirai [30]?

Pipuzzo
Le dico
che non è buggiarone un vero amico.

Padre Siccia
E ancora insisti, e ancora
vuoi farmi spasimar? D’onde in te nasce
cotanta crudeltà? Libico serpe
o pur nimeo leone
tua madre ingravidò? O tigre ircana [31]?
Non è gran fatto al fine [32]
se compiaci un amico
che ti serve fedel; che i giorni suoi
sagrifica con te; che per te solo
patria, amici, parenti
non cura, non distingue e non rispetta.
Ho tutti abbandonato
per unirmi con te; l’odio di tutti
per te son divenuto,
ed or… barbaro fato!
Che più mi resta? Oimè! Son disperato.
(s’alza)

Pipuzzo
Sedete, così presto
Vi scaldate?

Padre Siccia
E forse
non mi scaldo a ragion? Per tutto [33]-io servo,
per tutto io vò, si tratta
disfar la vita mia?
Io non la curo. E poi
se un frivolo dimando
ridicolo piacer, tè, Padre Siccia, 
che l’ottenesti pur! [34]-Io per tutt’altro
giovo, assisto, fatico, e sol per questo
dunque son io mal buono?
Dunque così ricompensato io sono?

Pipuzzo
Ah!

Padre Siccia
Tu sospiri? Forse
di pietà sarà segno
questo tuo sospirar?

Pipuzzo
Né di pietate
è segno, né di amor. Il meritato
del ciel supplicio io miro
alla superbia mia, perciò sospiro.

Qual tortorella audace
spiegai tropp’alto il volo
per evitar lo stuolo
degli empii cacciator.

Né vidi il mio periglio
che per volar tant’alto
mi diedi nell’artiglio
del nibio-[35]-rapitor.

Padre Siccia 
Che ingratissimi sensi [36]
son questi, o figlio! Dunque il nibio io sono?
Ah! Se così mi dici
vuoi trafiggermi il cor. Ah! Se tu fossi
dentro il mio petto per vederlo, ingrato,
come avvampa per te, forse quell’alma
sì rigida e severa
si desterìa a pietà. Qual fallo è il mio,
se tu sei bello, e la bellezza tua
m’abbaglia, mi sorprende,
e ad amarti mi tira?
Son forse delinquente,
se il genio [37], il mio costume,
la debolezza mia
mi trascinano a te? È mia la colpa
se tu porti nel cul sì bella polpa?

Aggiungi a questo ancor l’innata al culo [38]
mia gran proclività; dei tempi andati
il critico tenor; le ardenti brame
che mi apporta il digiun; l’averne al fianco
la ria tentazion; tu bello, ed io
tutto genio per te, tutto grato e fino,
tu per me tutto amore,
io buggiaron di cuore.
Colla preda alle mani,
col boccon sulle labbra,
con te… Eh via spietato
vuoi ch’io sia di macigno, un tronco, un marmo
senza carnalità? Saresti, dimmi,
inflessibile ancor? Non ti sei reso?
Taci, e mi guardi ancor? < (Fra sé) > (il pesce è preso).

Su su non ti arrestar; brevi momenti
saranno, il tempo, il luogo
cospirano con noi. Siam soli; ah vieni,
vieni, mostrami alfine
l’illibato tuo cul! Che tardi? Eh via
sciogli, sciogliti il laccio, anima mia.
Non ti spaventi, o figlio,
del cazzo il grande artiglio,
ricordati che sei
in man d’un professor [39].

Pipuzzo
Ecco disciolto il laccio,
il cul senz’altro impaccio,
ma sol pavento… Oh Dio!
che affanno, che rossor!

Padre Siccia
Calati, o mio bel Nume,
e lascia a questo cazzo
di quel tondino implume
le crespe discrepar.

Pipuzzo
Ahi!

Padre Siccia
Se cominci adesso…
Lascia ch’io l’introduco.

Pipuzzo
Se non è questo il buco.

Padre Siccia
Ho traveduto è ver.

Pipuzzo
Deh più leggiero il moto.

Padre Siccia
Il mio mestier mi è noto.

Pipuzzo
Mettete, aimè, saliva.

Padre Siccia
Zitto, il parlar mi priva…
mi scema il gran piacer.

Pipuzzo
Ahi che dolore! Io manco.

Padre Siccia 
Il cazzo entrò sì franco
e tu ti lagni ancor?

Pipuzzo
Ahi…

Padre Siccia
Non temere.

