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Che cosa ha da dirci la vittoria dei Pacs in Francia
[da "Pride!", bollettino del CIG di Milano, gennaio 2000]

Intervista a cura di: Roberto Donatini

Copertina del mensile gay francese Tetu dedicata ai Pacs


Roberto Donatini: Come è stata possibile in Francia l'affermazione dei Pacs?

Giovanni Dall'Orto: Attraverso una battaglia molto lunga, durata anni, che paradossalmente è stata combattuta soprattutto dalle associazioni di lotta contro l'Aids. Infatti un movimento unitario e nazionale come l'Arcigay, il GLH, esisteva in Francia, ma si è suicidato negli anni Ottanta e da allora sono state spesso le associazioni conto l'Aids a farsi carico di vari problemi dei gay.

I Pacs in effetti sono una necessità urgente per le coppie che devono regolare, ad esempio, la successione dei beni o l'accesso in ospedale. Non scordiamo infatti che la Francia è il Paese con il più alto numero di casi di Aids in Europa, e per di più concentrati fra i gay, e non come in Italia fra i tossicodipendenti. Questo di sicuro ha inciso, nel dibattito sui Pacs.


Cosa manca al movimento gay italiano, rispetto a quello francese, visto che in Italia non si riesce a far passare nemmeno il pensiero delle unioni civili?

Al movimento italiano non mancherebbe proprio nulla: è alla Francia semmai che manca un movimento nazionale e articolato come il nostro.

Quello che ci manca è semmai l'identificazione fra la città più importante per i gay e la capitale dove si prendono le decisioni politiche. In Francia in una sola città, Parigi, si concentra il 20% della popolazione, e quella città è anche la capitale politica, e quella città è anche la capitale gay.

In Italia la città guida del movimento gay è stata di volta in volta Torino, Milano, Bologna, magari oggi anche Pisa, ma nessuna di queste città è la capitale. E la capitale commerciale gay, Milano, ha un movimento gay che, per insipienza, politicamente conta meno di zero sulla scena gay nazionale, piaccia o no a noi gay milanesi.

E in una lotta contro il potere politico, o si dispone di un milione di persone pronte a scendere in piazza (e queste ora, nel dicembre 1999, non ci sono né in Francia né in Italia), o di tre reti televisive tutte tue, oppure in assenza di una pressione dalla "base" o dal vertice ti resta la strada del lobbying: "scassare i marroni" ai funzionari ministeriali (che sono quelli che prendono le vere decisioni) utilizzando ad hoc "funzionari" del movimento gay.

Che differenza faccia avere o no una grossa presenza nella capitale politica lo dimostra il fatto che un solo gruppo, il Circolo Mario Mieli, che sta appunto a Roma, negli anni passati è riuscito ad ottenere per sé finanziamenti di entità pari a quelli di tutti quanti i gruppi Arcigay italiani messi assieme.
Quando sei a Milano o Genova tratti coll'assessorato alla Sanità, quando sei a Roma col Ministero della Sanità... e fa differenza, ti assicuro.

Purtroppo per tutti noi per molti anni il Mario Mieli s'è opposto caparbiamente alle unioni civili, liquidandole come uno "scimmiottamento" del matrimonio borghese ed eterosessuale; anche se fortunatamente negli ultimi tempi sembra aver cambiato idea, cosa che mi fa sperare bene per il futuro.

La copertina dedicata da Tetu all'approvazione dei PacsAnche una frangia dell'Arcigay stesso s'è opposta per anni all'idea di "funzionari" dell'Arcigay che stessero a Roma a fare lobbying.
Adesso una parte di questa frangia è uscita dall'Arcigay e l'altra si è convertita a sua volta, quindi la strada per il futuro è più "in discesa" che in passato.
Ma abbiamo certo perso molto, molto tempo in queste polemiche intestine.

In Francia invece, dove il movimento gay, la capitale politica e la capitale gay erano tutte nello stesso posto, è stato più facile che avanzasse un po' di tempo per lavorare nel lobbying capillare, nei ritagli di tempo fra uno sbranamento fra gruppi e l'altro (e nemmeno lì scherzano: pensa solo che perfino il Gay Pride a Parigi l'organizzano ormai i locali gay perché il movimento gay non riusciva più a mettersi d'accordo su nulla).


