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BENVENUTO CELLINI (1500-1571)

Benvenuto Celini in un'incisione secentesca
Benvenuto Celini in un'incisione secentesca
 
Da: La vita  [1557-1565] [1]
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LIBRO PRIMO

Libro I, cap. XXX

[Roma, circa 1520]

[Benvenuto va a una festa portando come sua compagna un sedicenne travestito da donna, Diego spagnolo].

Di già era quasi cessata la peste, di modo che quelli che si ritrovavono vivi molto allegramente l'un l'altro si carezavano. Da questo ne nacque una compagnia di pittori, scultori, orefici, li meglio che fussino [fossero] in Roma; e il fondatore di questa compagnia si fu uno scultore domandato [chiamato] Michelagnolo.[2].

Questo Michelagnolo era sanese, ed era molto valente uomo, tale che poteva comparire in fra ogni altri di questa professione, ma sopra tutto era questo uomo il più piacevole e il più carnale che mai si cognoscessi al mondo. Di questa detta compagnia lui era il più vecchio, ma sì bene [e ciononostante] il più giovane alla valitudine [vigoria] del corpo. Noi ci ritrovavomo spesso insieme; il manco [meno] si era due volte la settimana.

Non mi voglio tacere che in questa nostra compagnia si era Giulio Romano pittore e Gian Francesco, discepoli maravigliosi del gran Raffaello da Urbino.

Essendoci trovati più e più volte insieme, parve a quella nostra buona guida che la domenica seguente noi ci ritrovassimo a cena in casa sua, e che ciascuno di noi fussi ubbrigato [obbligato] a menare [portare] la sua cornacchia [amante], ché tal nome aveva lor posto il ditto Michelagnolo; e chi non la menassi, fussi ubbrigato a pagare una cena attutta la compagnia.

Chi di noi non aveva pratica di tal donne di partito [prostitute], con non poca sua spesa e disagio se n'ebbe approvvedere [dovette procurarsene], per non restare a quella virtuosa cena svergognato. Io, che mi pensavo d'essere provisto bene per una giovane molto bella, chiamata Pantassilea, la quali era grandemente innamorata di me, fui forzato a concederla a un mio carissimo amico, chiamato il Bachiacca il quali era stato ed era ancora grandemente innamorato di lei.

In questo caso si agitava un pochetto di amoroso isdegno, perché veduto che alla prima parola io la concessi al Bachiacca, parve a questa donna che io tenessi molto poco conto del grande amore che lei mi portava; di che ne nacque una grandissima cosa in ispazio di tempo, volendosi lei vendicare della ingiuria ricevuta da me; la qualcosa dirò poi al suo luogo.

Avvenga che l'ora si cominciava a pressare di appresentarsi alla virtuosa compagnia ciascuno con la sua cornacchia [3], e io mi trovavo senza e pur troppo mi pareva fare errore mancare di una sì pazza cosa; e quel che più mi teneva si era che io non volevo menarvi sotto il mio lume, in fra quelle virtù tali, qualche spennacchiata cornacchiuccia; pensai a una piacevolezza per acrescere alla lietitudine maggiore risa. Così risolutomi, chiamai un giovinetto de età di sedici anni, il quale stava accanto a me: era figliuolo di uno ottonaio spagnuolo [4].

Raffaello, Ritratto di Bindi Altoviti 22enne - 1515Questo giovine attendeva alle lettere latine ed era molto istudioso. Avea nome Diego: era bello di persona, maraviglioso di color di carne: lo intaglio della testa sua era assai più bello che quello antico di Antino e molte volte lo avevo ritratto; di che ne aveva aùto [avuto] molto onore nelle opere mie.

Questo non praticava con persona [non frequentava nessuno], di modo che non era cognusciuto: vestiva molto male e accaso: solo era innamorato dei suoi maravigliosi studi.

Chiamato in casa mia, lo pregai che mi si lasciassi addobbare di quelle veste femminile che ivi erano apparecchiare. Lui fu facile e presto si vestì, e io con bellissimi modi di acconciature presto accresce' gran bellezze al suo bello viso: messigli dua anelletti agli orecchi, dentrovi dua grosse e belle perle - li detti anelli erano rotti; solo istrignevano gli orecchi, li quali parevano che bucati fussino - [5]; da poi li messi al collo collane d'oro bellissime e ricchi gioielli: così acconciai le belle mane di anella.