Pipuzzo
Io moro

Padre Siccia 
Lasciami, o mio tesoro,
lasciami cazziar [40].

Pipuzzo
Ah che fatal momento!

Padre Siccia
Che dolce e bel contento!

Pipuzzo
Che rabbia, o Dei, che noia [41]!

Padre Siccia
Ah che piacer, che gioja!

Pipuzzo
Affanno più tiranno
io non provai finora.

Padre Siccia
Ah di dolcezza ancora
io manco, e di piacer.

Padre Siccia e Pipuzzo
Su venite, o Bardassoni,
se volete co’ coglioni
tutto il cazzo in culo aver-[42].

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

Note

[1] Da: Domenico Tempio, L'opera erotica, Tringale, Catania 1983, pp. 324-334.
Scansita e inviatami da Gaetano Zingàli di Catania, che ringrazio.

Fra le poesie del catanese Domenico Tempio, tutte in dialetto siciliano, spicca questa "Padre Siccia" in italiano. 
C'è un gioco malizioso da parte di Tempio, che inverte la regola che voleva l'italiano riservato alle innocue pastorellerie e il dialetto destinato a opere "non rispettabili".
"Padre Siccia" è infatti la storia per nulla rispettabile della seduzione, da parte di un frate pedofilo, di un pupillo quindicenne.

Il nome del frate, "Siccia" ("seppia"), è probabilmente una maliziosa allusione a purpu/puppu, "polipo", il termine comunemente usato anche oggi nel dialetto siciliano col significato di "frocio".

A mio parere il nome potrebbe essere soprannome di qualche personaggio davvero esistito, dato che Tempio si preoccupa di farci sapere che egli vive proprio a Catania (in "queste (...) etnee contrade / e qui il soggiorno ho fisso") e ne ripercorre la carriera. Che oggi a noi non dice nulla, ma che in un'epoca in cui "i paesi erano piccoli" e "la gente mormorava", equivaleva a scriverne il nome e cognome.

Quanto al motivo per cui nacque questo interessante documento, va notato in primo luogo che Tempio fu educato in seminario e che, come molti che come lui ne sono usciti disgustati, aveva probabilmente qualche conto da regolare. 
Oggi lo scandalo sempre crescente della pedofilia fra i sacerdoti (e nei conventi) cattolici ci mostra quanto e da quanto tempo le gerarchie siano incapaci di tener testa alle molestie sessuali in primis fra le loro stesse file.

In secondo luogo il brano appartiene a pieno titolo alla letteratura anticlericale che precedette e seguì la Rivoluzione francese.
Anzi, nell'utilizzare la macchietta stereotipata del monaco sodomita Tempio esagera, facendo del suo personaggio un mostro che fatica a trattenersi dallo stuprare persino i neonati. Artisticamente, questa greve caduta di tono è una stonatura.

Inoltre, se da un lato questa composizione ci tramanda un interessante elenco delle argomentazioni che poteva mettere in campo un "sodomita" del tardo XVIII secolo, a un certo punto Padre Siccia si lancia in ardite affermazioni tipicamente "libertine", cioè antireligiose.
Alcune delle affermazioni di Padre Siccia non sono infatti solo immorali, ma anche apertamente eretiche, il che mina la "credibilità" del personaggio come sacerdote cattolico "tipico": Padre Siccia sarà un frate cattolico, ma parla come un anticattolico!

Il personaggio di Padre Siccia offre insomma un riassunto di tutto l'armamentario a disposizione di un sodomita della sua epoca per sedurre un ragazzo (che non si fatica immaginare appreso di persona da Tempio nell'adolescenza). Passiamo così dall'untuosa esaltazione cattolica dell'"amicizia" (tuttora in voga in quegli ambienti) al secco razionalismo libertino che nega che il sesso sia peccato, in un allegro minestrone in cui alla fine l'argomento che la spunta sarà comunque un altro: il ricatto del potere.
Siccia infatti minaccia velatamente all'adolescente la perdita della posizione favorita che egli come suo educatore gli ha garantito fin lì, se non cede. E il ragazzo cede...

Il potere è del resto lo strumento che ha permesso fin lì al padre di abusare dei ragazzi "plebei", la ragazzaglia che ieri come oggi poteva essere comprata per fame: "un frutto, un pomo, un fico", come avrebbe scoperto di lì a poco  il turismo (omo)sessuale nordeuropeo, che nella Sicilia avrebbe trovato un "paradiso di amori greci"...