In questa differenza si insinua forse anche la questione religiosa... il fatto che in Italia il cattolicesimo sia così forte?

Non credo affatto che il cattolicesimo sia più forte in Italia che in Francia.
Non credo che più del 20% della popolazione sia cattolica praticante in entrambi i Paesi.
Il problema è un altro: che la Francia ha una tradizione di laicismo che risale alla Rivoluzione francese (quella rivoluzione che in Italia non c'è mai stata) e che ha sempre difeso con le unghie e con i denti.

I cattolici han dato filo da torcere al governo francese: di fronte alla minaccia dei sindaci cattolici di praticare la disobbedienza civile se i Pacs fossero stati celebrati nei Municipi, il governo ha dovuto arrivare a un compromesso, e farli firmare nei tribunali, come un patto fra due privati cittadini in cui lo Stato non c'entra nulla se non come "notaio" dell'accordo.
Questo mostra che anche in Francia i cattolici hanno un potere spropositato rispetto ai loro effettivo numero. Ma mostrano pure che se c'è la volontà politica, questo potere si può sconfiggere.

E mostra infine quanto sia diverso il cammino delle unioni civili nei Paesi protestanti, nei quali i cristiani considerano il matrimonio come un atto privato che viene "benedetto" dal Pastore (ma più o meno come un parroco cattolico può "benedire" la mucca del contadino senza che ciò sia un sacramento) e nei Paesi cattolici, nei quali i cristiani sono emotivamente attaccati ad un dogma secondo cui il matrimonio è un "sacramento".

Ecco per inciso per che motivo sono contrario alla posizione del mio amico Enrico Oliari che chiede tout-court l'estensione del matrimonio già esistente anche ai gay. La storia cultuale conta, e la nostra storia è questa. E non ho alcuna voglio di mettermi a discutere se il matrimonio sia un sacramento o non lo sia: questo è affare dei cristiani, non del movimento gay.

Ci deve insegnare qualcosa il fatto che il primo Paese cattolico del mondo ad approvare le unioni civili sia quello più laico di tutti, e che ciò nonostante il risultato sia stato un compromesso -- a mio parere soddisfacente per entrambi: i gay hanno avuto le loro unioni civili, e i cattolici hanno fatto la faccia cattiva per onor della bandiera ed hanno salvato la faccia.

Credo che i Pacs resteranno, e non credo che un referendum abrogativo (che è stato minacciato) avrebbe successo.
I cattolici lo sanno, e si accontenteranno di aver fatto bella figura.
Una sconfitta in un referendum come quello sui Pacs implicherebbe una perdita di potere spropositata rispetto alla posta in gioco: la famiglia cattolica eterosessuale infatti sin qui ne è uscita intatta.


Ma allora perché la Francia sì e noi no?

Così su due piedi non lo so: ho solo delle idee personali. Potrei quindi sbagliarmi, ovviamente.

Immagine dal mensile francese Tetu, 1998La mia opinione personale è comunque che il problema nostro è la tradizionale subordinazione culturale e mentale della nostra sinistra ai cattolici, che è un fenomeno che in Francia  non esiste. Quando Bertinotti "apprezza" pubblicamente le parole del papa, che è l'amministratore unico di una delle più grandi multinazionali mondiali e uno dei maggiori proprietari terrieri e finanziari d'Italia, o quando il Mario Mieli chiama come di recente ha fatto il papa  "Santo Padre" (con le maiuscole) nei suoi comunicati stampa… figuriamoci gli altri.

Questa subordinazione è nata quando i contadini erano più della metà della popolazione ed erano tutti cattolici, anzi bigotti: se la sinistra operaia voleva far vincere i lavoratori non poteva farlo senza di loro: la falce unita al martello, appunto. Doveva per forza tenere conto di loro e delle loro "superstizioni", a cui peraltro non dava molta importanza: una volta trasferiti in città sarebbero divenuti operai e quindi atei e comunisti.

Ma oggi i contadini sono il 5% della popolazione e i seminari cattolici sono ogni anno più vuoti e le parrocchie pure (questo lo dice il papa, non io)… Ma certi tic mentali sono duri a morire: per pigrizia mentale ancor più che per stupidità.

Forse dovremo aspettare che muoia fisicamente l'intera generazione formata alla scuola delle Frattocchie, da Bertinotti a D'Alema a Cossutta, se davvero vogliamo stare qui ad aspettare un cambiamento spontaneo di cultura e mentalità senza esserne noi gli artefici per accelerarlo. Campa cavallo.