Da poi piacevolmente presolo per un orecchio, lo tirai davanti a un mio grande specchio. Il qual giovine vedutosi, con tanta baldanza disse: - Oimè, è quel, Diego? - Allora io dissi: - Quello è Diego, il quale io non domandai mai di sorte alcuna piacere: solo ora priego quel Diego, che mi compiaccia di uno onesto piacere: e questo si è, che in quel proprio abito - io volevo che venissi a cena con quella virtuosa compagnia, che più volte io gli avevo ragionato [descritto].

Il giovane onesto, virtuoso e savio, levato da sé quella baldanza, volto gli occhi a terra, stette così alquanto senza dir nulla: di poi in un tratto alzato il viso, disse: - Con Benvenuto vengo; ora andiamo -.

Messoli in capo un grande sciugatoio [telo copricapo], il quale si domanda [chiama] in Roma un panno di state, giunti al luogo, di già era comparso ugniuno, e tutti fattimisi incontro: il ditto Michelagnolo era messo in mezzo [aveva ai lati] da Iulio e da Giovanfrancesco.

Levato lo sciugatoio di testa a quella mia bella figura [maschera], quel Michelagnolo - come altre volte ho detto, era il più faceto e il più piacevole che inmaginar si possa - appiccatosi [attaccatosi] con tutte a dua le mane, una a Iulio e una a Gianfrancesco, quanto egli potette in quel tiro li fece abbassare, e lui con le ginocchia in terra gridava misericordia e chiamava tutti e' populi dicendo: - Mirate, mirate come son fatti gli Angeli del Paradiso! che con tutto che si chiamino Angeli, mirate che v'è ancora [anche] delle Angiole - e gridando diceva

O Angiol bella, o Angiol degna, 
tu mi salva, e tu mi segna. 
A queste parole la piacevol creatura ridendo alzò la mano destra, e gli dette una benedizion papale con molte piacevol parole.
Allora rizzatosi Michelagnolo, disse che al Papa si baciava i piedi e che agli Angeli si baciava le gote [guance]: e così fatto, grandemente arrossì il giovane, che per quella causa si accrebbe bellezza grandissima.

Così andati innanzi, la stanza era piena di sonetti, che ciascun di noi aveva fatti, e mandatigli a Michelagnolo.

Questo giovine li cominciò a leggere, e gli lesse tutti: accrebbe alle sue infinite bellezze tanto, che saria inpossibile il dirlo.

Di poi [Dopo] molti ragionamenti e maraviglie, ai quali io non mi voglio stendere [dilungare], che non son qui per questo: solo una parola mi sovvien dire, perché la disse quel maraviglioso Iulio pittore, il quale virtuosamente girato gli occhi a chiunque era ivi attorno, ma più affisato [guardando fisso] le donne che altri, voltosi a Michelagnolo, così disse: - Michelagnolo mio caro, quel vostro nome di cornacchie oggi a costoro sta bene, benché le sieno qualche cosa manco [un po' meno] belle che cornacchie apresso a uno de' più bei pagoni [pavoni] che immaginar si possa -.

Essendo presto [pronte] e in ordine le vivande, volendo metterci a tavola, Iulio chiese di grazia di volere essere lui quel che a tavola ci mettessi. Essendogli tutto concesso, preso per mano le donne, tutte le accomodò per di dentro e la mia in mezzo; dipoi tutti gli uomini messe di fuori, e me in mezzo, dicendo che io meritavo ogni grande onore.

Era ivi per ispalliera alle donne un tessuto di gelsumini naturali e bellissimi, il quale faceva tanto bel campo [sfondo] a quelle donne, massimo alla mia, che impossibile saria il dirlo con parole. Così seguitammo ciascuno di bonissima voglia quella ricca cena, la quale era abundantissima a maraviglia.

Dettaglio dal Ganimede attribuito al Tribolo o a Cellini (Firenze, Museo del Bargello)Di poi che avemmo cenato, venne un poco di mirabil musica di voce insieme con istrumenti: e perché cantavano e sonavano con i libri inanzi, la mia bella figura chiese da cantare la sua parte; e perché quella della musica lui la faceva quasi meglio che l'altre, dette tanto maraviglia, che li ragionamenti che faceva Iulio e Michelagnolo non erano più in quel modo di prima piacevoli [scherzosi], ma erano tutti di parole grave, salde e piene di stupore.