Il potere... Non a caso, tenendo conto delle possibilità di abusarne, la legge italiana fissa oggi l'età del consenso a 14 anni, a meno che il partner più adulto non sia maestro, istitutore,  sacerdote o comunque superiore del partner più giovane, nel qual caso sale a 18 anni.

Oggi Siccia ci è indubbiamente molto più odioso come persona che abusa del suo potere che come prete, anche se temo che Tempio non la vedesse affatto così... Tempio infatti non mise mai in discussione la "giustezza" dei rapporti di potere eterosessuali: dalle sue poesie eterosessuali emerge che a lui andavano bene così, da bravo maschio siculo d'una volta.

Ma va a suo merito la creazione d'un personaggio abbastanza "vero", abbastanza ben delineato, da reggere come "personaggio" anche agli occhi di chi, come me, non condivide il suo divertimento all'idea di aver dato del puppo o arruso ad un parrinu, o monacu che sia.

Allo stesso modo il finale, che scade nel pecoreccio, immagino abbia suscitato le risate dei lettori d'allora: provate a leggerlo in una caserma oggi e immagino che l'effettaccio lo abbia ancora. Ma noi, oggi, al di fuori di tali contesti pecoreccio-maschilisti, ne faremmo volentieri a meno. Sarebbe bastata una frase, un "lo sventurato rispose" per rendere chiaro il punto... ma Tempio non sa resistere allo scherno e all'ilarità che gli atti dei buggiarruni suscitano fra i "maschi veraci". Peccato: per un troppo facile applauso Tempio rinuncia ad accattivarsi  sentimenti meno facili da ottenere, come l'indignazione morale, che con tali mezzi è decisamente poco probabile ottenere. 
La strizzata d'occhio di compiacimento degli ultimi versi rende infatti meno credibile lo sdegno morale.

Ciò detto, "Padre Siccia" resta un interessante documento di mentalità, di storia della sessualità, ed anche un pamphlet  divertente nella sua capziosità. Il brano è particolarmente riuscito nella descrizione del progressivo cedimento del ragazzo che si accorge via via d'essere in trappola: è impossibile non simpatizzare con lui e non desiderare una severa punizione per Padre Siccia.
Il che era proprio quel che l'autore desiderava che desiderassimo.
Applausi.

[2] Fin dall'indicazione di personaggi e dall'ambientazione si nota che questa è una messa in scena teatrale in versi (all'epoca usavano) con tanto d'indicazioni sceniche e "fra sé". Anzi, più che al teatro occorrerà pensare all'Opera, laddove si nota che la versificazione assume all'improvviso la regolarità piana tipica delle arie.
Con ciò non intendo affermare che si tratti di un testo nato per essere musicato: intendo solo indicare il referente culturale e stilistico a cui si collega.

Nota finale: le parole fra parentesi uncinate < > sono integrazioni mie.

[3] Il brano inizia in medias res, come all'apertura improvvisa di un sipario su una scena su cui gli attori stanno già recitando.

[4] "Tanta". 

[5] "Consuetudini", "comportamenti".

[6] "Ascòltami".

[7] "Hai forse mai avuto occasione di sentirmi dire cose che ti dispiacciano?".

[8] "Da' retta".

[9] Quindici anni, appunto.

[10] "E con questo, allora?". 

[11]-Catania e dintorni. "Etnea" è detta Catania perché a poca distanza dal vulcano Etna. 

[12] I sodomiti del luogo. Bardassa è più propriamente il sodomita passivo.

[13] "Mi svelo imprudentemente dappertutto come sodomita attivo (buggerone) e senza alcun vantaggio".

[14] A me la descrizione di come il frate sia a poco a poco sulla bocca di tutti per i suoi gusti, e poi la "barzelletta" di Catania, fa sospettare che questo racconto sia la storia di un personaggio reale. Giudichi da sé il lettore se tale mia convinzione sia plausibile o meno.

[15] Noi oggi diremmo: "Mi si rizzano i capelli".

[16] Interessante il parallelo coll'argomentazione esplicitamente "libertina" del precettore nell'Alcibiade fanciullo a scola di Antonio Rocco: "Sono naturali quelle opere a cui la natura ci inclina, de' quali pretende il fine e l'effetto. Se adunque è natural inclinazione veder de' bei fanciulli, come sète voi contra natura? (...) Stimate voi la natura così improvida? È forse ìnvida al nostro bene? Impoverisce ella nelle delizie nostre? Gli si rubba cosa ch'ella non voglia? Se il tutto ha fatto per noi, il tutto a sua gloria è ragionevole che si goda da noi". (Antonio Rocco, L'Alcibiade fanciullo a scola, Salerno, Roma 1988, p. 51).
Si noti qui di passaggio  l'"a cui?" ("a chi?") ricalcato sul siciliano "a ccu"?