La cattiva notizia è qui che finché la sinistra sarà così succube dei cattolici le unioni civili non passeranno.
La buona notizia è che se davvero Berlusconi riuscirà a rifare il centro cattolico con Cossiga & c, la sinistra, dato che avrà verificato che i clericali preferiscono altri e quindi è inutile insistere ad inseguire loro, sarà obbligata a cercare i voti di quella maggioranza di italiani che clericale non è, ma il cui parere conta meno di quei cinque o sei deputati bigotti che servono a D'Alema per tenere in piedi un governo senza dover ricorrere ai voti di Rifondazione, che è il suo progetto politico da sempre. [Nota del 2002: mi ero illuso sulla capacità della sinistra italiana di porre un limite alle leccate di culo al Papa. Lo scenario che si è poi avverato è quello che allora giudicavo meno probabile: la sinistra ancora più succube di cattolici e destra, anche al costo di perdere voti, elezioni, governo, e pezzi sempre più grossi del proprio elettorato, e la "piazza" che impone sempre più "dal basso" scelte che i rappresentanti politici temono come la peste].

Vedremo nei mesi futuri cosa accadrà: io non sono un profeta e non posso prevederlo. Se Berlusconi vincerà le amministrative con il Grande Centro, avremo una sterzata a sinistra del Paese e una presenza meno ossessiva dei cattolici nei sogni dei nostri capi.
Altrimenti, le alternative le ho già dette: un milione di froci che protestano per le strade, o un'attività asfissiante di lobbying nei labirinti ministeriali.

Resta come terza alternativa il miracolo di san Gennaro, ma mi dichiaro incompetente su questa soluzione.


A tuo parere, paradossalmente, è la società civile a riuscire a portare avanti battaglie che dovrebbero essere del movimento gay?

Immagine dal mensile gay francese Tetu, 1999No. La società civile è in effetti dieci anni più avanti del Parlamento, e questo il Parlamento lo sa: tanto è vero che i parlamentari per sé hanno già votato la parificazione dei partner non sposati a quelli sposati, dal punto di vista economico. Questo con il voto anche dei cattolici… Oggi perfino Casini sta divorziando, non se mi spiego.

Se ci fai caso, i leader dell'alleanza di centrodestra sono: un divorziato (Berlusconi), un divorziando (Casini), il marito di una divorziata (Fini) e un ex "concubino" che ha fatto i figli vivendo in un'unione di fatto per non so se otto anni o giù di lì, prima del matrimonio (Bossi). E questi sono i bastioni della famiglia "tradizionale": figurati tu gli altri!
Come vedi, le regole sessuali dei cattolici non le segue più nessuno, nemmeno i cattolici.

Tuttavia il problema è come questo cambiamento del Paese può riflettersi nelle leggi. Ebbene, se discutessimo oggi di una legge che introduce il divorzio in Italia, non passerebbe, mentre passò quando la clericalissima Democrazia Cristiana era il partito di maggioranza relativa (e che maggioranza!) e controllava tutto il Paese. Figuriamoci se si parlasse di aborto, poi.
Questo per il clima politico prevalente oggi, di cui dicevo prima.

Il movimento gay italiano non è insomma più immaturo della società civile. Ne è il suo specchio. E la società civile dice che dobbiamo evitare le definizioni, le prese di posizioni chiare e nette, che l"inciucio" è preferibile all'onestà, che l'ipocrisia è una necessità che si fa spesso virtù.
Tutto questo si può dire in una sola parola: cultura cattolica.

Il problema di noi gay italiani non è nsomma che siamo gay, ma che siamo italiani, e quindi cripto-cattolici e controriformisti.
Se solo facessimo uno sforzo per liberarci da questo retaggio


Una rassegna stampa sul primo Pacs gay effettuato pubblicamente in Italia, il 21 ottobre 2002, all'Ambasciata francese, è qui.

La proposta di legge d'introduzione dei Pacs in Italia, presentata da Franco Grillini, è  qui.

Una raccolta di link sul tema dei Pacs in Rete (in francese) è su Repubblica.it.


Tratto da: "Pride!", bollettino dell'Arcigay di Milano, gennaio 2000. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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