Apresso alla musica, un certo Aurelio Ascolano, che maravigliosamente diceva allo improviso [improvvisava stornelli], cominciatosi a lodar le donne con divine e belle parole, in mentre che costui cantava, quelle due donne, che avevano in mezzo quella mia figura, non mai restate di cicalare [non smisero mai di spettegolare]; che una di loro diceva innel modo che la fece a capitar male [come fosse finita a prostituirsi], l'altra domandava la mia figura in che modo lei aveva fatto, e chi erano li sua amici, e quanto tempo egli era che l'era arrivata in Roma, e molte di queste cose tale.

Egli è il vero che se io facessi solo per descrivere cotai piacevolezze, direi molti accidenti che vi accaddono, mossi [causati] da quella Pantassilea, la quale forte era innamorata di me: ma per non essere innel mio proposito, brevemente li passo.

Ora, venuto annoia questi ragionamenti di quelle bestie donne alla mia figura, alla quali noi avevamo posto nome Pomona, la detta Pomona, volendosi spiccare [liberare] da quelli sciocchi ragionamenti di coloro, si scontorceva ora in sun una banda ora in su l'altra [si agitava ora da una parte ora dall'altra].

Fu domandata da quella femmina, che aveva menata Iulio [che era stata portata da Giulio], se lei si sentiva qualche fastidio. Disse che sì, e che si pensava d'esser grossa [incinta] di qualche mese, e che si sentiva dar noia alla donna del corpo [all'utero].

Subito le due donne, che in mezzo l'avevano, mossosi a pietà di Pomona, mettendogli le mane al corpo, trovorno che l'era mastio [maschio]. Tirando presto [ritirando rapidamente] le mani a loro con ingiuriose parole, quali si usano dire ai belli giovanetti [6], levatosi da tavola subito le grida spartesi [alzatesi] e con gran risa e con gran maraviglia, il fiero Michelagnolo chiese licenzia da tutti di poter darmi una penitenzia a suo modo.

Avuto il sì, con grandissime gride mi levò di peso, dicendo: - Viva il Signore: viva il Signore - e disse, che quella era la condannagione che io meritavo, aver fatto un così bel tratto [scherzo].

Così finì la piacevolissima cena e la giornata; e ugniun di noi ritornò alle case sue.

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L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.
Note

[1] Benvenuto Cellini, La vita scritta (per lui medesimo) in Firenze.
Il testo è quello messo online dal Progetto Manuzio, che si basa su: La Vita di Benvenuto Cellini, Einaudi, Torino 1973.
Per scaricarlo in formato .zip fare clic qui.

Il testo è disponibile anche, in formato .html, sul sito De bibliotheca.

-.Ne esistono numerose edizioni a stampa, anche economiche.

[2] Come chiarisce subito dopo, non è Michelangelo Buonarroti, bensì Michelangelo senese (Giovanni Larciani?), che scolpì il monumento funebre di Alessandro VI.

[3] "Cominciava ad essere l'ora in cui occorreva presentarsi alla compagnia, ciascuno con la sua accompagnatrice".

[4] A me riesce impossibile non leggere questo "scherzo" come una forma di espressione di un rudimentale "orgoglio gay" da parte di un Cellini palesemente infastidito dall'"eterosessualità obbligatoria" imposta dai suoi amici, che danno per scontato che la sola compagnia desiderabile per un uomo sia una donna (meglio se di facili costumi). 
Cellini la donna l'avrebbe, e bellissima, anzi innamorata di lui... ma non gliene importa proprio nulla, tanto che la cede volentieri a un amico! 
Da parte sua, invece, si provvede d'un ragazzo... che a suo dire è più bello di qualunque donna presente! 
Occorre altro, per leggere in questo atto una sfida?

Il fatto poi che per sfidare la convenzione sociale dell'epoca occorresse essere, più che un coraggioso militante, un delinquente fatto e finito come Cellini, che non rispettava nessuna legge, serve solo a ricordarci che all'epoca la sfida all'eterosessualità obbligatoria collocava ipso facto nella posizione del fuorilegge, in senso letterale.

[5] Cellini spiega come un uomo abbia potuto indossare orecchini, che all'epoca erano ornamento esclusivamente femminile e che richiedevano il foro del lobo dell'orecchio. Gli orecchini, spiega, non erano cerchi perfetti, ma spezzati, in modo da stringere dai due lati il lobo.

[6] Cellini testimonia qui che nella Roma del tempo si "usava" bersagliare "i belli giovanetti" con  commenti grevi a carattere sessuale (perché gli insulti delle prostitute non possono avere avuto altro carattere che questo). Ci restituisce così una Roma più "levantina", e decisamente più omo-sessuale, di quanto ci racconti la storia "ufficiale".


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