[17] "Ragiona da adulto".

[18] "Il mio superiore".

[19] "E non invano, perché un monaco mi denunciò ed egli voleva esiliarmi in un paese lontano". 
Questi dettagli minuti sono irrilevanti per la narrazione, e questo è un altro motivo che mi ha spinto a sospettare che qui Tempio stia descrivendo "per nome e cognome" un caso preciso.

[20] Nella medicina premoderna si riteneva (ovviamente a torto) lo sperma un "distillato" dalla parte più "sottile" degli "umori" del corpo (da qui la definizione di "midolla" usata da Tempio).

[21] "Lupi ingannatori".

[22] Ancora un argomento polemico "libertino". Così già nel processo a Francesco Calcagno (Brescia, 1550): "san Paulo, et li altri che lo [= il vizio della sodomia] detestavano, che cossì faceva [facevano], per che forsi la ge piaceva [forse piaceva a loro] più che alli altri". Cfr. Giovanni Dall'Orto, "Adora più presto un putto, che Domenedio", "Sodoma" n. 5, primavera-estate 1993, pp. 43-55.

[23] "Sarebbe".

[24] "E perché mai?". 

[25] "Perfino tra gli animali selvatici han posto passioni, amore e piacere, e a te fa orrore che si trovino fra noi uomini?". 

[26] Sodomizzare. 

[27] "L'adulterio sì che è punito dal Cielo, perché tradisce la fedeltà coniugale". 

[28] Peccaminoso, insomma, secondo padre Siccia, è solo il rapporto eterosessuale!
Qui siamo evidentemente nel paradosso comico, ma argomentazioni non meno capziose proponeva nel 1708 il sacerdote e precettore Giuseppe Beccàrelli studiato da Stefano Bolognini.

[29] "Ebbene, diamo pure per scontato che questo eccesso sia lecito, ma non siamo comunque tenuti a rispettare la legge?". 
Questa frase collocherebbe la poesia negli anni precedenti all'introduzione del Codice napoleonico nel Regno delle Due Sicilie, che abolì il reato di sodomia. Ma ovviamente questo è solo un indizio.

[30] "Ecco la legge: ti ho "beccato" su un punto sul quale non puoi più replicare. Esiste forse una legge più santa e giusta dell'amicizia? Esiste forse al mondo un legame più tenace della vera amicizia? Essa ti costringe, essa lo vuole: che le dirai?".
La tendenza a confondere "amicizia" e (omo)sessualità è ben viva ancora oggi, nella cerchia dei cattolici omosessuali (dichiarati e, soprattutto, non dichiarati).

[31] "Sei così spietato perché tua madre è stata ingravidata di te da un animale selvaggio?" (nimeo = "nemeo", come il mitico leone ucciso da Ercole).

[32] "Non è poi questa gran cosa, alla fin fine".

[33] "Dappertutto".

[34] Qui il tono si fa colloquiale: "Tiè, padre Siccia, ecco come l'hai ottenuto!"

[35] "Nibbio", "uccello rapace".

[36] "Sentimenti", "ragionamenti".

[37]-Genio vale "gusto", "tendenza", inclinazione" (ancor oggi "mi va a genio" = "è di mio gusto"). Padre Siccia ha un "genio", un gusto "innato", che lo spinge verso i ragazzi. Oggi diremmo: "ha una tendenza omosessuale". 

[38]-Ulteriore specificazione: questa tendenza è "innata". Tempio non sapeva che, secondo quanto prescrivono oggi gli storici gay "costruzionisti", fino al 1869 nessuno sapeva che l'omosessualità fosse una "tendenza innata", perché nessun medico aveva ancora stabilito che fosse tale. Che ignorante!

[39] "Professionista".

[40] Palese sicilianismo (cazziari), qui però nel significato osceno originale, e non in quello traslato di "divertirsi"; "bighellonare" che ha oggi l'italiano "cazzeggiare".

[41] "Noia" è qui usato col senso di "disgusto".

[42] Il modello dell'Opera è più palese che mai in questo incongruo "tutti" finale.

Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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