Da: Rosa Corvaia [1933][1].
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Un pomeriggio di ottobre, von Gloeden,
già vecchio e la testa piena di ricordi, sedeva nel giardinetto della
sua casa a conversare con alcuni suoi ospiti: un giovane capitano
coloniale in licenza e due coniugi olandesi venuti a riposarsi a
Taormina, dove i crisantemi già fiorivano coi gelsomini arrampicati ai
muri. Mentre i cieli altrove si ottenebravano, qui, dopo i primi
violenti acquazzoni, l'aria si era fatta dolce e la luce vestiva di
colori più freschi le cose.
— Come mai — domandava von Gloeden ai suoi vecchi amici olandesi — vi siete decisi a venir quaggiù prima del solito?
— Si annunziava un tempo rigidissimo che ci ha fatti scappare. —
(...)
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(...)
— Il tè è pronto — venne ad annunziare il contadino, che Gloeden adoperava come cameriere, giardiniere e aiutante.
La prima a muoversi fu la signora olandese e gli altri la seguirono come se tutti /p. 16/ desiderassero
il tepore del salottino imbottito di tappeti e di arazzi. Si sdraiarono
sui bassi divani di cuoio che correvano lungo le pareti e fra i cuscini
a colori vivaci.
Le tazze furono riempite e vuotate parecchie volte e per qualche tempo
non si udì che il tintinnio dei cucchiai sul vassoio e qualche parola
di complimento alla bontà della bevanda preparata dal barone.
— Nemmeno al San Domenico, — osservò la rosea e placida signora Krass,
forbendosi le labbra col minuscolo tovagliuolo — fanno un tè così
buono.
Gloeden sorrise, con soddisfazione. — Ho una formula segreta — disse
con tono scherzoso — insegnatami da una principessa russa fucilata a
Odessa dai bolscevichi.
— Sicché ora siete il solo a conoscerla.
— E la porterò con me nella tomba — aggiunse con falsa solennità il
vecchio pittore che da cinquant'anni si era stabilito a Taormina e
voleva morirvi guardando il mare Ionio dalla soglia del suo giardino.
(...)
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Anch'io — continuò Gloeden dopo
aver riempito di moscato siracusano i bicchierini dei suoi ospiti — mi
trovavo al ballo mascherato. Nella speranza di scoprire chi fosse colei
che portava quell'autentico costume settecentesco, avevo avvicinato la
compagna infagottata in un vestito da paggio. (...)
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L'autore ringrazia fin d'ora
chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone,
luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
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Note
[1] Il testo è stato scansito da: Giacomo Etna [pseud. di Vincenzo Musco], Rosa Corvaia, Studio editoriale moderno, Catania 1933.
Il romanzo, curiosamente, utilizza Gloeden (ormai morto) come
personaggio che introduce, da narratore, la protagonista, Rosa Corvaia,
parlando di lei con una coppia di amici olandesi invitati a bere il tè
a casa sua.
Le ampie descrizioni della grande eruzione dell'Etna permettono di datare la vicenda al 1928/1929.
Il
ruolo di Gloeden si esaurisce qui, perché dopo poche pagine il lettore
dimentica chi sia l'"io" che racconta la storia, dato che il suo nome
non appare più.
In compenso il testo contiene un paio di righe di descrizione dell'interno dell'abitazione di Gloeden.
Da
notare come qui Gloeden sia definito "pittore", professione con cui
volle essere conosciuto a Taormina, tanto che figura anche nel suo
certificato di morte. Oggi sono conosciute solo due tele sicuramente sue,
più una attribuita: è probabile che la gran parte della sua produzione sia stata distrutta nel
bombardamento Alleato del 9 luglio 1943, che incendiò la sua casa.
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